DJOSER e lo Scettro di Anubi
DJOSER e lo Scettro di Anubi
Quali conoscenze, quali segreti, gli Antichi Egizi custodivano gelosamente nelle cripte dei Templi e nei sotterranei delle Piramidi? Quali virtù dovevano possedere e quali prove erano chiamati a superare, i pochi Eletti, per accedere a quelle Conoscenze?
Epoca IV Dinastia dei faraoni.
Djoser, allievo di Ptha, lavora al cantiere della piramide del faraone Khafra.
Esposto da bambino, Djoser è un ragazzo che gode della protezione di Anubi, la più misteriosa ed inquietante delle Divinità egizie.
Le vicende del ragazzo, protagonista di questi libri, si intrecciano con quelle di un popolo unico e particolare che, per l’Immortalità e la Gloria dei propri Sovrani, eresse statue e templi colossali e impresse nella pietra enigmi insoluti come la Sfinge e la Piramide.
Djoser ci prenderà per mano e ci condurrà attraverso i sotterranei di quelle straordinarie costruzioni, ci presenterà alla corte del Faraone e ci trascinerà lungo le insidiose vie della DUAT, l’Oltretomba egizia.
Ci farà conoscere personaggi come Mosè il Ratto, piccola e simpatica canaglia, Thaose, principe-sacerdote Osorkon, ufficiale di Sua Maestà, Kabaef, perfido Gran-Visir e prete di Ra e altri ancora… tutto, lungo le rive di un fiume brulicante di vita.
Per chi volesse conoscere le vicende di DJOSER e dei suoi amici può richiedere il libro presso le migliori liberie o direttamente a:
SOCIETA' EDITRICE MONTECOVELLO
per i residenti in Torino si consiglia la
libreria ZANABONI di C.so Vittorio Emanuele.
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ANTICO EGITTO - DJOSER e Lo Scettro di Anubi
l’ultimo libro di MARIA PACE - Romanzo storico-fantasy
edito da SOCIETA' EDITRICE MONTECOVELLO
nelle migliori librerie
Siamo in Egitto, Antico Regno – IV Dinastia.
Djoser, un ragazzo di sedici anni, allievo del Tempio di Ptha, lavora al cantiere della Piramide del faraone Khafra.
Abbandonato ancora bambino sulle rive del Nilo, Anubi, la più inquietante delle Divinità egizie, lo pone sotto la sua protezione facendo di lui una “creatura” diversa dagli altri mortali: gli permette perfino un viaggio attraverso la Duat, l’Oltretomba egizia, durante un percorso iniziatico.
La storia del ragazzo si intreccia con le vicende di un popolo unico e straordinario: scene di vita quotidiana, tecniche di costruzione di enormi strutture architettoniche, rivalità tra caste sacerdotali, intrighi di corte…
Si affacciano su questi scenari, lungo le rive di un fiume brulicante di vita, personaggi come Mosè il Ratto, piccola e simpatica canaglia, Osorkon di Tanis, ufficiale di Sua Maestà, arrivato dal Delta con l’inseparabile falco, il principe Thaose, nipote anticonformista del Faraone, e non mancano personaggi come Hetpher. Djeda o Kabaef, “grandi di magia”… Tutti loro condurranno il lettore attraverso un percorso di magico splendore e misteriosi rituali, ma sempre segnato da rigorosa ricostruzione storico
nota dell'autrice:
questo libro sostiene il progetto NON SIAMO SOLI - SAVE THE CHILDREN
l’ultimo libro di MARIA PACE - Romanzo storico-fantasy
edito da SOCIETA' EDITRICE MONTECOVELLO
nelle migliori librerie
Siamo in Egitto, Antico Regno – IV Dinastia.
Djoser, un ragazzo di sedici anni, allievo del Tempio di Ptha, lavora al cantiere della Piramide del faraone Khafra.
Abbandonato ancora bambino sulle rive del Nilo, Anubi, la più inquietante delle Divinità egizie, lo pone sotto la sua protezione facendo di lui una “creatura” diversa dagli altri mortali: gli permette perfino un viaggio attraverso la Duat, l’Oltretomba egizia, durante un percorso iniziatico.
La storia del ragazzo si intreccia con le vicende di un popolo unico e straordinario: scene di vita quotidiana, tecniche di costruzione di enormi strutture architettoniche, rivalità tra caste sacerdotali, intrighi di corte…
Si affacciano su questi scenari, lungo le rive di un fiume brulicante di vita, personaggi come Mosè il Ratto, piccola e simpatica canaglia, Osorkon di Tanis, ufficiale di Sua Maestà, arrivato dal Delta con l’inseparabile falco, il principe Thaose, nipote anticonformista del Faraone, e non mancano personaggi come Hetpher. Djeda o Kabaef, “grandi di magia”… Tutti loro condurranno il lettore attraverso un percorso di magico splendore e misteriosi rituali, ma sempre segnato da rigorosa ricostruzione storico
nota dell'autrice:
questo libro sostiene il progetto NON SIAMO SOLI - SAVE THE CHILDREN
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SEGUONO ALCUNI BRANI TRATTI DAL LIBRO:
DJOSER e lo Scettro di Anubi
NEPER - Il Genio del Grano
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immagine tratta gentilmene da internet
NEPER – il Genio del Grano
brano tratto dal libro DJOSER e lo Scettro di Anubi
edito da SOCIETA’ EDITRICE MONTECOVELLO
nelle migliori librerie dalla fine di novembre 2012
... Con queste parole, la cima del Signore della Foresta-del-Tempo, cominciò pian piano a piegarsi in avanti; Djoser rimase a guardarlo, poi dirottò l’attenzione verso il proprio piede. Non era gonfio e pareva intatto. Provò a rimettersi in piedi. Le gambe erano irrigidite. Naturale, si disse; alle sue spalle, intanto, la cima dell’immensa quercia stava quasi per toccare il suolo.
“In fondo non fa così male e il bruciore passerà presto.” provò a consolarsi, facendo un passo in avanti. Un altro e un altro ancora, poi si fermò, con l’improvvisa coscienza che un mutamento era in corso dentro di sè. Non sofferenza o dolore fisico, ma una sensazione già nota. Un senso di distacco e di perdita.
Comprese che un’altra delle sue Identità lo stava lasciando: il Ba, la più intima e profonda delle forze dello spirito. Carattere e volontà, risiedevano in esso. Nobiltà e sfavillio. Conoscenza ed intelligenza. Integrità e moralità. Per questo, lo prese una gran tristezza. Quella “partenza” era davvero una gran perdita. Nulla di buono poteva accadere adesso al suo Ka, lasciato solo indifeso e ferito. Il Ren era rimasto in custodia dei Guardiani del Ro-Stau, l’Ib vagava nel Labirinto e la Shut si era fermata ai margini del Lago di Fuoco. E adesso il Ba. Quale sorte sarebbe toccata alla sua Anima? Non quella di Sikty, sperava.
Nome e Ombra, Cuore e Anima erano stati con lui per sedici anni. Lo avevano accompagnato e protetto, difeso e incoraggiato. Sarebbero ritornati a lui? Senza di loro si sentiva abbandonato e perso. Non sapeva cosa fare. Si sentiva come quel marinaio in mezzo al mare, di notte, con il cielo coperto e privo di orientamento. Improvvisamente si sentì chiamare:
“Djoser, Colui-che-è-uscito-dal-Papiro! Guarda verso di me.”
Era una vocetta gentile e soave, dolce e suadente. Djoser si girò e lo vide, proprio dietro di lui. Gli arrivava appena alla cintola.
Era un bambino. Il bambino più strano e incredibile che avesse mai visto in vita sua. La pelle era verde e verde erano anche i capelli lunghi, lisci e simili a spighette di grano non ancora maturo. In fondo alle braccia ed alle caviglie, mani e piedi terminavano in lunghe dita a germoglio. Il volto, parve Djoser, assomigliava a quello del suo amico Sikty, ma il sembiante era
di una dolcezza toccante.
“Chi sei?” fu la prima cosa che a Djoser venne in mente di chiedergli, sicuro che non fosse lì per nuocere a lui; quello sorrise, tendendo verso di lui il braccio dai verdi germogli.
“Non mi riconosci? Sono la Guida del tuo Ba.”
“La Guida del mio Ba? – Djoser restò qualche attimo a fissarlo con espressione incredula – Ma sei così piccolo!”
“Sto crescendo. Sto crescendo insieme a te. Alla fine del tuo viaggio, sarò cresciuto e maturo.”
“Vuoi guidarmi? E dove vuoi portarmi?”
“Non è il tuo Ka che voglio guidare. Lui deve percorrere da solo le vie della Duat. Io voglio guidare il tuo Ba.”
“Ma Tu… tu… Ho capito chi sei! – proruppe Djoser - Tu sei Neper, la Guida delle Anime-Ba.”
Era proprio Neper, il Grano-Divinizzato. Era il Genio Benevolo che conduceva l’Anima-Ba attraverso l’Aldilà, nell’attesa di ricongiungersi al Ka, di ritorno, Giustificato e Glorificato, dal Giudizio di Osiride.
Così come la vita vegetale si rigenerava attraverso la semina, l’apparente scomparsa sotterranea, anche
l’Anima poteva sperare nella propria rigenerazione e salvezza.
Il piccolo Genio sorrise e sollevò verso l’alto il braccino dai lunghi germogli. Solo in quel momento Djoser parve accorgersi che l’airone azzurro stava frollando sul suo capo e scoprì che la sua testa era umana e la faccia era la sua: quell’airone era il suo Ba e stava per volare lontano, guidato dal Genio del Grano.
Indefinibile, la sensazione che provò nel vederli allontanarsi. Molto simile, pensò, a quella che deve provare una pianta divelta dal suolo o un frutto staccato da un ramo. Lui si sentiva assai simile a quel ramo ed a quella pianta.
brano tratto dal libro DJOSER e lo Scettro di Anubi
edito da SOCIETA’ EDITRICE MONTECOVELLO
nelle migliori librerie dalla fine di novembre 2012
... Con queste parole, la cima del Signore della Foresta-del-Tempo, cominciò pian piano a piegarsi in avanti; Djoser rimase a guardarlo, poi dirottò l’attenzione verso il proprio piede. Non era gonfio e pareva intatto. Provò a rimettersi in piedi. Le gambe erano irrigidite. Naturale, si disse; alle sue spalle, intanto, la cima dell’immensa quercia stava quasi per toccare il suolo.
“In fondo non fa così male e il bruciore passerà presto.” provò a consolarsi, facendo un passo in avanti. Un altro e un altro ancora, poi si fermò, con l’improvvisa coscienza che un mutamento era in corso dentro di sè. Non sofferenza o dolore fisico, ma una sensazione già nota. Un senso di distacco e di perdita.
Comprese che un’altra delle sue Identità lo stava lasciando: il Ba, la più intima e profonda delle forze dello spirito. Carattere e volontà, risiedevano in esso. Nobiltà e sfavillio. Conoscenza ed intelligenza. Integrità e moralità. Per questo, lo prese una gran tristezza. Quella “partenza” era davvero una gran perdita. Nulla di buono poteva accadere adesso al suo Ka, lasciato solo indifeso e ferito. Il Ren era rimasto in custodia dei Guardiani del Ro-Stau, l’Ib vagava nel Labirinto e la Shut si era fermata ai margini del Lago di Fuoco. E adesso il Ba. Quale sorte sarebbe toccata alla sua Anima? Non quella di Sikty, sperava.
Nome e Ombra, Cuore e Anima erano stati con lui per sedici anni. Lo avevano accompagnato e protetto, difeso e incoraggiato. Sarebbero ritornati a lui? Senza di loro si sentiva abbandonato e perso. Non sapeva cosa fare. Si sentiva come quel marinaio in mezzo al mare, di notte, con il cielo coperto e privo di orientamento. Improvvisamente si sentì chiamare:
“Djoser, Colui-che-è-uscito-dal-Papiro! Guarda verso di me.”
Era una vocetta gentile e soave, dolce e suadente. Djoser si girò e lo vide, proprio dietro di lui. Gli arrivava appena alla cintola.
Era un bambino. Il bambino più strano e incredibile che avesse mai visto in vita sua. La pelle era verde e verde erano anche i capelli lunghi, lisci e simili a spighette di grano non ancora maturo. In fondo alle braccia ed alle caviglie, mani e piedi terminavano in lunghe dita a germoglio. Il volto, parve Djoser, assomigliava a quello del suo amico Sikty, ma il sembiante era
di una dolcezza toccante.
“Chi sei?” fu la prima cosa che a Djoser venne in mente di chiedergli, sicuro che non fosse lì per nuocere a lui; quello sorrise, tendendo verso di lui il braccio dai verdi germogli.
“Non mi riconosci? Sono la Guida del tuo Ba.”
“La Guida del mio Ba? – Djoser restò qualche attimo a fissarlo con espressione incredula – Ma sei così piccolo!”
“Sto crescendo. Sto crescendo insieme a te. Alla fine del tuo viaggio, sarò cresciuto e maturo.”
“Vuoi guidarmi? E dove vuoi portarmi?”
“Non è il tuo Ka che voglio guidare. Lui deve percorrere da solo le vie della Duat. Io voglio guidare il tuo Ba.”
“Ma Tu… tu… Ho capito chi sei! – proruppe Djoser - Tu sei Neper, la Guida delle Anime-Ba.”
Era proprio Neper, il Grano-Divinizzato. Era il Genio Benevolo che conduceva l’Anima-Ba attraverso l’Aldilà, nell’attesa di ricongiungersi al Ka, di ritorno, Giustificato e Glorificato, dal Giudizio di Osiride.
Così come la vita vegetale si rigenerava attraverso la semina, l’apparente scomparsa sotterranea, anche
l’Anima poteva sperare nella propria rigenerazione e salvezza.
Il piccolo Genio sorrise e sollevò verso l’alto il braccino dai lunghi germogli. Solo in quel momento Djoser parve accorgersi che l’airone azzurro stava frollando sul suo capo e scoprì che la sua testa era umana e la faccia era la sua: quell’airone era il suo Ba e stava per volare lontano, guidato dal Genio del Grano.
Indefinibile, la sensazione che provò nel vederli allontanarsi. Molto simile, pensò, a quella che deve provare una pianta divelta dal suolo o un frutto staccato da un ramo. Lui si sentiva assai simile a quel ramo ed a quella pianta.
LA METAMORFOSI
Avete mai assistito alla trasformazione di una creatura in qualcosa d'altro?.... ecco cosa si prova...
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Improvvisamente avvertì la sensazione di non essere più solo e che la luce della Luna lo scaldasse
quasi più delle fiamme del bivacco. Aprì gli occhi e balzò a sedere: sdraiato di fronte a lui dall’altra parte del fuoco, c’era uno sciacallo.
Superato il primo moto di timore, Djoser restò a guardarlo. Capì subito che non si trattava di uno sciacallo comune. Avvolta dal
chiarore della Luna e di quello delle fiamme del bivacco, la sagoma dello sciacallo si stagliava nitida contro il cielo blu intenso della notte. Nero come la pece, era assai più grosso di uno sciacallo. Più grosso perfino di un lupo.
Collo possente, muscoli poderosi sotto un manto di pelo raso, lo sciacallo si
sollevò sulle zampe anteriori e lo fissò dritto negli occhi.
Un brivido attraversò la schiena del ragazzo, incapace di sottrarsi al richiamo di quello sguardo obliquo e verde. Lo vide
tendere verso di lui il capo dal muso allungato ed aguzzo, spalancare le fauci e mettere bene in mostra le potenti mandibole e le zanne appuntite. Ma non era un atto di minaccia, bensì la posa che lo sciacallo assume quando ulula alla luna.
L’ululato tipico, dicevano al cantiere, che lancia nei periodi che precedono la pioggia: fenomeno assai raro nel deserto.
Djoser comprese che qualcosa di prodigioso stava per accadere.
Attese. Ogni cosa intorno a lui pareva attendere un prodigio, perché quello era un luogo“Divino”, dove era possibile infrangere
le barriere del mistero e delle dimensioni: perfino i Faraoni lo avevano scelto per fissarvi le loro dimore eterne.
E il prodigio accadde. Le zanne dello sciacallo, sporgenti fuori della bocca, lentamente rientrarono; così pure le
unghie, lunghe e scure. Il muso, allungato e stretto, si appiattì. Nelle orbite oblique, gli occhi fiammeggiarono. Umani o, forse, divini. Il corpo, rannicchiato e curvo, si alzò; pian piano si allungò. Il pelo, nero e lucente, scivolò dentro il cuoio. Risucchiato. Fino a scomparire. Alta, sempre più alta, la sua figura sovrastò, potente e fiera, quella del ragazzo. Anubi era davanti a Djoser e il ragazzo, più attonito e sbigottito che mai da quella stupefacente metamorfosi, lo guardava ammutolito.
“Oh, Anubi!- proruppe - O Signore del Cammino Nascosto!”
“Perché non riposi?” domandò lo Sciacallo Divino e, come già nei meandri della Piramide, la sua voce fece fremere l’aria
d’intorno e minacciò di spegnere le fiamme del bivacco.
“Il Deforme Bes, Dispensatore delle Sabbie Benefiche del Sonno, si tiene lontano dal povero Djoser. - si lamentò il
ragazzo- L’hai visto aggirarsi qui intorno, o Divino Sciacallo?”
Anubi non rispose a quella domanda, ma ne fece una a sua volta:
“Hai paura di me?”
Un poco, quella domanda stupì il ragazzo. Il Signore del Cammino- Nascosto, si disse, sapeva ben leggere dietro la sua fronte e dentro il suo cuore e conosceva già la risposta. Così, decise di osare. Osò guardarlo in faccia. Osò entrare nel suo fulgore divino. Sapeva bene di poterne restare incenerito. Stranamente, però, non aveva di questi timori. I suoi occhi scuri
penetrarono tranquilli e sereni nello sguardo della più misteriosa e temibile fra tutte le Divinità e Anubi gli permise perfino di entrare dentro la sua mente.
L’animo di Djoser si dispose a nuove emozioni. Era certo che lo Sciacallo Divino gli avrebbe mostrato i segreti della
Duat, il Mondo-Rovesciato di cui era il Signore, che egli aveva sempre immaginato come un’enorme caverna tenebrosa e irta di insidie, in cui una folla di anime defunte vagavano spaurite alla mercè di terrificanti creature.
Fece un cenno del capo per dire che sì, aveva paura.
Il Nocchiero della Duat distese le labbra in un sorriso che il ragazzo non aveva visto mai sulla faccia di alcun essere
umano. “Non aver paura. – disse - Tu nascesti in circostanze particolari e per questo possiedi virtù eccezionali. Tu sei un ragazzo curioso in cerca della Conoscenza. Sai che cosa è la Conoscenza?”
Il ragazzo scosse il capo.
“La Conoscenza, Djoser, allievo di Ptha, è la capacità di sollevare il velo di un mistero che ne nasconde un altro, senza
restarne sopraffatti. Sollevare veli, però, comporta rischi. Tu, Djoser, figlio di Pthahotep, hai paura di osare?”
Djoser osò e la sua mente s’inoltrò ardita in quella del Dio e si confuse con essa; i loro pensieri si avvilupparono, simili a
due cobra attorcigliati.
La prima sensazione che il sangue di Djoser conobbe e acquisì da quella “fusione”, fu un senso di gloria, percepito da tutte le Identità che componevano la sua essenza umana. Soprattutto lo Spirito-Ka e l’Anima-Ba danzavano inebriati. Anche il Cuore-Ib esultava e perfino la l’Ombra-Shut brillava come un sole riflesso in uno stagno, tanto era lo Splendore all’interno del Signore del
Mondo-di-Sotto. Una meraviglia infinita. Una purezza totale.
Una generosità ed una tenerezza incalcolabili.
Comprese perché Ka-beut, la Dea-Freschezza, avesse scelto di essere Sua figlia. C’era una Luce Infinita dentro il Signore delle Tenebre. Una fiamma che splendeva in mezzo al tenebrore con la potenza del balsamo che libera da ogni dolore e paura;
un fulgore grande quanto lo stesso cielo. Ma, proprio proveniente dal centro di tanto fulgore, Djoser sentì irrompere dentro di lui una sensazione nuova e improvvisa, simile all’aria che cambia per un temporale in avvicinamento o altro grosso evento atmosferico.
Quel cambiamento gli comunicò una pena ed un’inquietudine particolari, poichè erano la pena e l’inquietudine di Anubi:
infinite quanto la Sua generosità. Non erano una pena e un dolore qualsiasi.
Erano emozioni che non avevano nomi per essere definite. C’era in quel dolore tutto lo sconvolgimento della Palude in cui Horo e Seth si erano scontrati per l’ultima volta; tutta la tristezza del distacco della Celeste-Nut dall’amato Geb, Signore della Terra.
La sua mente non era in grado di contenerle. Barcollò e sentì il corpo diventare rigido e pesante. Anubi lo sostenne; quasi
lo strinse a sé. Immediatamente dopo, i loro pensieri si dissociarono, ma la voce del Dio tenne la mente del ragazzo sospesa nell’aria ancora per qualche attimo, come una goccia di sangue appesa alla punta di un pugnale, prima di staccarsi e dire:
“Vorresti conoscere la storia di Anubi, figlio di Osiride?”
“O Divino Sciacallo! - proruppe il ragazzo - Vuoi degnarti di parlare a Djoser di Questioni Divine?”
********************
LA VERA STORIA DI ANUBI , la più inquietante delle Divinità egizie
(brano tratto dallibro DJOSER e lo Scettro di Anubi Volume I)
“Ascolta! - fece semplicemente Anubi, con quella voce che di certo atterriva i Kau dei defunti quando li traghettava
attraverso le vie della Duat, ma che, pur facendolo rabbrividire, non lo spaventava più - Questa non è la storia che si sente per bocca dei preti. Questa è la storia vera degli Dei. Ascolta!... Ra, Padre degli Dei, la cui sostanza è Fuoco e Calore, cercava una sposa di opposta sostanza che non restasse incenerita dal suo fulgore. La trovò in Nut, Signora del Cielo. Ra, però, non disdegnava altre
compagne… ”
Djoser ascoltava e taceva.
“In verità, neppure la Celeste Nut era fedele. Al vecchio e bavoso Ra, preferiva Geb, forte e vigoroso.”
Una pausa e un respiro rovente che fece oscillare la fiamma del bivacco, poi Anubi fece cenno al ragazzo di tornare a sedersi
accanto al fuoco e lo stesso fece anch’Egli, accosciandosi dall’altra parte.
“Nut e Geb si accoppiarono per quattro giorni, prima che Ra li separasse.”
Ancora una pausa e un profondo rossore sulla faccia di Djoser, non ancora iniziato ai misteri dell’amore e del sesso. Anubi ebbe un sorriso indulgente che gli distese il volto e gli addolcì l’espressione dello sguardo incandescente verde.
“Da quell’amplesso nacquero quattro figli. Il primo a lasciare il grembo materno fu Osiride. Fu subito forte, saggio e coraggioso come suo padre. Un’ora più tardi nacque Seth, ma la sua nascita fu violenta e produsse una dolorosa ferita nel grembo di sua madre, il Cielo, attraverso cui cominciarono a passare fulmini e saette, poi… poi nacque Isis, Dispensatrice della Vita. - recitò
Anubi con enfasi – Iside, che scoprì il grano e lo mostrò ad Osiride affinchè ne facesse dono agli uomini. Nacque in un cielo sereno e irrorato di rugiada. E infine… infine nacque Nefty, la più bella fra gli Immortali.
Nebthet, era il suo nome ren, a ragione di tanta grazia e bellezza, ma null’altro possedeva: solo grazia e bellezza. Non la misericordia o
la generosità di Iside!”
Lo sguardo del Dio s’incupì; Djoser gli vide scuotere con veemenza il capo, tanto da far fluttuare vorticosamente l’etra
intorno a loro. Il ragazzo si portò una mano alla gola come se stesse soffocando, ma Anubi stese un braccio e l’aria tornò placida, come il tono della voce, quando parlò:
“Tu non sai, però, che anche il vecchio Ra si era accoppiato con Nut durante quei quattro giorni!”
“Oh!” fu il commento dell’allievo di Ptha.
“Chi può dire con certezza quali dei quattro fratelli siano Figli di Ra e quali di Geb?”
Non poteva giurarci, ma a Djoser parve avvertire una nota di feroce ironia nella voce di Signore del Mondo-Nascosto. Quasi
divertita. D’altronde, se quelle cose accadevano in Cielo...
“Geb, che regnava sull’Egitto divise il Regno tra i due fratelli: a Osiride toccò l’Egitto Superiore ed a Seth andò l’Egitto
Inferiore. Iside divenne la sposa di Osiride e Nefty fu fatta sposare a Seth. Ma... sai, tu, cosa avvenne?”
Djoser scosse il capo.
“La maledizione di Ra si abbatté su di loro. Sono Figli del Sole, andava domandandosi il vecchio e rancoroso Padre degli Dei,
oppure sono Figli del Fango e della Palude?”
Djoser ascoltava allibito.
“Devo amarli oppure maledirli? Così si tormentava Ra, sopraffatto dal rancore e dalla gelosia, Ra scelse di maledirli. - la voce
cavernosa del Signore del Cammino di Sotto tagliava l’aria come una spada; Djoser rabbrividì - Se Iside ed Osiride erano innamorati già da quando ancora si trovavano nel grembo materno, Nefty, invece, detestava Seth con la stessa intensità con cui ardeva d’amore per Osiride...”
Un ghigno! Era proprio un ghigno! Questa volta Djoser non aveva davvero dubbio alcuno sul tono della voce di Anubi.
“Desiderava le carezze dello sposo di Iside e detestava Seth che, dal canto suo, era talmente e follemente innamorato di
Iside, da non tralasciare occasione per tentare di saltarle addosso.”
Djoser continuava ad ascoltare e sempre più la voce del Dio gli pareva caricarsi di pungente ironia e feroce sarcasmo.
“Fu così che una notte, essendosi, Iside, allontanata da casa, Nefty indossò il suo Tate e il suo Calasiris, Cinto e Mantello, e andò a stendersi sulla stuoia di Osiride per giacere con lui.”
“Oh! Oh!” non riuscì a trattenersi il ragazzo.
“Io fui il frutto di quella notte di passione rubata! - senza più ironia, priva di sarcasmo, la voce di Anubi sembrò il
riverbero di un tuono. - Nefty mi rifiutò che ero ancora nel suo grembo, bastardo di Osiride, e Seth mi detestò con non minor accanimento. Quando nacqui, mia madre mi abbandonò alle insidie della palude, con la speranza che qualche Forza Superiore cancellasse la sua vergogna. Ma Iside, avvertita da Thot, accorse in mio soccorso”
“Sì! - osò interromperlo Djoser - Tra i cespugli di papiro, dove una femmina di sciacallo allattava i suoi cuccioli.”
Anubi annuì.
“Neppure Iside, però, mi riconobbe. - ringhiò, facendo seguire un lungo respiro che parve risucchiare tutta
l’aria circostante e che mise nuovamente in difficoltà il ragazzo - In-put? Gli domandò. Anche la Misericordiosa Iside venne presa dal
dubbio! Perfino Lei. In-put! la rassicurò Thot: è Lui!”
“In-put.”
Djoser aveva ripreso a respirare regolarmente.
Anubi ebbe un sorriso e si alzò in piedi; l’aria intorno a lui fluttuò e le lingue di fuoco del bivacco reclinarono da un lato e
poi dall’altro, fin quasi a toccare terra, e infine tornarono a svettare su; Djoser le seguiva con lo sguardo come ipnotizzato.
“Riposa, adesso.- lo scosse Anubi - La notte è ancora lunga e Bes è vicino. Riposa sereno. Ti aspettano eventi straordinari.” e
con queste parole, la Sua figura cominciò a dissolversi piano nell’aria. Si scompose in mille frammenti che resero quel posto, già magico e misterioso, come attraversato da mille fulmini.
La fiamma del bivacco riprese a bruciare. Djoser tornò a stendersi, circondato dai profumi della notte; profumi ed aromi forti e
penetranti che avevano il significato del mistero e dell’eternità. Intorno a lui, nel buio vellutato e impalpabile, l’essenza divina del Signore del Mondo-Nascosto non si era ancora del tutto dissolta. Cullato dall’onda di quella misteriosa dolcezza, Djoser si addormentò quasi subito.
.
Alla corte del Faraone
"Sua Maestà vuol sapere chi è e da dove viene il
ragazzo che esercita il suo dominio sulle creature di Sobek, il Coccodrillo Divino, figlio di Neith, l’Eterna."
L'attenzione di tutti tornò al Faraone ed al ragazzo.
"Sono Djoser, allievo di Ptha." rispose il ragazzo in tono schivo.
Ptha! Bastò quel nome perché nella sala si levasse un brusio simile allo stormire di canne al vento. Nessuno aveva osato mai fare quel nome davanti al Faraone: il Dio era stato bandito dalla sua città da almeno due generazioni. Solo il Faraone rimase impassibile; immobili anche la nemes sul capo e la barba posticcia sul mento. Solo l’urex sulla fronte, la dea Uadjet in forma di Cobra, parve fremere. Come fiammeggiare.
"Sei forse un mago?" una voce provenne dal fondo
della sala e un uomo si fece avanti e si fermò ai piedi del trono.
Era Ka-baef, Gran Visir, Gran Sacerdote di Ra e
zio del Faraone. Fratello del defunto Khufu e figlio di Snefru, non v’era alcun dubbio che, dopo la persona del Faraone, fosse l’uomo più potente d’Egitto. Si occupava personalmente delle faccende riguardanti la Casa Reale ed esercitava controllo sui Funzionari che sbrigavano le cose del popolo e della corte.
Fisicamente era piccolo di statura, ma il corpo era greve come una montagna di carne. Pancia e stomaco sporgevano da sotto la veste e la faccia rubiconda
rivelava un certo trasporto per le vigne di Eliopoli.
Il principe Thaose avanzò anch’egli di qualche passo.
Si fronteggiarono, Ka-baef e Thaose, zio e nipote del Faraone, i due grandi avversari: l'uno, rappresentante la
vecchia generazione e l'altro la nuova. Il primo, ministro di Ra, il Dio dominatore di Memfi, il secondo, di Ptha, il Dio esiliato. Ka-baef, scaltro e corrotto, il corpo flaccido ed appesantito dai vizi e Thaose, animato di giovanile fervore, atletico e longilineo. L’uno nella tunica di lino lunga alla caviglia e l'altro nel breve telo rettangolare intorno ai fianchi e trattenuto da una cintura dai complicati nodi. Ostili come l'acqua e il fuoco. Come il bene e il male. Pronti a distruggersi vicendevolmente.
Thaose si accostò a Djoser con atteggiamento protettivo, ma il ragazzo, senza voltarsi, per non dare le spalle al
Faraone:
"Non sono un mago, signore.” rispose girando il capo e tendendo un braccio per indicare stregoni ed indovini che si esibivano alle sue spalle poi fece convergere sul potente prete di Ra lo sguardo scuro e profondo, edotto di conoscenze e segreti ignoti ai più.
“Ba-fra! -proruppe Kabaef indietreggiando e sbiancando in faccia, come sotto l’empito di una grande emozione – Se…sei Ba-fra?” e fissò il ragazzo così come si guarda un fantasma, con il fondo delle pupille incupite come il fondo di un pozzo.
“Mi chiamo Djoser, signore.” disse il ragazzo.
“Ma... ma chi sei?”
“Sono allievo del Tempio di Ptha. - si corresse - Ero allievo di Ptha - sottolineò in tono grave- prima che il Tempio fosse sequestrato, i sacerdoti segregati e i discepoli allontanati."
Di nuovo un lungo brusio tra i presenti. Kabaef, però, appariva sconcertato più che contrariato. Cercava di darsi contegno e atteggiamento e con gesti nervosi continuava ad aggiustarsi il lungo ricciolo laterale della parrucca.
"Djoser! –scandì - Porti il nome di un Re-Dio e si dice che parli agli sciacalli del deserto e ai coccodrilli del fiume. Chi sei?”
“Sono figlio di Pthahotep, architetto di Ptha.” disse il ragazzo guardando dritto negli occhi l’uomo che tanta pena aveva causato a suo padre; fissava il suo ventre flaccido che si muoveva al ritmo delle parole e tratteneva a stento la collera.
“Il figlio di Pthahotep? Tu sei figlio dell’architetto della “Squadra del Sapere e della Conoscenza” che operava al
cantiere della Piramide del faraone Khufu?”
“Sono suo figlio!” rispose calmo il ragazzo; non un tremolio sulle sue labbra, non una scintilla di timore sul suo viso. Solo controllata freddezza.
“Questo ti dà l’audacia di affermare che stendendo una mano sei capace di far scaturire l’acqua dalla sabbia?” scandì Kabaef a labbra strette ma con calma, come a mostrare d’essere privo di debolezze comuni ad altri mortali. Man mano che parlava, però, andava
infervorandosi; la stizza della vecchiaia aumentava con le parole e i gesti concitati tradivano il nervosismo.
"Da bambino...” tentò di replicare Djoser.
L’altro non lo lasciò proseguire; non aveva ancora finito con l’interrogatorio, ma fatto solo una pausa per riprendere fiato.
”E’ vero che sai leggere nel futuro di un uomo e prevedere ciò che il Destino ha disposto per lui?” cominciò a
provocarlo.
“Da bambino ho sempre giocato tra i canneti senza che i coccodrilli mi arrecassero danno e qualche volta ho anche traghettato il fiume sul dorso di uno di loro. - spiegò con disarmante candore- Ed è vero che ho avuto due cuccioli di sciacallo come compagni dei miei giochi, così com’è vero che qualche volta nel deserto ho indicato il punto dove scavare un pozzo. Se mi chiedi, però, di spiegarti come questo sia stato possibile, non saprei come
risponderti.”
Kabaef gli lanciò un'occhiata sospettosa; le mani
continuavano a tormentare lo shebiu appeso al collo. Thaose, alle loro spalle, seguiva il dialogo con compiaciuto silenzio; Mosè ed Osorkon, in fondo alla sala, lo guardavano preoccupati.
“Sei proprio il figlio di Pthahotep, architetto di Ptha e Costruttore della Piramide del faraone Khufu?” continuava ad insistere Kabaef, cui la rabbia cominciasse a smarrirsi tra le rughe della fronte corrucciata.
“Sono il figlio dell’architetto Pthahotep, Sacerdote di Ptha e Funzionario di Giustizia nell’amministrazione del Culto Funerario della Piramide del faraone Snofru e della regina Hetepheres.” continuava a ripetere Djoser, con quel tono di sfida che disorientava il potente prete di Ra e proprio quell’attimo di debolezza dell’altro, permise a Djoser d’entrare nella sua mente e mettersi all’inseguimento dei suoi pensieri. Afferrarli, però, non era facile...
(continua)
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/1128664.jpg?306)
immagine di Longsden Long
LA COLLANA di SCHEGGE di Pietra
... COME TRASFORMARE UNA COLLANA DI PIETRE IN UNA COLLANA D'ORO
brano tratto dal libro
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/1033272.jpg?427)
immagine tratta da figurine Liebig
Fu nei sobborghi interni che i due amici fecero la loro prima incursione e Memfi, Bella ed Opulenta, si aprì come un cespuglio di loto carico di colori e profumi.
Lasciata la Grande Casa, i due imboccarono il viale di palme che conduceva al quartiere del "Sicomoro", il quartiere più grande che doveva il suo nome ai numerosi boschetti di sicomoro; laghetti e fontane, rallegrati da uccelli di diversa ala e dimensione, ne facevano un luogo pieno di delizie ed assai frequentato.
Un brusio proveniente dal fondo di uno di quei boschi attirò i due. Era un mercato e un’atmosfera vivace ed elettrizzante li coinvolse immediatamente. Mercanti e compratori, affluiti da altri quartieri, i primi a lodare e i secondi a deprezzare, erano impegnati in estenuanti contrattazioni. Egiziani, stranieri, donne, uomini, bambini, animali, tutti gridavano e facevano confusione, ma su tutti vigilava l’occhio onnipresente di guardie e funzionari addetti al controllo degli scambi delle merci.
Mosè si staccò dal collo una collanina di schegge di pietra.
"Vuoi vedere come trasformo questa collana di pietre in una catena d'oro?" disse al compagno, che lo guardava divertito e scettico.
"Vuoi farmi conoscere qualcuno dei tuoi trucchetti segreti?"
"A te? Oh no! Tu non hai bisogno di trucchetti, amico. – sorrise l'altro - Ma resta a guardare."
"Ah,ah,ah! Voglio proprio vedere come farai."
Il ragazzino si guardò intorno fino a quando i suoi occhi rapaci non puntarono un uomo accovacciato per terra a gambe incrociate, che offriva le sue ceste di grano e legumi.
"Ecco il mio uomo. E’ quel contadino laggiù. - disse prendendo l’amico per un braccio - Vieni.”
"Hai preso un colpo in testa? Non vedi quanto è grande e grosso?”
"Resta a guardare! - replicò Mosè, puntando deciso in direzione del contadino, poi - Ehi, tu!” lo apostrofò in tono deciso quando gli fu vicino. Questi sollevò subito la testa.
"Cerchi della farina per farne focaccine dolci e pane profumato, bel ragazzo? Qui puoi trovarla e la puoi portare a tua madre."
"Sì. Cerco proprio della farina da portare a mia madre. - rispose prontamente il Ratto - Come l'hai capito?”
Seguì una pausa breve e studiata, durante la quale l’uomo tentò di prendere la parola. Mosè non gliene dette il tempo.
“Oh! E’ chiaro! - riprese - Il tuo sguardo intelligente sa leggere dietro la mia fronte. Certo... Sì. Mia madre sarà contenta quando le porterò la farina. Mi chiederà: come hai capito che volevo della farina? Le risponderò che è stato un giovane assai intelligente a
capirlo per me. Sì! Mia madre ne sarà proprio contenta."
"Ma..." tentò ancora quello, alzandosi in piedi e sovrastandolo con l’imponente statura; Djoser, alle loro spalle, seguiva con espressione divertita il monologo dell'amico.
"Eccoti la mia collana da scambiare con la tua farina. Ascoltami bene, però. Ognuna di queste pietre solleva da un malanno. Osserva questa lunga e stretta: protegge dal male alla gola. Quest'altra, protegge dal male alla pancia. Prendila e provala su te stesso."
L'uomo prese la collana. La rigirò tra le mani, spostando lo sguardo dai grani di pietra alla faccia seriosa del piccolo lestofante che domandava:
"Dimmi... senti male alla pancia?"
Il contadino scosse il capo.
"Hai forse male alla gola?"
L'altro scosse ancora il capo.
"Ai denti?"
"No."
"Forse hai male alla testa?"
L’altro scosse il capo per l'ennesima volta.
"Hai visto? Stai bene perché hai nelle mani la mia collana."
Il contadino provò a muovere qualche riserva, ma la piccola canaglia prima lo rabbonì con le promesse poi lo sconfisse con le minacce: "Portando questa al collo - scandì - vivrai senza malanno alcuno. Questi non sono grani di pietra comune, ma frammenti di pietra divina. Sono schegge di pietra di dimore divine. Se la rifiutassi, rifiuteresti la protezione e testa, gola, denti…”
"Ma io la prendo." lo interruppe l'altro, convinto e spaventato.
"Non ne dubitavo. - esclamò il ragazzo con estrema faccia tosta - La tua intelligenza è davvero assai evidente."
"Vieni. Vieni." Djoser lo prese per un braccio e lo trascinò via con una smorfia di divertito rimprovero per tanta sfrontatezza.
Il Ratto lo seguì con la grossa cesta di farina sulle spalle; il suo volto aveva la placidità della superficie di uno stagno.
"Guarda laggiù." disse subito dopo; il suo sguardo aveva già colpito il secondo bersaglio: un venditore di sandali.
Stava seduto davanti alla sua bottega; una delle tante. In bella vista, fuori degli usci, erano esposti prodotti d’ogni genere e forma: sandali, fibule, vasi, cinture. I bottegai si davano gran da fare per attirare l’attenzione dei passanti.
I due ragazzi si avvicinarono e Mosè cominciò la sua sceneggiata. Toccava gli oggetti con fare da intenditore. Li girava e rigirava tra le mani; scuoteva la testa o faceva gesti di gradimento.
Il mercante abboccò immediatamente e si fermò alle loro spalle.
“Una sacca per i tuoi viaggi? – domandò - Una cintura o…”
"Sono solidi i tuoi sandali?" domandò il ragazzo.
"Metteranno le ali ai tuoi piedi e ti porteranno dove varrai."
E qui, l'impareggiabile piccola canaglia mise in atto lo straordinario talento acquisito durante la sua pur breve vita randagia: la capacità di confondere il prossimo.
"Mi piacerebbe raggiungere la mia meta." cominciò.
"Ecco i sandali adatti.- rispose gongolante il mercante, convinto
di averlo fatto abboccare all'amo del desiderio – Sono di solida corda di canapa, mio signore." aggiunse passando alla lode.
"Hhhhuuu..." il Ratto rispose con un incomprensibile verso.
"Chiunque li vedrà ai tuoi piedi desidererà averli ai propri.
"Devo prima liberarmi del mio peso." Mosè accennò alla cesta.
"Di quella posso liberarti io." insisteva l’altro.
"Sarebbe un buon affare per te, mercante, ma non per me. Questa farina viene dai magazzini reali. E' cibo per signori... ma io
non ho bisogno di cibo. Io ho bisogno di sandali."
"E sandali, io voglio darti." abboccò l'altro.
"Così sia! Anche se con questa farina potrei comprare stoffe di lino pregiato, io la cedo a te per questi
sandali."
Mosè lasciò la farina e prese i sandali; prima che il mercante potesse rifarsi i conti, si allontanò veloce. Fu subito fermato
da un venditore di profumi; un caldeo a giudicare dai suoi discorsi.
"Tendete il naso, gente. Neanche il profumo che attirò Ishtar verso l’altare del Tempio di Babilonia, era così
dolce."
Il Ratto si fermò; tese il naso verso l'ampolla.
"Oh! -recitò - Quello che dici è vero. A che mi serve andare fino a Babilonia con questi sandali per comprare profumi ed
unguenti alla mia bella, se quel dolce profumo è già qui?”
“Tu sì, che hai naso, o giovane signore.” fece il ragazzo...
(continua)
IL RO-STAU (La Buca) - La Porta dell'Oltretomba
IL RO-STAU
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/4756245.jpg?342)
La Porta dell'Oltretomba tratto dal libro "DJOSER e lo Scettro di Anubi"
se questo brano ha suscitato interesse e si volesse continuare la lettura, si può richiedere il libro direttmente presso: Società Editrice MONTECOVELLO
oppure alla propria libreria
il libro costa quando due pacchetti di sigarette, ma non è altrettanto dnnoso e sotiene il progetto NON SIAMO SOLI - SAVE THE CHILDREN (come riportato sul retro del libro)
Djoser si mosse. Gli pareva di navigare in un etra fluido e leggero, ma non era la sua volontà a condurlo, bensì una forza arcana ed estranea. Si voltò. Di nuovo lo assalirono nausea e vertigini, ma qualcuno lo sostenne. Djoser cercò il suo volto. Il movimento fece fluttuare l'aria intorno a lui. Fu in quel momento che la presenza percepita accanto a sé si manifestò.
Era un giovane. D’aspetto bellissimo, il volto era così radioso che per un attimo Djoser dovette chiudere gli occhi. Quando li riaprì, vide una testa che si levava nobile e dritta su un collo taurino e un volto ovale e bruno che pareva scolpito nel basalto. L'espressione era timida e dolce. Straordinariamente dolce. Lo sguardo, però, penetrante ed ardente, irrequieto come quello di un giovane toro, fiammeggiava, simile a oro fuso dai cangianti riflessi turchesi. La fronte, piatta e marmorea, si allungava verso il sincipite dove si inserivano due corna arcuate, levigate e lunghe; una stupefacente macchia bianca campeggiava al centro della fronte.
"Hapy!” sussurrò Djoser; quella presenza non gli ispirava alcun sentimento di paura.
"Divino Hapy, Alfiere di Ptha il Creatore – salutò -
Omaggio a Te che scendi dal cielo e dai da bere alla terra.”
“Djoser, Figlio della Terra. Abbandona tutto quanto ti lega al Mondo-di-Sopra. – la voce del Hapy gli penetrò il cervello -Trattieni qui il tuo Corpo e lascia lo Spirito libero di andare oltre gli Orizzonti-Inviolabili-del-Tempo.”
Djoser sollevò lo sguardo e incontrò quello del Signore del Nilo, turchese, magico e carico di splendore.
Stava sognando? Sotto i sandali non sentiva più il selciato del pavimento, ma nuda terra. Dov’era? Gli pareva di non aver mosso piede eppure era certo di trovarsi in un altro posto. E Hapy? Era anche Lui frutto del suo sogno? Era certo di no, com’era certo di avere già incontrato il Signore del Nilo nel suo aspetto umano.
Un ricordo nitido e chiaro riemerse dalla bruma del tempo infantile. Aveva due o tre anni e stava giocando sul greto del fiume, dietro casa, con l’amichetto del cuore: Amosis, Sikty, Neferptha... Sikhty. Forse Sikthy. Non ricordava con assoluta certezza il suo nome. Ricordava invece che era molto divertente raccogliere ciottoli e vermi sul greto del fiume che il ritiro delle acque lasciava scoperto. Divertente, ma pericoloso. Solo qualche metro più in là, le acque sprofondavano tanto da minacciare di inghiottirli. Proprio ciò che accadde quel giorno.
La voce di Hapy tornò a risuonargli nella mente.
“Risparmia animo e cuore per le prove che ti attendono, ma abbandona ogni paura, o Sa-ta, Figlio-della-Terra, e segui con
fiducia i passi della tua Guida.”
"Sono pronto a seguirti." disse Djoser e perfino la propria voce gli parve un grido che squarciasse il silenzio arcano ed immobile che era intorno a lui e dentro di lui, rotto soltanto dagli sguardi sfolgoranti del Dio. Era sempre fermo, i piedi sempre radicati nel suolo, eppure provava la stessa sensazione di quando scivolava lungo i budelli della Piramide di Khufu.
“Non sono Io la tua guida.” lo sorprese Hapy scuotendo il capo e
facendo fremere l’aria; la miriade di lucenti corpuscoli presenti
nell’aria, parevano scintille impazzite.
“Sarà Lui a guidarti fino alla prima delle Sette Arrit della Duat.”
Fu solo in quel momento che Djoser avvertì una seconda presenza nella stanza e sentì un soffio alitargli sul collo con il bruciore di una fiamma. Capì subito, senza nemmeno voltarsi, che si trattava di Anubi.
Si girò, con animo lieto e gioioso, ma precipitò nello sgomento: l’aspetto del Signore delle Tenebre-Profonde non era quello a lui familiare, gioviale ed un pò ironico. Non era l’aspetto amabile e cortese del compagno di giochi, del maestro sempre indulgente. Il sembiante di Anubi era simile ad una fiamma minacciosa. Gli occhi verdi ed incandescenti parevano pronti ad incenerire, denti e zanne a lacerare, mani ad artiglio a squartare.
Terribile ed Implacabile. Ecco il vero aspetto di Anubi. Così come lo aveva “visto” comparire davanti al principe Kabaef prima che gli succhiasse la vita con quello sguardo tremendo.
Terrorizzato, il ragazzo si girò verso Hapy, ma il Signore del Nilo non c’era più; al suo posto era rimasto un intenso profumo di loto e papiro e una miriade di scintille sempre più trasparenti.
Djoser balbettò qualcosa, ma la mano ad artiglio di Anubi lo toccò sulla spalla e la paura scivolò via dal suo spirito, come l’ombra del pomeriggio sulle case. Il ragazzo abbassò lo sguardo e nel breve battito di ciglia, che a lui parve lungo quanto l’Eternità, la Tenebra si squarciò davanti ai suoi occhi sollevando il primo velo dei Grandi Misteri di Ptha: la Gola del Ro-Stau, la grande Porta dell’Oltretomba.
Djoser la fissò irrigidito dalla paura. Il braccio di Anubi lo guidò e il ragazzo comprese la ragione per la quale lo Sciacallo Divino aveva assunto quel terribile aspetto: tre Demoni, armati di mannaie e coltelli, terrificanti a guardarsi, stavano venendo loro incontro per impedire l’accesso a quella Soglia.
Erano i Sorveglianti del Ro-Stau e al cospetto del Signore del Cammino-Nascosto, pur tra mugugni ed invettive, indietreggiarono. Prima di lasciarlo passare, però, per le Leggi che regolavano il Mondo-di-Sotto, pretesero di conoscere il
nome del pellegrino e che egli pronunciasse il loro, con la giusta intonazione.
Anubi fece un cenno affermativo del capo e il ragazzo recitò:
“Sono Djoser, figlio di Pthahotep, architetto di Ptha. Il mio ren è: Colui-che-esce-dai-papiri.”
“Da dove vieni?” chiese l’Araldo.
“Dalla terra di Ineb-Heg, il Muro Bianco di Memfi.”
“Che cosa sei venuto a fare qui?”
“Sono venuto per conoscere i segreti della Duat. Aprite il Ro-Stau e lasciatemi entrare. – ordinò - Io non sono arrivato qui impuro, ma provvisto di magia e conosco i vostri nomi: Mades è il tuo nome, Heri-sep è quello del tu compagno e tu sei Babi.”
I demoni abbassarono subito asce e mannaie e il grande portale si spalancò con un fragore assordante che lo fece trasalire, nondimeno, si apprestò ad oltrepassare la Buca del Mistero. Con un certo disagio, per la verità: il disagio del distacco che la Terra avverte quando la zappa le stacca una zolla dalla crosta. Era come se il suo essere si fosse scisso e parte di sé fosse rimasta fuori di quella Soglia. Non dolore fisico, ma piuttosto un disagio dello spirito per la perdita di qualcosa. Comprese di aver lasciato su quella Soglia la prima delle “identità” che componevano il suo essere umano: il ren, il nome segreto.
Un’altra delle identità era il Ka, lo Spirito. Era simile al djet, il corpo fisico, di cui era la copia esatta. C’era poi il Ba, l’Anima, che era la parte più intima dell’uomo. E c’era la Shut, l’Ombra. Infine c’erano l’Ib e l’Akh, il Cuore e il Corpo di Gloria. Sette, in totale, e lui provava quel senso di perdita che si avverte quando si smarrisce qualcosa di prezioso e vitale.
Che il ren fosse una questione molto importante per la creatura umana, Djoser lo sapeva assai bene. Vitale, per la verità, dal momento che neppure gli Dei potevano farne a meno. Non avere un nome equivaleva a non esistere. Possedere il nome segreto di un’altra persona
.
se questo brano ha suscitato interesse e si volesse continuare la lettura, si può richiedere il libro direttmente presso: Società Editrice MONTECOVELLO
oppure alla propria libreria
il libro costa quando due pacchetti di sigarette, ma non è altrettanto dnnoso e sotiene il progetto NON SIAMO SOLI - SAVE THE CHILDREN (come riportato sul retro del libro)
Djoser si mosse. Gli pareva di navigare in un etra fluido e leggero, ma non era la sua volontà a condurlo, bensì una forza arcana ed estranea. Si voltò. Di nuovo lo assalirono nausea e vertigini, ma qualcuno lo sostenne. Djoser cercò il suo volto. Il movimento fece fluttuare l'aria intorno a lui. Fu in quel momento che la presenza percepita accanto a sé si manifestò.
Era un giovane. D’aspetto bellissimo, il volto era così radioso che per un attimo Djoser dovette chiudere gli occhi. Quando li riaprì, vide una testa che si levava nobile e dritta su un collo taurino e un volto ovale e bruno che pareva scolpito nel basalto. L'espressione era timida e dolce. Straordinariamente dolce. Lo sguardo, però, penetrante ed ardente, irrequieto come quello di un giovane toro, fiammeggiava, simile a oro fuso dai cangianti riflessi turchesi. La fronte, piatta e marmorea, si allungava verso il sincipite dove si inserivano due corna arcuate, levigate e lunghe; una stupefacente macchia bianca campeggiava al centro della fronte.
"Hapy!” sussurrò Djoser; quella presenza non gli ispirava alcun sentimento di paura.
"Divino Hapy, Alfiere di Ptha il Creatore – salutò -
Omaggio a Te che scendi dal cielo e dai da bere alla terra.”
“Djoser, Figlio della Terra. Abbandona tutto quanto ti lega al Mondo-di-Sopra. – la voce del Hapy gli penetrò il cervello -Trattieni qui il tuo Corpo e lascia lo Spirito libero di andare oltre gli Orizzonti-Inviolabili-del-Tempo.”
Djoser sollevò lo sguardo e incontrò quello del Signore del Nilo, turchese, magico e carico di splendore.
Stava sognando? Sotto i sandali non sentiva più il selciato del pavimento, ma nuda terra. Dov’era? Gli pareva di non aver mosso piede eppure era certo di trovarsi in un altro posto. E Hapy? Era anche Lui frutto del suo sogno? Era certo di no, com’era certo di avere già incontrato il Signore del Nilo nel suo aspetto umano.
Un ricordo nitido e chiaro riemerse dalla bruma del tempo infantile. Aveva due o tre anni e stava giocando sul greto del fiume, dietro casa, con l’amichetto del cuore: Amosis, Sikty, Neferptha... Sikhty. Forse Sikthy. Non ricordava con assoluta certezza il suo nome. Ricordava invece che era molto divertente raccogliere ciottoli e vermi sul greto del fiume che il ritiro delle acque lasciava scoperto. Divertente, ma pericoloso. Solo qualche metro più in là, le acque sprofondavano tanto da minacciare di inghiottirli. Proprio ciò che accadde quel giorno.
La voce di Hapy tornò a risuonargli nella mente.
“Risparmia animo e cuore per le prove che ti attendono, ma abbandona ogni paura, o Sa-ta, Figlio-della-Terra, e segui con
fiducia i passi della tua Guida.”
"Sono pronto a seguirti." disse Djoser e perfino la propria voce gli parve un grido che squarciasse il silenzio arcano ed immobile che era intorno a lui e dentro di lui, rotto soltanto dagli sguardi sfolgoranti del Dio. Era sempre fermo, i piedi sempre radicati nel suolo, eppure provava la stessa sensazione di quando scivolava lungo i budelli della Piramide di Khufu.
“Non sono Io la tua guida.” lo sorprese Hapy scuotendo il capo e
facendo fremere l’aria; la miriade di lucenti corpuscoli presenti
nell’aria, parevano scintille impazzite.
“Sarà Lui a guidarti fino alla prima delle Sette Arrit della Duat.”
Fu solo in quel momento che Djoser avvertì una seconda presenza nella stanza e sentì un soffio alitargli sul collo con il bruciore di una fiamma. Capì subito, senza nemmeno voltarsi, che si trattava di Anubi.
Si girò, con animo lieto e gioioso, ma precipitò nello sgomento: l’aspetto del Signore delle Tenebre-Profonde non era quello a lui familiare, gioviale ed un pò ironico. Non era l’aspetto amabile e cortese del compagno di giochi, del maestro sempre indulgente. Il sembiante di Anubi era simile ad una fiamma minacciosa. Gli occhi verdi ed incandescenti parevano pronti ad incenerire, denti e zanne a lacerare, mani ad artiglio a squartare.
Terribile ed Implacabile. Ecco il vero aspetto di Anubi. Così come lo aveva “visto” comparire davanti al principe Kabaef prima che gli succhiasse la vita con quello sguardo tremendo.
Terrorizzato, il ragazzo si girò verso Hapy, ma il Signore del Nilo non c’era più; al suo posto era rimasto un intenso profumo di loto e papiro e una miriade di scintille sempre più trasparenti.
Djoser balbettò qualcosa, ma la mano ad artiglio di Anubi lo toccò sulla spalla e la paura scivolò via dal suo spirito, come l’ombra del pomeriggio sulle case. Il ragazzo abbassò lo sguardo e nel breve battito di ciglia, che a lui parve lungo quanto l’Eternità, la Tenebra si squarciò davanti ai suoi occhi sollevando il primo velo dei Grandi Misteri di Ptha: la Gola del Ro-Stau, la grande Porta dell’Oltretomba.
Djoser la fissò irrigidito dalla paura. Il braccio di Anubi lo guidò e il ragazzo comprese la ragione per la quale lo Sciacallo Divino aveva assunto quel terribile aspetto: tre Demoni, armati di mannaie e coltelli, terrificanti a guardarsi, stavano venendo loro incontro per impedire l’accesso a quella Soglia.
Erano i Sorveglianti del Ro-Stau e al cospetto del Signore del Cammino-Nascosto, pur tra mugugni ed invettive, indietreggiarono. Prima di lasciarlo passare, però, per le Leggi che regolavano il Mondo-di-Sotto, pretesero di conoscere il
nome del pellegrino e che egli pronunciasse il loro, con la giusta intonazione.
Anubi fece un cenno affermativo del capo e il ragazzo recitò:
“Sono Djoser, figlio di Pthahotep, architetto di Ptha. Il mio ren è: Colui-che-esce-dai-papiri.”
“Da dove vieni?” chiese l’Araldo.
“Dalla terra di Ineb-Heg, il Muro Bianco di Memfi.”
“Che cosa sei venuto a fare qui?”
“Sono venuto per conoscere i segreti della Duat. Aprite il Ro-Stau e lasciatemi entrare. – ordinò - Io non sono arrivato qui impuro, ma provvisto di magia e conosco i vostri nomi: Mades è il tuo nome, Heri-sep è quello del tu compagno e tu sei Babi.”
I demoni abbassarono subito asce e mannaie e il grande portale si spalancò con un fragore assordante che lo fece trasalire, nondimeno, si apprestò ad oltrepassare la Buca del Mistero. Con un certo disagio, per la verità: il disagio del distacco che la Terra avverte quando la zappa le stacca una zolla dalla crosta. Era come se il suo essere si fosse scisso e parte di sé fosse rimasta fuori di quella Soglia. Non dolore fisico, ma piuttosto un disagio dello spirito per la perdita di qualcosa. Comprese di aver lasciato su quella Soglia la prima delle “identità” che componevano il suo essere umano: il ren, il nome segreto.
Un’altra delle identità era il Ka, lo Spirito. Era simile al djet, il corpo fisico, di cui era la copia esatta. C’era poi il Ba, l’Anima, che era la parte più intima dell’uomo. E c’era la Shut, l’Ombra. Infine c’erano l’Ib e l’Akh, il Cuore e il Corpo di Gloria. Sette, in totale, e lui provava quel senso di perdita che si avverte quando si smarrisce qualcosa di prezioso e vitale.
Che il ren fosse una questione molto importante per la creatura umana, Djoser lo sapeva assai bene. Vitale, per la verità, dal momento che neppure gli Dei potevano farne a meno. Non avere un nome equivaleva a non esistere. Possedere il nome segreto di un’altra persona
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IL Mondo dei Faraoni
IL FARAONE
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Faraone Thutmosis III
FARAONE... da dove arriva questo termine? Il termine Faraone è la traduzione del greco PHAR-ON; traduzione, a sua volta, dell’antico termine egizio: PER-Aa, ossia, PALAZZO-DIVINO o CASA-DIVINA.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!
FARAONE: Incarnazione di Dio Abbiamo, oggi, l’abitudine di indicare con il termine FARAONE, Sovrani come Keope o Sesostri, vissuti in epoca della storia egizia piuttosto lontana.
In realtà, quello di FARAONE è un titolo attribuito ai sovrani del Nuovo Regno e, secondo alcuni studiosi, precisamente a Thutmosis III, sovrano della XVIII Dinastia, 1.200 anni circa a.C.
Erano cinque i titoli attribuiti ad un sovrano al momento della sua incoronazione:
- Horo: il Falco Divino di cui il sovrano era la manifestazione in terra.-
- Le Due Signore: (Uadjet – Cobra e Nekhbeth- Avvoltoio) Dee del Basso e Alto Egitto
- Horo d’Oro (evocazione della vittoria di Horo su Seth)
- Colui che appartiene al giunco e all’ape (simboli del Sud e del Nord dell’Egitto)
- Figlio di Ra
Qual è il significato della parola Faraone?
E’ la traduzione, effettuata da un gruppo di studiosi ebrei ad Alessandria d’Egitto, dell’antico termine egizio Per-aat in Far-aw
Per-aat, letteralmente significa: Palazzo Divino
Per meglio comprendere il concetto esaminiamo i seguenti termini egizi:
- Hut: significa dimora in senso lato
- Per: significa, invece, dimora in senso fisico e materiale (casa, palazzo, edificio..)
- Mer : infine, è la dimora, sempre in senso fisico, del defunto (piramide, mastaba..)
Il corpo del Sovrano era, dunque, la “dimora” dello spirito di Dio: la sua incarnazione.
Egli era il tramite fra Dio e l’Uomo ed era la manifestazione della “ma’at” ossia l’ Ordine Cosmico Naturale. Era colui che esercitava il potere sugli elementi della natura ed in particolare sulle Acque, sulle Piene e sull’avvicendarsi delle Stagioni.
Le origini del concetto di Regalità Divina risalgono ai tempi preistorici.
A quell’epoca, però, che segnava la fine del Matriarcato e l’inizio del Patriarcato, quella di un Re era una vera lotta contro il tempo.
Quando il potere cominciava a mancargli, a causa di malattie o decadimento fisico, il Sovrano veniva ucciso e il suo sangue o le ceneri, venivano sparse sui terreni per favorirne la fertilità.
In verità, tale consuetudine era presente in tutte le società preistoriche e non solo in quella egizia.
Solamente in epoca storica, la cruenta usanza del sacrificio del Re fu sostituita da un rituale magico.
Consisteva, questo rituale, chiamato Festa “Sed” o Giubileo Reale, in una cerimonia attraverso cui il Re doveva recuperare le forze vitali.
Erano celebrate dopo i 30 anni di regno, ma assai spesso anche ad intervalli più ravvicinati.
La Cerimonia durava quattro o cinque giorni, durante i quali venivano innalzate cappelle alle Divinità Protettrici del Paese (la dea Cobra e la dea Avvoltoio) e il Faraone cingeva le due Corone: del Nord e del Sud del Paese.
Il rituale comprendeva offerte alle Dee e processioni, ma anche un prova di vigore da parte del Sovrano, il quale doveva procedere ad una corsa simbolica per quattro volte: i quattro punti cardinali entro cui era racchiuso il territorio del Regno.
Feste del Giubileo, in realtà, si celebrano ancora oggi: vedi la regina Elisabetta d’Inghilterra, vedi i Papi, ecc.
Il FARAONE, dunque, non era considerato DIO oppure Figlio di DIO (come nelle prime Dinastie), bensì: Incarnazione di DIO.
Il corpo del Faraone era, cioè, il “Palazzo” in cui viveva lo Spirito del Dio: il dio Horo, per la precisione, figlio di Iside ed Osiride, i quali, tutti e tre insieme, formavano la TRIADE o Sacra Famiglia… niente di nuovo sotto questo Cielo!
FARAONE: Incarnazione di Dio Abbiamo, oggi, l’abitudine di indicare con il termine FARAONE, Sovrani come Keope o Sesostri, vissuti in epoca della storia egizia piuttosto lontana.
In realtà, quello di FARAONE è un titolo attribuito ai sovrani del Nuovo Regno e, secondo alcuni studiosi, precisamente a Thutmosis III, sovrano della XVIII Dinastia, 1.200 anni circa a.C.
Erano cinque i titoli attribuiti ad un sovrano al momento della sua incoronazione:
- Horo: il Falco Divino di cui il sovrano era la manifestazione in terra.-
- Le Due Signore: (Uadjet – Cobra e Nekhbeth- Avvoltoio) Dee del Basso e Alto Egitto
- Horo d’Oro (evocazione della vittoria di Horo su Seth)
- Colui che appartiene al giunco e all’ape (simboli del Sud e del Nord dell’Egitto)
- Figlio di Ra
Qual è il significato della parola Faraone?
E’ la traduzione, effettuata da un gruppo di studiosi ebrei ad Alessandria d’Egitto, dell’antico termine egizio Per-aat in Far-aw
Per-aat, letteralmente significa: Palazzo Divino
Per meglio comprendere il concetto esaminiamo i seguenti termini egizi:
- Hut: significa dimora in senso lato
- Per: significa, invece, dimora in senso fisico e materiale (casa, palazzo, edificio..)
- Mer : infine, è la dimora, sempre in senso fisico, del defunto (piramide, mastaba..)
Il corpo del Sovrano era, dunque, la “dimora” dello spirito di Dio: la sua incarnazione.
Egli era il tramite fra Dio e l’Uomo ed era la manifestazione della “ma’at” ossia l’ Ordine Cosmico Naturale. Era colui che esercitava il potere sugli elementi della natura ed in particolare sulle Acque, sulle Piene e sull’avvicendarsi delle Stagioni.
Le origini del concetto di Regalità Divina risalgono ai tempi preistorici.
A quell’epoca, però, che segnava la fine del Matriarcato e l’inizio del Patriarcato, quella di un Re era una vera lotta contro il tempo.
Quando il potere cominciava a mancargli, a causa di malattie o decadimento fisico, il Sovrano veniva ucciso e il suo sangue o le ceneri, venivano sparse sui terreni per favorirne la fertilità.
In verità, tale consuetudine era presente in tutte le società preistoriche e non solo in quella egizia.
Solamente in epoca storica, la cruenta usanza del sacrificio del Re fu sostituita da un rituale magico.
Consisteva, questo rituale, chiamato Festa “Sed” o Giubileo Reale, in una cerimonia attraverso cui il Re doveva recuperare le forze vitali.
Erano celebrate dopo i 30 anni di regno, ma assai spesso anche ad intervalli più ravvicinati.
La Cerimonia durava quattro o cinque giorni, durante i quali venivano innalzate cappelle alle Divinità Protettrici del Paese (la dea Cobra e la dea Avvoltoio) e il Faraone cingeva le due Corone: del Nord e del Sud del Paese.
Il rituale comprendeva offerte alle Dee e processioni, ma anche un prova di vigore da parte del Sovrano, il quale doveva procedere ad una corsa simbolica per quattro volte: i quattro punti cardinali entro cui era racchiuso il territorio del Regno.
Feste del Giubileo, in realtà, si celebrano ancora oggi: vedi la regina Elisabetta d’Inghilterra, vedi i Papi, ecc.
La Piramide: vera funzione della Piramide
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/153615.jpg?361)
LA VERA FUNZIONE DELLA PIRAMIDE
MER. Così, gli Antichi egizi chiamavano la Piramide: Mer, “Dimora dello spirito” (tomba); con il termine Per, invece, indicavano la Casa o il Palazzo.
Hut, per finire, serviva ad indicare la dimora in senso lato.
Il termine Faraone, ossia Per-oa, significa, dunque, Palazzo-Divino (incarnazione dello spirito Divino nel corpo mortale del Sovrano).
Era d’obbligo, tale premessa, per affermare che la Piramide, cioè la Mer, è una tomba o, più esattamente, il veicolo attraverso cui il Ka (spirito) del Faraone, poteva raggiungere gli Dei e farne parte.
Da sempre la funzione delle Piramidi e del loro Guardiano, la Sfinge, hanno scatenato ipotesi e speculazioni, che negli ultimi tempi è diventata quasi ossessione.
Fin dai tempi antichi, l’imponenza e la forma delle Piramidi, come anche di altri monumenti del passato dalle forme bizzarre e proporzioni colossali, hanno colpito la fantasia del viaggiatore.
Si sono cercati enigmi e misteri suggeriti più dalla suggestione che dalla conoscenza e si sono formulate teorie disinvolte, fantasiose, assurde e talvolta perfino ridicole, mai avallate da una seria ricerca scientifica o archeologica.
Quella dell’età delle Piramidi è un argomento che affascina l’uomo moderno il quale, vivendo nel mondo che conosciamo, ha bisogno di miti, leggende e fantasie.
Una fantasia è certamente quella di retrodatarne l’epoca di costruzione di qualche migliaio di anni, arrivando addirittura a scomodare antichissime civiltà come Atlantide (della cui esistenza non si hanno certezze) o gli extraterrestri, riconoscendo ai Faraoni e al popolo egizio, il solo ruolo di Custodi di quei capolavori di architettura, ingegneria e geometria.
E’ vero che ancora oggi non se ne conoscono bene le tecniche di costruzione e varie sono le ipotesi (alcune delle quali accettabili), ma è altrettanto vero che, accanto ad una Medicina assai progredita, gli Antichi Egizi disponevano di una Matematica e soprattutto di una Astronomia, con fini puramente utilitaristici. Studi e ricerche al riguardo, condotti con serietà, si ebbero solo nel secolo appena passato.
Si è cercato anche di attribuire la stessa mano alla costruzione delle Piramidi del Messico.
A parte la datazione, l’unico apparente riscontro lo si potrebbe avere nella forma “a gradoni” con la Piramide del faraone Djoser. Anche questa comparazione, però, cade se si riconosce una sostanziale differenza geometrica: quelle messicane, in realtà, non sono Piramidi, ma Tronchi-di-Piramidi.
Era sulla “terrazza” del Tronco che veniva collocato l’altare sacrificale, poiché era quella la sua funzione: un colossale altare sacrificale.
In Egitto, invece, era il Piramidion, cioè la cuspide della piramide, il punto centrale. Maat era il nome con cui si indicava il vertice della cuspide della Piramide e rappresentava la potenza e l’armonia cosmica: la Maat, per diritto di cronaca, era anche il potere concentrato nelle mani del Faraone che, della piramide-sociale, era il vertice.
Quando non si costruirono più Piramidi (dopo la XII Dinastia) si continuò a dotare le tombe di una cappella sormontata da un Piramidion.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le Piramidi furono frutto di ricerche, studi e tentativi falliti; di Piramidi (pur in rovina) se ne contano, in Egitto, più di ottanta, anche se quelle conosciute superano di poco il numero delle dita delle mani.
Ancora una precisazione, prima di fare un elenco di quelle più note: quello che noi gente moderna chiamiamo genericamente Piramide, era in realtà un grande complesso architettonico racchiuso da uno o più muri e costituito da diversi corpi:
- la Piramide
- il Tempio Funerario
- la Via Processionale
- il Tempio a Valle (con prospiciente il molo d’attracco)
MER. Così, gli Antichi egizi chiamavano la Piramide: Mer, “Dimora dello spirito” (tomba); con il termine Per, invece, indicavano la Casa o il Palazzo.
Hut, per finire, serviva ad indicare la dimora in senso lato.
Il termine Faraone, ossia Per-oa, significa, dunque, Palazzo-Divino (incarnazione dello spirito Divino nel corpo mortale del Sovrano).
Era d’obbligo, tale premessa, per affermare che la Piramide, cioè la Mer, è una tomba o, più esattamente, il veicolo attraverso cui il Ka (spirito) del Faraone, poteva raggiungere gli Dei e farne parte.
Da sempre la funzione delle Piramidi e del loro Guardiano, la Sfinge, hanno scatenato ipotesi e speculazioni, che negli ultimi tempi è diventata quasi ossessione.
Fin dai tempi antichi, l’imponenza e la forma delle Piramidi, come anche di altri monumenti del passato dalle forme bizzarre e proporzioni colossali, hanno colpito la fantasia del viaggiatore.
Si sono cercati enigmi e misteri suggeriti più dalla suggestione che dalla conoscenza e si sono formulate teorie disinvolte, fantasiose, assurde e talvolta perfino ridicole, mai avallate da una seria ricerca scientifica o archeologica.
Quella dell’età delle Piramidi è un argomento che affascina l’uomo moderno il quale, vivendo nel mondo che conosciamo, ha bisogno di miti, leggende e fantasie.
Una fantasia è certamente quella di retrodatarne l’epoca di costruzione di qualche migliaio di anni, arrivando addirittura a scomodare antichissime civiltà come Atlantide (della cui esistenza non si hanno certezze) o gli extraterrestri, riconoscendo ai Faraoni e al popolo egizio, il solo ruolo di Custodi di quei capolavori di architettura, ingegneria e geometria.
E’ vero che ancora oggi non se ne conoscono bene le tecniche di costruzione e varie sono le ipotesi (alcune delle quali accettabili), ma è altrettanto vero che, accanto ad una Medicina assai progredita, gli Antichi Egizi disponevano di una Matematica e soprattutto di una Astronomia, con fini puramente utilitaristici. Studi e ricerche al riguardo, condotti con serietà, si ebbero solo nel secolo appena passato.
Si è cercato anche di attribuire la stessa mano alla costruzione delle Piramidi del Messico.
A parte la datazione, l’unico apparente riscontro lo si potrebbe avere nella forma “a gradoni” con la Piramide del faraone Djoser. Anche questa comparazione, però, cade se si riconosce una sostanziale differenza geometrica: quelle messicane, in realtà, non sono Piramidi, ma Tronchi-di-Piramidi.
Era sulla “terrazza” del Tronco che veniva collocato l’altare sacrificale, poiché era quella la sua funzione: un colossale altare sacrificale.
In Egitto, invece, era il Piramidion, cioè la cuspide della piramide, il punto centrale. Maat era il nome con cui si indicava il vertice della cuspide della Piramide e rappresentava la potenza e l’armonia cosmica: la Maat, per diritto di cronaca, era anche il potere concentrato nelle mani del Faraone che, della piramide-sociale, era il vertice.
Quando non si costruirono più Piramidi (dopo la XII Dinastia) si continuò a dotare le tombe di una cappella sormontata da un Piramidion.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le Piramidi furono frutto di ricerche, studi e tentativi falliti; di Piramidi (pur in rovina) se ne contano, in Egitto, più di ottanta, anche se quelle conosciute superano di poco il numero delle dita delle mani.
Ancora una precisazione, prima di fare un elenco di quelle più note: quello che noi gente moderna chiamiamo genericamente Piramide, era in realtà un grande complesso architettonico racchiuso da uno o più muri e costituito da diversi corpi:
- la Piramide
- il Tempio Funerario
- la Via Processionale
- il Tempio a Valle (con prospiciente il molo d’attracco)
LA SFINGE
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SFINGE EGIZIA
Questo straordinario monumento è assurto a simbolo dei misteri che ancor oggi circondano la civiltà egizia. (misteri che studi ed inarrestabile ricerca, continuano a svelare) In realtà non ha nulla di misterioso, né di mitologico; ha, invece, come tutte le statue egizie, una ben precisa funzione: quella di proteggere.
“Proteggo la cappella della tua tomba
sorveglio la tua porta…” sta, infatti, scritto su un esemplare risalente alla XXVI Dinastia.
Corpo leonino e testa umana, sulla fronte l’urex, il cobra reale, la Sfinge simboleggia la natura divina del Faraone.
La Sfinge più famosa si trova a Gizah, porta il volto del faraone Kafra e risale al 2.570 a.C. – IV Dinastia, Antico Impero.
Nella storia dell'arte dell'uomo non c'è nulla che soprende quanto questo volto, simbolo del più profondo mistero.Sebbene non abbia rilasciato mai responsi né oracoli, Essa resta il monumento più enigmatico della stori dell'uomo e non soltanto del Paese che lo ospita.
Durante lo scorrere di tutti questi secoli, non c’è stata generazione capace di sottrarsi al suo fascino enigmatico.
Per gli Arabi era Abu-el-hol, ossia, “Padre della paura”, a testimonianza dei sentimenti di timore che l’immenso colosso di pietra era capace di suscitare in gente superstiziosa che la credeva una raffigurazione del male; per gli Antichi Egizi, però, era la Shepes-ank, “L’Immagine Vivente”, provvista di Ka e Ren = Spirito e Nome.
Imponente ed enigmatico, fin dall’antichità, questo colossale felino di pietra ha alimentato leggende ed aneddoti. (talvolta anche riprovevoli)
Ricordiamo il faraone Thutmosis IV che, ancora ragazzo, a seguito di un sogno in cui la Sfinge gli prometteva il trono se l’avesse liberata della sabbia che minacciava di seppellirla, le dedicò una stele. I Mamelucchi, qualche millennio dopo, l’aggredirono a cannonate, portandole via il naso e, più recentemente, avventurieri senza scrupoli usarono la dinamite per penetrare al suo interno nella speranza di trovarvi tesori.
Attualmente la sfinge di Gizah non gode di ottima salute.
Non è una novità. Più volte in passato si è tentato di rimetterla in sesto e ogni volta i risultati sono stati disastrosi.
Oggi ci si domanda: chi salverà la Sfinge?
Ma perché la Sfinge è così “malata”, mentre le Piramidi, di cui doveva essere “Il Protettore”, pur spogliate del pregiato rivestimento esterno, godono di buona salute?
A proposito di Piramidi, un detto recita così:
“L’uomo ha paura del Tempo,
ma il Tempo ha paura delle Piramidi!”
Le ragioni sono molteplici: tempo, vento, sabbia e, non ultima, l’opera dell’uomo. La vera causa sta, forse, nella sua stessa struttura morfologica.
Originariamente, l’immenso monumento era una collinetta di pietra calcarea da cui furono estratti i blocchi per le prime assise delle Piramidi di Keope e suo figlio Kafra. All’informe ammasso che ne restò e seguendone la naturale struttura morfologica, fu data la forma di un leone con testa umana che, rivestita di pietra pregiata, divenne la Shepes-ank, la “Immagine Vivente” di Atum-Ra, con il volto del faraone Khafra.
Oggi come ieri, sebbene mutilata e oltraggiata, continua a suscitare stupore e meraviglia ed è meta di milioni di turisti che, di giorno ne subiscono il fascino semplicemente osservandola e di sera vivono le suggestioni di spettacoli come “Suoni e Luci”
Fantasiose teorie sono sorte intorno alla Sfinge di Gizah, che si vuole, risalente ad epoca assai più remota, attribuendone la costruzione a civiltà sconosciute e misteriose come Atlantide o scomodando addirittura gli extraterrestri.
Accantonando queste improbabili teorie, prive di ogni serio supporto scientifico, quella di Gizah è l’esemplare più famoso di Sfinge egizia, ma ne esistono altre, altrettanto importanti per funzioni e caratteristiche.
Piccola, ma dal fascino particolare è quella della famosa Regina-Faraone Huthsepsut, custodita al Museo Egizio di Torino; androgina ed elegante, invece, è quella del faraone Amenopeth III.
Che dire del “Viale delle Sfingi” a Luxor e del “Viale delle Sfingi Criocefali” (a testa di montone) a Karnak?
Speriamo soltanto che, dopo aver attraversato indenni secoli e secoli, l’uomo moderno sappia custodire e conversare per altri millenni queste meraviglie.
VIALE DELLE SFINGI Vi sono molti esemplari di Sfingi, in Egitto. Vi sono viali interi. Come quello di Karnak, a Tebe.
Arrivando a Luxor, sempre a Tebe e visitando il Grande Tempio dedicato al dio Ammon, protettore della citta e capitale del Regno, si pensa che nulla possa esistere di così magnifico.
Basta, però, proseguire fino a Karnak per capire di avere di fronte il complesso architettonico più imponente del Paese: il Tempio di Karnak.
Tra Templi, Laghi Sacri, Viali e Strade Sacre e Cappelle e Statue, copre una superficie di oltre tre kilometri, da Karnak a Luxor.
Trionfa su tutto, però, il Viale delle Sfingi: costeggia il Nilo per oltre tre kilometri, ossia per tutto il percorso tra i due Templi.
ALTRE SFINGI Numersi esemplari di Sfingi si trovano sul territorio egiziano e sparsi per il mondo.
A Torino ve ne sono alcuni di gran pregio:
- La sfinge della regina Huthsepsut, di piccole dimensioni,ma di straordinaria pefezione tecnica.
- Le sfingi del faraone Amenopeth III, provenienti da Tebe, le quali nella loro imponenza testimoniano la funzione chiamate ad esercitare: quella di Protettore. Si trovavano, infatti, esemplari del genere, a fiancheggiare i monumentali accessi ai Grandi Templi.
Ka - Ba (Spirito - Anima)... la complessa spiritualità degli antichi egizi
La complessa spiritualità degli Antichi Egizi
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Era convinzione di questo straordinario popolo, che l’esistenza umana attraversasse tre momenti, tutti e tre fondamentali, misteriosi e complessi:
- la vita terrena
- la morte
- la vita ultraterrena
Già cinque secoli prima di Cristo, lo storico Erodoto scriveva:
“Gli Antichi Egizi erano un popolo che praticava il Culto dei Morti, ma amava intensamente la vita.”
Sembra una contraddizione, ma non lo è!
- La Vita terrena, dicevano gli Antichi Egizi, era un dono che gli Dei facevano alla creatura umana per consentirle di prepararsi alla vita ultraterrena: l’Eternità e l’Immortalità.
Questo popolo fu ossessionato dall’idea di Immortalità: per essa, eresse opere colossali come La Sfinge e le Piramidi, innalzò Templi e Santuari che sfidano ancora oggi il Tempo.
- La Morte, per il popolo nilotico, costituiva un passaggio tra la prima fase e la seconda e non era vissuta con l’ossessione dei giorni nostri. Poteva essere traumatica, certo, e certamente era rifuggita, ma, al contempo, accettata con fatalità e pragmatismo.
- La vita ultraterrena, ossia la Vita Eterna, desiderata ed agognata da tutti, non era, però, appannaggio dell’intera umanità, poiché bisognava meritarsela. Per comprendere appieno la profondità di questo pensiero filosofico, basta leggere qualcuna di quelle Massime Sapienziali che invitavano a vivere una vita terrena onesta e operosa e generosa:
“L’uomo litigioso causa disordini.”
“Non essere malvagio: la bontà genera simpatia.” oppure:
“Onora una vita di lavoro: l’uomo che non ha nulla diviene desideroso dell’altrui proprietà.”
“Agisci rettamente durante il tuo soggiorno terreno.”
E ancora:
“Aiuta le vedove e coloro che sono in lacrime.”
Per consentire tutto questo, dicevano gli Antichi Egizi, Dio aveva dotato la creatura umana di una complessa natura e di un certo numero di… per comodità le chiameremo entità, termine da cui esoterici e pseudo-studiosi, hanno sempre attinto a piene mani per le loro bizzarre dottrine, teorie e affermazioni.
Sette. Erano sette, queste entità, ognuna con un compito ben specifico.
- Djet: il corpo, deputato ad operare durante la vita terrena. Viveva fisicamente le esperienze di vita, come amare, lavorare, essere la salute o sopportare la malattia, ecc.
- Ka: chiamato anche “Doppio”. Copia esatta del djet, era fisicamente inconsistente, trasparente ed evanescente; corrispondeva a quello che noi, gente moderna, chiamiamo Spirito o Fantasma.
Era raffigurato con due braccia sollevate verso l’alto ed era quella, fra tutte le entità del defunto, che aveva il compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba per sottoporsi al Giudizio di Osiride.
- Ba: un po’ difficile, definire questa entità. Di sicuro era qualcosa di speciale, che solo la creatura umana possedeva e che la differenziava all’animale (senza anima).
Alla sottoscritta piace definirla la parte divina che è in ogni essere umano: l’Anima, che Dio trasfuse all’uomo quando lo creo, soffiandogli attraverso le narici. (concetto ripreso successivamente dalla cultura ebraica: basta leggere la Bibbia e la Creazione dell’uomo)
Il Ba è raffigurato come un uccello (quasi sempre un airone) con testa umana, forse a causa della presenza dei numerosi stormi d’uccelli che stazionavano sulle cime dei monti delle necropoli.
- Ib: il cuore, sede della coscienza e del carattere di ogni individuo.
- Shut: l’Ombra. Copia in negativo del djet, alla morte dell’individuo, l’Ombra si staccava dal corpo e vagava inquieta nell’attesa del Giudizio di Osiride. Accadeva anche che lo seguisse nell’Aldilà.
- Ren: il Nome. Era così importante, questa entità, da negare l’esistenza a chi non lo possedeva o non lo possedeva più. Basti pensare al deplorevole uso di cancellare da Templi e Monumenti, il nome di alcuni Faraoni scomodi, come il celeberrimo Akhenaton, al solo scopo di cancellarne la memoria.
- Akh: chiamato anche il Glorioso o il Luminoso.
Cosa accadeva ad una persona appena defunta?
Ecco il rituale cui era sottoposta e il mito, a cui il popolo egizio si aggrappava.
Convinto?... Immagino di sì!... Almeno quella parte del popolo tenuto nell’ignoranza!
Subito dopo il decesso, i Sacerdoti funerari prelevavano il cadavere e lo trasportavano alla Casa dell’Imbalsamazione per prepararlo “fisicamente” all’Immortalità.
Settanta o anche ottanta giorni, durava il processo di conservazione del corpo, ma qui, bisogna fare una distinzione fra Imbalsamazione e Mummificazione.
- la vita terrena
- la morte
- la vita ultraterrena
Già cinque secoli prima di Cristo, lo storico Erodoto scriveva:
“Gli Antichi Egizi erano un popolo che praticava il Culto dei Morti, ma amava intensamente la vita.”
Sembra una contraddizione, ma non lo è!
- La Vita terrena, dicevano gli Antichi Egizi, era un dono che gli Dei facevano alla creatura umana per consentirle di prepararsi alla vita ultraterrena: l’Eternità e l’Immortalità.
Questo popolo fu ossessionato dall’idea di Immortalità: per essa, eresse opere colossali come La Sfinge e le Piramidi, innalzò Templi e Santuari che sfidano ancora oggi il Tempo.
- La Morte, per il popolo nilotico, costituiva un passaggio tra la prima fase e la seconda e non era vissuta con l’ossessione dei giorni nostri. Poteva essere traumatica, certo, e certamente era rifuggita, ma, al contempo, accettata con fatalità e pragmatismo.
- La vita ultraterrena, ossia la Vita Eterna, desiderata ed agognata da tutti, non era, però, appannaggio dell’intera umanità, poiché bisognava meritarsela. Per comprendere appieno la profondità di questo pensiero filosofico, basta leggere qualcuna di quelle Massime Sapienziali che invitavano a vivere una vita terrena onesta e operosa e generosa:
“L’uomo litigioso causa disordini.”
“Non essere malvagio: la bontà genera simpatia.” oppure:
“Onora una vita di lavoro: l’uomo che non ha nulla diviene desideroso dell’altrui proprietà.”
“Agisci rettamente durante il tuo soggiorno terreno.”
E ancora:
“Aiuta le vedove e coloro che sono in lacrime.”
Per consentire tutto questo, dicevano gli Antichi Egizi, Dio aveva dotato la creatura umana di una complessa natura e di un certo numero di… per comodità le chiameremo entità, termine da cui esoterici e pseudo-studiosi, hanno sempre attinto a piene mani per le loro bizzarre dottrine, teorie e affermazioni.
Sette. Erano sette, queste entità, ognuna con un compito ben specifico.
- Djet: il corpo, deputato ad operare durante la vita terrena. Viveva fisicamente le esperienze di vita, come amare, lavorare, essere la salute o sopportare la malattia, ecc.
- Ka: chiamato anche “Doppio”. Copia esatta del djet, era fisicamente inconsistente, trasparente ed evanescente; corrispondeva a quello che noi, gente moderna, chiamiamo Spirito o Fantasma.
Era raffigurato con due braccia sollevate verso l’alto ed era quella, fra tutte le entità del defunto, che aveva il compito di intraprendere il viaggio nell’Oltretomba per sottoporsi al Giudizio di Osiride.
- Ba: un po’ difficile, definire questa entità. Di sicuro era qualcosa di speciale, che solo la creatura umana possedeva e che la differenziava all’animale (senza anima).
Alla sottoscritta piace definirla la parte divina che è in ogni essere umano: l’Anima, che Dio trasfuse all’uomo quando lo creo, soffiandogli attraverso le narici. (concetto ripreso successivamente dalla cultura ebraica: basta leggere la Bibbia e la Creazione dell’uomo)
Il Ba è raffigurato come un uccello (quasi sempre un airone) con testa umana, forse a causa della presenza dei numerosi stormi d’uccelli che stazionavano sulle cime dei monti delle necropoli.
- Ib: il cuore, sede della coscienza e del carattere di ogni individuo.
- Shut: l’Ombra. Copia in negativo del djet, alla morte dell’individuo, l’Ombra si staccava dal corpo e vagava inquieta nell’attesa del Giudizio di Osiride. Accadeva anche che lo seguisse nell’Aldilà.
- Ren: il Nome. Era così importante, questa entità, da negare l’esistenza a chi non lo possedeva o non lo possedeva più. Basti pensare al deplorevole uso di cancellare da Templi e Monumenti, il nome di alcuni Faraoni scomodi, come il celeberrimo Akhenaton, al solo scopo di cancellarne la memoria.
- Akh: chiamato anche il Glorioso o il Luminoso.
Cosa accadeva ad una persona appena defunta?
Ecco il rituale cui era sottoposta e il mito, a cui il popolo egizio si aggrappava.
Convinto?... Immagino di sì!... Almeno quella parte del popolo tenuto nell’ignoranza!
Subito dopo il decesso, i Sacerdoti funerari prelevavano il cadavere e lo trasportavano alla Casa dell’Imbalsamazione per prepararlo “fisicamente” all’Immortalità.
Settanta o anche ottanta giorni, durava il processo di conservazione del corpo, ma qui, bisogna fare una distinzione fra Imbalsamazione e Mummificazione.
Imbalsamazione o mummificazione?
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processo di imbalsamazione del corpo
La seconda era un “processo naturale” di conservazione del corpo e lo si praticò, all’incirca, fino alla IV o V Dinastia (epoca di Giza, Sakkara, ecc). Non occorreva intervenire sul corpo, poiché bastavano clima secco e temperature elevate.
La prima era, invece, un “processo artificiale”. Il corpo veniva svuotato degli organi molli (fegato, stomaco, intestino e polmone, i quali venivano conservati in appositi contenitori, conosciuti con il nome di vasi canopi) e il vuoto era riempito con paglia, resine, balsami; poiché non si praticava ancora la sutura delle ferite, queste tendevano ad aprirsi. Per ovviare all’inconveniente, il cadavere veniva avvolto in bende tenute insieme da una colla, scura e densa. Ancora oggi non se ne conosce bene il composto, che qualcuno chiamò (in egiziano): mummif (bitume), da cui la parola mummia.
Seguiva una cerimonia funebre officiata, alla presenza di amici e parenti, da Sacerdoti funerari, tra cui il sacerdote-sem, riconoscibile (in pitture parietali o papiri) dalla pelle di leopardo sulle spalle e il chery-webb, Sacerdote –lettore,riconoscibile dalla lunga stola bianca adagiata su una spalle.
Prima di calare il sarcofago nella tomba, si metteva in atto un complesso rituale conosciuto come “Il rito dell’apertura della Bocca”, che avrebbe restituito i sensi al defunto e gli avrebbe consentito una vita “normale”..
Cosa accadeva, nel frattempo alle altre entità?
Il Ba, l’Anima, usciva dalle narici e con forma di uccello con testa umana, volava sulle montagne della necropoli. Qui restava in attesa di congiungersi alle altre entità, dopo il Giudizio di Osiride.
Anche la Shut, separata dal corpo, restava in attesa e in caso di Giudizio sfavorevole, si aggirava di notte, arrecando ovunque terrore e danno. Qualche volta riusciva a seguire il Ka nel suo peregrinare lungo le vie dell’Oltretomba e, se il Giudizio di Osiride fosse stato sfavorevole, non c’era scampo neppure per essa.
-L’Ib, il Cuore, doveva raggiungere il Tribunale di Osiride per essere giudicato. Messo su uno dei piattelli della Sacra Bilancia di Maat, Dea della Verità e della Giustizia, doveva pesare non più della Sacra Piuma, che la Dea si staccava dal capo e poneva sull’altro piattello.
Ma… torniamo al Ka, lo Spirito. Era il solo (a parte il Cuore) fra tutte le entità del defunto, a mettersi in viaggio attraverso le oscure ed insidiose vie della Duat, l’Oltretomba egizia. Doveva affrontare creature spaventose come il serpente Apep,(meglio conosciuto con il nome di Apofi), il leone Akhet, il coccodrillo Shui e molte altre ancora; doveva percorrere fiumi dalle acque impetuose, laghi di fuoco, montagne di ghiaccio e… (chi più ne ha, più ne metta).
In questa impresa, però, non era né solo né sprovveduto: Divinità funerarie erano pronte ad aiutarlo e, naturalmente, la Magia... la magia, ancella della Religione o, più esattamente, sua comprimaria: il defunto, infatti, aveva a sua disposizione He-kau, formule magiche per affrontare pericoli e annientare nemici. Erano, per lo più, scritte su scarabei di pietra turchese; in alcune tombe ne sono stati trovati fino a novanta esemplari.
Giunto alla Sala del Tribunale, lo aspettavano Osiride e la Corte dei Quarantadue Spiriti, ognuno dei quali rappresentava un peccato: invidia, inganno, appropriazione indebita, ecc.)
Formule magiche, naturalmente, lo aiutavano a superare le difficoltà… D’altronde, bastava essere innocente di almeno Sette dei Quarantadue Peccati per scongiurare la fine.
Una fine davvero orrenda, quella riservata ai peccatori: le fauci di Ammit la Bestia, un ibrido con testa di ippopotamo, corpo di leone e coda di coccodrillo.
Il Ka che fosse riuscito a superare il Giudizio, poteva fare due cose (e di solito le faceva entrambe): restare nell’Oltretomba e soggiornare negli Hotep Jaru, il Paradiso egizio, come Spirito, oppure tornare nella hut-ka, la tomba, dove lo aspettava il corpo imbalsamato e dove poteva congiungersi alle altre entità e vivere fisicamente in quella dimora.
Era quello, infatti, lo scopo della preservazione del corpo fisico: dare un supporto allo Spirito e permettere al defunto la sua Vita Eterna.
E l’Akh, il Luminoso?
All’interno della tomba poteva accadere uno strano fenomeno: dopo un po’, il corpo di un defunto innocente e virtuoso cominciava ad emanare luce. Meno erano i peccati, più intensa si faceva la luce: un modo poetico, forse, degli Antichi Egizi, di spiegarsi il fenomeno dei fuochi
L'struzione nell'Antico Egitto
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LO SCRIBA
Che lo scriba abbia costituito l’ossatura dello Stato, nell’Antico Egitto, lo sanno tutti, ma vediamo come si esprimevano a suo riguardo i suoi contemporanei.
Per indurre lo scolaro allo studio, nei libri di testo sta scritto così:
“Qualsiasi povero ignorante è simile ad un asino gravato di pesante soma, spronato dallo scriba.”
e ancora:
“Il sapiente istruito è ben pasciuto grazie al suo sapere. Leggi e apprendi ciò che capita al contadino: i parassiti divorano metà del suo raccolto e l’ippopotamo il resto. Poi arriva lo scriba a riscuotere le tasse e con lui ci sono gli aiutanti armati di bastone…”
Ma, troviamo scritto anche:
“Potessi farti amare i libri più di tua madre. Potessi portare la loro bellezza davanti a te… Quella dello scriba è la più grande professione e se uno inizia ad aver successo, anche se è ragazzo, è onorato dagli uomini.”
o anche:
“… non c’è professione che non sia senza un superiore, se non quella dello scriba… egli stesso un superiore.”
Diventare scriba! Era questa la comune aspirazione, presso il popolo dell’Antico Egitto.
Quella dello scriba, infatti, era una carriera aperta a tutti… Teoricamente, almeno!
Era, senza dubbio, una carriera selettiva, per allievi dotati, anche se appartenenti alle classi più umili.
Allievi dotati, dunque. Dotati, intelligenti e scaltri, poiché lo scriba occupava sempre un dei gradi di sacerdozio… e i sacerdoti, recitava un detto, dovevano: essere scaltri come falchi e apparire candidi come colombe.
Quella degli scribi era una casta di uomini rispettati e onorati, circondati di un’aureola di mistero.
Gli Antichi Egizi, infatti, quelli ignoranti ed illetterati, che costituivano la maggior parte della popolazione, erano fortemente impressionati dalla cultura e dalle capacità di questo burocrate; dal fatto che egli fosse capace di imprigionare la parola sul papiro e conoscesse l’aritmetica, che gli permetteva di calcolare sulla carta, nel proprio ufficio, la razione di pani ed altri beni da destinare come retribuzione agli operai, senza il bisogno di maneggiarli uno ad uno.
Assieme agli Alti Dignitari e Funzionari, lo Scriba costituiva la burocrazia dello Stato e le sue mansioni non erano di semplice copiatura di testi, come spesso si è indotti a pensare.
Egli svolgeva mansioni di rilevamenti e calcoli relativi ai confini di proprietà di terreni, al drenaggio di canali, al calcolo delle retribuzioni di operai e contadini ed a molte altre incombenze, compresa quella dell’insegnamento.
Ogni scriba possedeva un sigillo personale, a forma di anello, che apponeva sui documenti per comprovarne l’autenticità e il valore.
La qualifica di scriba era così apprezzata che principi ed alti funzionari amavano farsi raffigurare nelle vesti e funzioni di scriba, per
avere un aspetto più ieratico e spirituale.
Lo stesso Faraone amava atteggiarsi a Scriba.
Fin dalle Dinastie più antiche troviamo titoli curiosi, quali: “Scriba della Terra Grassa”, “Scriba delle bocche che conducono i canali degli acquitrini”.
E ancora:
“Scriba reale”, “Scriba del Libro Sacro della Casa della Vita”.
La Casa della Vita era la Scuola Templare.
Una carriera assai ambita, dunque, quella dello scriba, che richiedeva un lungo percorso di preparazione e formazione, aperto a tutti e molto selettivo, come si è già detto. Un percorso assai duro ed impegnativo che includeva anche l’uso della verga e di altre punizioni corporali... come vedremo nell'articolo che seguito:
LA SCUOLA NELL'ANTICO EGITTO
Che lo scriba abbia costituito l’ossatura dello Stato, nell’Antico Egitto, lo sanno tutti, ma vediamo come si esprimevano a suo riguardo i suoi contemporanei.
Per indurre lo scolaro allo studio, nei libri di testo sta scritto così:
“Qualsiasi povero ignorante è simile ad un asino gravato di pesante soma, spronato dallo scriba.”
e ancora:
“Il sapiente istruito è ben pasciuto grazie al suo sapere. Leggi e apprendi ciò che capita al contadino: i parassiti divorano metà del suo raccolto e l’ippopotamo il resto. Poi arriva lo scriba a riscuotere le tasse e con lui ci sono gli aiutanti armati di bastone…”
Ma, troviamo scritto anche:
“Potessi farti amare i libri più di tua madre. Potessi portare la loro bellezza davanti a te… Quella dello scriba è la più grande professione e se uno inizia ad aver successo, anche se è ragazzo, è onorato dagli uomini.”
o anche:
“… non c’è professione che non sia senza un superiore, se non quella dello scriba… egli stesso un superiore.”
Diventare scriba! Era questa la comune aspirazione, presso il popolo dell’Antico Egitto.
Quella dello scriba, infatti, era una carriera aperta a tutti… Teoricamente, almeno!
Era, senza dubbio, una carriera selettiva, per allievi dotati, anche se appartenenti alle classi più umili.
Allievi dotati, dunque. Dotati, intelligenti e scaltri, poiché lo scriba occupava sempre un dei gradi di sacerdozio… e i sacerdoti, recitava un detto, dovevano: essere scaltri come falchi e apparire candidi come colombe.
Quella degli scribi era una casta di uomini rispettati e onorati, circondati di un’aureola di mistero.
Gli Antichi Egizi, infatti, quelli ignoranti ed illetterati, che costituivano la maggior parte della popolazione, erano fortemente impressionati dalla cultura e dalle capacità di questo burocrate; dal fatto che egli fosse capace di imprigionare la parola sul papiro e conoscesse l’aritmetica, che gli permetteva di calcolare sulla carta, nel proprio ufficio, la razione di pani ed altri beni da destinare come retribuzione agli operai, senza il bisogno di maneggiarli uno ad uno.
Assieme agli Alti Dignitari e Funzionari, lo Scriba costituiva la burocrazia dello Stato e le sue mansioni non erano di semplice copiatura di testi, come spesso si è indotti a pensare.
Egli svolgeva mansioni di rilevamenti e calcoli relativi ai confini di proprietà di terreni, al drenaggio di canali, al calcolo delle retribuzioni di operai e contadini ed a molte altre incombenze, compresa quella dell’insegnamento.
Ogni scriba possedeva un sigillo personale, a forma di anello, che apponeva sui documenti per comprovarne l’autenticità e il valore.
La qualifica di scriba era così apprezzata che principi ed alti funzionari amavano farsi raffigurare nelle vesti e funzioni di scriba, per
avere un aspetto più ieratico e spirituale.
Lo stesso Faraone amava atteggiarsi a Scriba.
Fin dalle Dinastie più antiche troviamo titoli curiosi, quali: “Scriba della Terra Grassa”, “Scriba delle bocche che conducono i canali degli acquitrini”.
E ancora:
“Scriba reale”, “Scriba del Libro Sacro della Casa della Vita”.
La Casa della Vita era la Scuola Templare.
Una carriera assai ambita, dunque, quella dello scriba, che richiedeva un lungo percorso di preparazione e formazione, aperto a tutti e molto selettivo, come si è già detto. Un percorso assai duro ed impegnativo che includeva anche l’uso della verga e di altre punizioni corporali... come vedremo nell'articolo che seguito:
LA SCUOLA NELL'ANTICO EGITTO