IL RAIS
Amori fra le dune
(Cap. X - XIII)
CAP. X Nell'Harem del Sultano
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Doha. Palazzo del Sultano.
Kassida, la bella favorita del Sultano, si lasciò scivolare sul morbido cuscino del largo sedile appoggiato alla ringhiera della terrazza; qualcuno, nel cortile, che stava entrando in quel momento, attrasse la sua attenzione.
Si trattava di un uomo. Un europeo. Indossava una giacca color kaki dallo stile coloniale, ma in testa esibiva un copricapo arabo e portava un fucile a tracolla e un pugnale alla cintola.
La donna lo seguì con sguardo incuriosito. A quella distanza non poteva vederlo bene in volto, ma il suo passo altero e svelto, il portamento sicuro e la figura elegante e longilinea, la interessarono immediatamente.
Lo vide parlare con l’ufficiale di guardia e poi, insieme a questi, allontanarsi lungo un colonnato e scomparire entro l’enorme portone, dove altri soldati erano di guardia.
Lentamente la donna si ritrasse dalla ringhiera;. Accarezzandosi con compiacimento i bracciali d’oro che le ornavano i polsi, raggiunse un gruppo di donne dagli oziosi atteggiamenti: la sua mente, però, era ancora completamente occupata dalla figura dello straniero.
Sempre scortato dalle guardie, intanto, costui aveva raggiunto una delle sale d’attesa e mostrava al suo accompagnatore una viva impazienza.
“Devo parlare subito con Sua Altezza, capitano. – stava dicendo – E quando dico subito, - aggiunse in tono perentorio e quasi di comando – voglio dire che non posso aspettare.”
“Chi non vuole aspettare? Chi vuol dettare leggi?”
Una voce sgradevole ed imperiosa li fece voltare entrambi: Sayed Alì, il sultano di Doha, era entrato nella stanza e la sua faccia era assai corrucciata.
"Io! – esclamò l’europeo per nulla impressionato – Sir Richard Reginald Scott, addetto al Servizio Estero di Sua Maestà, la regina Vittoria.”
Il Sultano mutò subito d’atteggiamento e il corruccio si trasformò in cordiali sorrisi; la voce, però, conservò il tono glaciale e tagliente.
“Benvenuto nella mia casa, sir Reginald.” salutò.
“Sono portavoce del rammarico della mia Sovrana, Altezza.” riprese il lord inglese in tono altrettanto tagliente.
“L’intesa del mio popolo con quello di Sua Maestà – il Sultano pareva sinceramente stupito – è perfetto sir. E nulla, io vedo, che possa turbarla.”
“Sua Maestà sarebbe molto dispiaciuta se questo felice rapporto dovesse minimamente incrinarsi.” rincarò il lord, avanzando nella sala.
Sayed Alì si schiarì la voce; gli occhi fangosi, affondati fra due grossi lembi adiposi, si posarono sull’ospite con espressione pacata, di affettata bonomia; piccoli scatti trattenuti, però, rivelavano
collera repressa e malcelata aggressività.
Con un ampio gesto della mano, il sultano invitò l’ospite a prendere posto accanto a lui sul divano;
il primo ministro, in piedi alla sua sinistra, squadrò l’inglese da capo a piedi, tossì, poi:
“Perché non gli chiedete di mostrarci le sue credenziali, Altezza?” suggerì.
Il Sultano rivolse all’ospite un sorriso eloquente.
Sir Richard non si scompose; estrasse dalla tasca interna della giubba un pezzo di carta e lo tese al Sultano: era il condotto della Compagnia Britannica per l’ispezione delle sue carovane.
“Sua Maestà contava molto sulle perle che il Sultano di Doha le aveva promesso.” disse senza preamboli il lord inglese.
“Sua Maestà avrà perle ancora più belle.” lo rassicurò il Sultano.
“Sua Maestà desiderava proprio quelle.” insistette l’inglese.
“Ne avrà di molto più belle.”
Anche il Sultan insisteva, a difesa della propria posizione.
“Capricci delle donne! – sir Richard sorrise un po’ ironico – Voi, Altezza, le conoscete bene e lo sapete… e… e sapete anche che questa signora non è una Favorita…. E’ la Regina d’Inghilterra!”
“Che Allah lo stramaledica!” sbottò il Sultano e sir Richar balzò in piedi simulando l’ira più sacra.
“Altezza!… State parlando della mia Sovrana!” proruppe in tono comicamente risentito.
“Ma che cosa avete capito, sir? Io stavo maledicendo quel dannato predone – s’affrettò a chiarire l’altro – Che Allah lo sprofondi nell’Inferno!… Ma ho già la trappola pronta per il nostro leone!”
“Ma davvero? E di che trappola si tratta?”
“Di una trappola molto efficace, sir. – interloquì il primo ministro – Molto efficace!”
“Perdonate, sir Reginald. – il Sultano si alzò, raggiunse il suo funzionario, gli pose una mano sulla spalla – Il nostro primo ministro è di natura assai sospettosa.” disse in tono insinuante.
“Lodevole! Lodevole! – rispose ironico il lord – La prudenza è una virtù, Altezza. Lasciamo che il vostro Primo Ministro resti un uomo virtuoso!”
“Parlate da uomo saggio. – il Sultano incassò, nonostante l’ironia sempre più mordace del suo ospite – Venite. Vi mostrerà le gemme che presto orneranno la grazia della vostra Regina.”
I tre si alzarono e lasciarono il salotto.
Durante il tragitto, tra corridoi e colonnati, sir Richard si augurava che la sua Regina potesse essere finalmente accontentata e il Sultano assicurava che la cosa sarebbe sicuramente avvenuta. Proseguirono ancora, fino a raggiungere una saletta, strettamente sorvegliata da guardie armate quasi interamente occupata da casse di ogni genere e dimensione, tutte sigillate.
“La carovana è già pronta a partire. – disse Sayed – Aspetto per questa sera l’arrivo del capo carovana.”
“Spero sia più fortunato del predecessore.” sospirò sir Richard.
“Ibrahim ab Assan era un uomo coraggioso, sir. – replicò con durezza Sayed, poi aggiunse, accennando ai soldati armati – Proprio come questi uomini, che rispondono del carico con la loro vita.”
“Questi uomini riusciranno a mantenersi coraggiosi di fronte alla terribile jatagan del rais dei Kinda?” replicò a sua volta l’inglese.
“Questi uomini non temono la morte.” fu la secca risposta del Sultano.
“Neppure io! – rispose altrettanto seccamente sir Richard – Francamente, però, preferirei evitare certi incontri. Ah.ah.ah..” rise e l’altro, indispettito, domandò:
“Conoscete la storia del Veglio della Montagna?”
“Ne ho vaga conoscenza.” confessò il lord.
“Allora ascoltate… Intorno all’anno mille e cento – cominciò il Sultano – viveva in Siria lo sceicco Ridwan. – nel frattempo, avevano lasciato la sala, diretti verso una scalinata – Ridwan era un uomo potente e un capo religioso assai influente.”
“Interessante!” disse distrattamente il lord.
“Ridwan riuscì ad impadronirsi della fortezza di Pasyaf, che sorgeva su una roccia altissima e ripida, a strapiombo sul mare. La sua storia, la sua figura salda come una roccia, la sua età venerabile, la lunghissima barba bianca, fecero di lui una leggenda. Lo chiamavano tutti: il Veglio della Montagna.”
“Interessante!” disse per la seconda volta il lord.
“Un uomo che non conosceva ostacoli, - continuava il Sultano, ignorando il disinteresse dell’ospite – Un uomo che si sbarazzava dei nemici con un mezzo davvero inusitato.”
“Quale?” domandò sir Richard.
“Li faceva uccidere dai suoi hashishin!”
“Hashishin?::: Chi erano costoro?”
“Giovani prestanti e fedelissimi, che Ridwan iniziava all’hashish… sapete che cos’è l’hashish, vero, sir?”
“Certo!”
“Il potere di questa droga che inebria… i suoi effetti, credetemi, sir… i suoi effetti, voi occidentali, neppure li immaginate!”
“Al contrario, Altezza! Sappiamo bene gli effetti devastanti di questa triste spezia.”
Sir richard mostrò improvviso interesse al racconto.
“Questa spezia… come la chiamate voi, sir, rende intrepido un uomo pavido e feroce un uomo mite.”
“Per mille balene!” proruppe il lord.
“Il Veglio della Montagna, - avevano raggiunto il terrazzo, affacciato su un pauroso strapiombo – soggiogava le menti di quei giovani con l’uso di quella droga e prometteva beatitudini eterne a chi fosse stato pronto a sacrificarsi nel nome di Allah!”
“Terrificante!” esclamò l’inglese, spingendo lo sguardo di sotto, in fondo allo strapiombo, dove rocce aguzze spuntavano dalla schiuma bianca del mare.
“So che cosa vi chiedete, sir. – un sorriso indecifrabile stesse le già sottili labbra del Sultano – Perché io vi abbia raccontato tutto questo – il lord fece un cenno del capo e l’altro proseguì - E’ nello stesso modo, sir, che io vincerò sul rais dei Kinda. Lo annienterò nello spirito, prima di spingerlo verso la morte.”
Sir Richard guardò di sotto le rocce affioranti dall’acqua.
“Sembrate sicuro del fatto vostro, Altezza.” disse; l’altro sorrise ancora, in quel modo enigmatico e pieno di torbido.
“Dispongo anch’io di giovani pronti ad entrare nel Regno di Allah cantando e gioiendo.”
L’inglese non replicò e seguì l’ospite lungo un corridoio recintato; dal fondo provenivano canti e risate di donne; sir Richard capì di trovarsi vicino all’harem, al primo piano.
“Difficile cancellare una leggenda.” sentenziò.
Una ragazza sbucò correndo da dietro una tenda; si fermò, davanti ai due e con mano lesta si calò sul volto il velo; non abbastanza in fretta, però, da non permettere allo straniero di profanarla con il suo sguardo. Sir Richard, però, che ben conosceva l’usanza delle donne arabe di coprirsi il volto in presenza di estranei, fu veloce nel girare il capo da un’altra parte, salvando se stesso e la malcapitata dall’ira del Sultano.
La ragazza era già scomparsa dietro una porta ed un lesto battimano segnò un fuggi-fuggi generale al passaggio dei due; solo una o due donne anziane e alcune ancelle, ardirono mostrarsi a volto scoperto.
Davanti ad una porta un uomo armato li fermò. Il soldato si rivolse al Sultano in strettissimo arabo, cosicché l’inglese non riuscì capire quanto i due stessero dicendosi, infine Sayd esclamò:
“Vogliate perdonarmi, sir, ma devo assentarmi.”
“Non datevi pena, altezza. – rispose l’inglese, che gongolava all’inaspettata occasione – La mia visita è terminata e vi chiedo di congedarmi.”
“Oh, no! – sorrise enigmatico il sultano – Allah sarebbe in collera con me se non vi concedessi degna ospitalità. Aspettatemi. Vi raggiungerò più tardi, ma… - aggiunse ammiccante – non abbiate paura di annoiarvi: ho provveduto alla vostra compagnia.”
“Vi ringrazio, altezza, ma preferisco continuare a visitare il palazzo.”
Rimasto da solo, sir Richard si diresse veloce là dove il pensieroso spingeva: Rashid gli aveva spiegato che gli appartamenti della principessa Jasmine erano proprio al primo piano e con un po’ di fortuna vi sarebbe arrivato.
Di fortuna, in verità, l’audace inglese ne aveva davvero bisogno e la capricciosa Dea bendata decise di favorirlo. Penetrare negli appartamenti della principessa Jasmine fu un gioco da ragazzi. Addirittura fin troppo facile: neppure una guardia a fermarlo.
Senza fermarsi a meditare su quella inaspettata e favorevole circostanza, il giovane entrò ed uscì attraverso due stanze comunicanti. Attratto da una terza porta socchiusa, l’aprì. Era vuota. Dappertutto c’erano oggetti sparsi col disordine di chi è stato costretto ad una partenza improvvisa o ad una fuga precipitosa.
Rumori di passi in avvicinamento lo costrinsero a cercare riparo. Infilò una porta laterale e la fortuna continuò a proteggerlo: la porta dava su un terrazzino da cui una scaletta scendeva fino al piano sottostante.
Qui, si ritrovò pressappoco nello stesso punto da cui era partito.
Con affettata noncuranza si diresse verso l’uscita, giusto in tempo per vedere il sultano in compagnia di un uomo. Si nascose tra la porta e il muro e rimase a guardare attraverso la fessura. Quando i due gli passarono davanti ebbe un sobbalzo: un enorme scarabeo d’oro, simile a quello visto al collo del povero Almos e dell’indiano Hambok, pendeva sul petto dello sconosciuto.
“Per tutte le balene dell’Oceano! – proruppe tra sé – Ma quello scarabeo… Quell’uomo appartiene alla setta di Hambok… Perché è in compagnia del Sultano?”
Immobile aspettò che i due si furono allontanati, poi raggiunse l’uscita per lasciare furtivamente il palazzo.
Kassida, la bella favorita del Sultano, si lasciò scivolare sul morbido cuscino del largo sedile appoggiato alla ringhiera della terrazza; qualcuno, nel cortile, che stava entrando in quel momento, attrasse la sua attenzione.
Si trattava di un uomo. Un europeo. Indossava una giacca color kaki dallo stile coloniale, ma in testa esibiva un copricapo arabo e portava un fucile a tracolla e un pugnale alla cintola.
La donna lo seguì con sguardo incuriosito. A quella distanza non poteva vederlo bene in volto, ma il suo passo altero e svelto, il portamento sicuro e la figura elegante e longilinea, la interessarono immediatamente.
Lo vide parlare con l’ufficiale di guardia e poi, insieme a questi, allontanarsi lungo un colonnato e scomparire entro l’enorme portone, dove altri soldati erano di guardia.
Lentamente la donna si ritrasse dalla ringhiera;. Accarezzandosi con compiacimento i bracciali d’oro che le ornavano i polsi, raggiunse un gruppo di donne dagli oziosi atteggiamenti: la sua mente, però, era ancora completamente occupata dalla figura dello straniero.
Sempre scortato dalle guardie, intanto, costui aveva raggiunto una delle sale d’attesa e mostrava al suo accompagnatore una viva impazienza.
“Devo parlare subito con Sua Altezza, capitano. – stava dicendo – E quando dico subito, - aggiunse in tono perentorio e quasi di comando – voglio dire che non posso aspettare.”
“Chi non vuole aspettare? Chi vuol dettare leggi?”
Una voce sgradevole ed imperiosa li fece voltare entrambi: Sayed Alì, il sultano di Doha, era entrato nella stanza e la sua faccia era assai corrucciata.
"Io! – esclamò l’europeo per nulla impressionato – Sir Richard Reginald Scott, addetto al Servizio Estero di Sua Maestà, la regina Vittoria.”
Il Sultano mutò subito d’atteggiamento e il corruccio si trasformò in cordiali sorrisi; la voce, però, conservò il tono glaciale e tagliente.
“Benvenuto nella mia casa, sir Reginald.” salutò.
“Sono portavoce del rammarico della mia Sovrana, Altezza.” riprese il lord inglese in tono altrettanto tagliente.
“L’intesa del mio popolo con quello di Sua Maestà – il Sultano pareva sinceramente stupito – è perfetto sir. E nulla, io vedo, che possa turbarla.”
“Sua Maestà sarebbe molto dispiaciuta se questo felice rapporto dovesse minimamente incrinarsi.” rincarò il lord, avanzando nella sala.
Sayed Alì si schiarì la voce; gli occhi fangosi, affondati fra due grossi lembi adiposi, si posarono sull’ospite con espressione pacata, di affettata bonomia; piccoli scatti trattenuti, però, rivelavano
collera repressa e malcelata aggressività.
Con un ampio gesto della mano, il sultano invitò l’ospite a prendere posto accanto a lui sul divano;
il primo ministro, in piedi alla sua sinistra, squadrò l’inglese da capo a piedi, tossì, poi:
“Perché non gli chiedete di mostrarci le sue credenziali, Altezza?” suggerì.
Il Sultano rivolse all’ospite un sorriso eloquente.
Sir Richard non si scompose; estrasse dalla tasca interna della giubba un pezzo di carta e lo tese al Sultano: era il condotto della Compagnia Britannica per l’ispezione delle sue carovane.
“Sua Maestà contava molto sulle perle che il Sultano di Doha le aveva promesso.” disse senza preamboli il lord inglese.
“Sua Maestà avrà perle ancora più belle.” lo rassicurò il Sultano.
“Sua Maestà desiderava proprio quelle.” insistette l’inglese.
“Ne avrà di molto più belle.”
Anche il Sultan insisteva, a difesa della propria posizione.
“Capricci delle donne! – sir Richard sorrise un po’ ironico – Voi, Altezza, le conoscete bene e lo sapete… e… e sapete anche che questa signora non è una Favorita…. E’ la Regina d’Inghilterra!”
“Che Allah lo stramaledica!” sbottò il Sultano e sir Richar balzò in piedi simulando l’ira più sacra.
“Altezza!… State parlando della mia Sovrana!” proruppe in tono comicamente risentito.
“Ma che cosa avete capito, sir? Io stavo maledicendo quel dannato predone – s’affrettò a chiarire l’altro – Che Allah lo sprofondi nell’Inferno!… Ma ho già la trappola pronta per il nostro leone!”
“Ma davvero? E di che trappola si tratta?”
“Di una trappola molto efficace, sir. – interloquì il primo ministro – Molto efficace!”
“Perdonate, sir Reginald. – il Sultano si alzò, raggiunse il suo funzionario, gli pose una mano sulla spalla – Il nostro primo ministro è di natura assai sospettosa.” disse in tono insinuante.
“Lodevole! Lodevole! – rispose ironico il lord – La prudenza è una virtù, Altezza. Lasciamo che il vostro Primo Ministro resti un uomo virtuoso!”
“Parlate da uomo saggio. – il Sultano incassò, nonostante l’ironia sempre più mordace del suo ospite – Venite. Vi mostrerà le gemme che presto orneranno la grazia della vostra Regina.”
I tre si alzarono e lasciarono il salotto.
Durante il tragitto, tra corridoi e colonnati, sir Richard si augurava che la sua Regina potesse essere finalmente accontentata e il Sultano assicurava che la cosa sarebbe sicuramente avvenuta. Proseguirono ancora, fino a raggiungere una saletta, strettamente sorvegliata da guardie armate quasi interamente occupata da casse di ogni genere e dimensione, tutte sigillate.
“La carovana è già pronta a partire. – disse Sayed – Aspetto per questa sera l’arrivo del capo carovana.”
“Spero sia più fortunato del predecessore.” sospirò sir Richard.
“Ibrahim ab Assan era un uomo coraggioso, sir. – replicò con durezza Sayed, poi aggiunse, accennando ai soldati armati – Proprio come questi uomini, che rispondono del carico con la loro vita.”
“Questi uomini riusciranno a mantenersi coraggiosi di fronte alla terribile jatagan del rais dei Kinda?” replicò a sua volta l’inglese.
“Questi uomini non temono la morte.” fu la secca risposta del Sultano.
“Neppure io! – rispose altrettanto seccamente sir Richard – Francamente, però, preferirei evitare certi incontri. Ah.ah.ah..” rise e l’altro, indispettito, domandò:
“Conoscete la storia del Veglio della Montagna?”
“Ne ho vaga conoscenza.” confessò il lord.
“Allora ascoltate… Intorno all’anno mille e cento – cominciò il Sultano – viveva in Siria lo sceicco Ridwan. – nel frattempo, avevano lasciato la sala, diretti verso una scalinata – Ridwan era un uomo potente e un capo religioso assai influente.”
“Interessante!” disse distrattamente il lord.
“Ridwan riuscì ad impadronirsi della fortezza di Pasyaf, che sorgeva su una roccia altissima e ripida, a strapiombo sul mare. La sua storia, la sua figura salda come una roccia, la sua età venerabile, la lunghissima barba bianca, fecero di lui una leggenda. Lo chiamavano tutti: il Veglio della Montagna.”
“Interessante!” disse per la seconda volta il lord.
“Un uomo che non conosceva ostacoli, - continuava il Sultano, ignorando il disinteresse dell’ospite – Un uomo che si sbarazzava dei nemici con un mezzo davvero inusitato.”
“Quale?” domandò sir Richard.
“Li faceva uccidere dai suoi hashishin!”
“Hashishin?::: Chi erano costoro?”
“Giovani prestanti e fedelissimi, che Ridwan iniziava all’hashish… sapete che cos’è l’hashish, vero, sir?”
“Certo!”
“Il potere di questa droga che inebria… i suoi effetti, credetemi, sir… i suoi effetti, voi occidentali, neppure li immaginate!”
“Al contrario, Altezza! Sappiamo bene gli effetti devastanti di questa triste spezia.”
Sir richard mostrò improvviso interesse al racconto.
“Questa spezia… come la chiamate voi, sir, rende intrepido un uomo pavido e feroce un uomo mite.”
“Per mille balene!” proruppe il lord.
“Il Veglio della Montagna, - avevano raggiunto il terrazzo, affacciato su un pauroso strapiombo – soggiogava le menti di quei giovani con l’uso di quella droga e prometteva beatitudini eterne a chi fosse stato pronto a sacrificarsi nel nome di Allah!”
“Terrificante!” esclamò l’inglese, spingendo lo sguardo di sotto, in fondo allo strapiombo, dove rocce aguzze spuntavano dalla schiuma bianca del mare.
“So che cosa vi chiedete, sir. – un sorriso indecifrabile stesse le già sottili labbra del Sultano – Perché io vi abbia raccontato tutto questo – il lord fece un cenno del capo e l’altro proseguì - E’ nello stesso modo, sir, che io vincerò sul rais dei Kinda. Lo annienterò nello spirito, prima di spingerlo verso la morte.”
Sir Richard guardò di sotto le rocce affioranti dall’acqua.
“Sembrate sicuro del fatto vostro, Altezza.” disse; l’altro sorrise ancora, in quel modo enigmatico e pieno di torbido.
“Dispongo anch’io di giovani pronti ad entrare nel Regno di Allah cantando e gioiendo.”
L’inglese non replicò e seguì l’ospite lungo un corridoio recintato; dal fondo provenivano canti e risate di donne; sir Richard capì di trovarsi vicino all’harem, al primo piano.
“Difficile cancellare una leggenda.” sentenziò.
Una ragazza sbucò correndo da dietro una tenda; si fermò, davanti ai due e con mano lesta si calò sul volto il velo; non abbastanza in fretta, però, da non permettere allo straniero di profanarla con il suo sguardo. Sir Richard, però, che ben conosceva l’usanza delle donne arabe di coprirsi il volto in presenza di estranei, fu veloce nel girare il capo da un’altra parte, salvando se stesso e la malcapitata dall’ira del Sultano.
La ragazza era già scomparsa dietro una porta ed un lesto battimano segnò un fuggi-fuggi generale al passaggio dei due; solo una o due donne anziane e alcune ancelle, ardirono mostrarsi a volto scoperto.
Davanti ad una porta un uomo armato li fermò. Il soldato si rivolse al Sultano in strettissimo arabo, cosicché l’inglese non riuscì capire quanto i due stessero dicendosi, infine Sayd esclamò:
“Vogliate perdonarmi, sir, ma devo assentarmi.”
“Non datevi pena, altezza. – rispose l’inglese, che gongolava all’inaspettata occasione – La mia visita è terminata e vi chiedo di congedarmi.”
“Oh, no! – sorrise enigmatico il sultano – Allah sarebbe in collera con me se non vi concedessi degna ospitalità. Aspettatemi. Vi raggiungerò più tardi, ma… - aggiunse ammiccante – non abbiate paura di annoiarvi: ho provveduto alla vostra compagnia.”
“Vi ringrazio, altezza, ma preferisco continuare a visitare il palazzo.”
Rimasto da solo, sir Richard si diresse veloce là dove il pensieroso spingeva: Rashid gli aveva spiegato che gli appartamenti della principessa Jasmine erano proprio al primo piano e con un po’ di fortuna vi sarebbe arrivato.
Di fortuna, in verità, l’audace inglese ne aveva davvero bisogno e la capricciosa Dea bendata decise di favorirlo. Penetrare negli appartamenti della principessa Jasmine fu un gioco da ragazzi. Addirittura fin troppo facile: neppure una guardia a fermarlo.
Senza fermarsi a meditare su quella inaspettata e favorevole circostanza, il giovane entrò ed uscì attraverso due stanze comunicanti. Attratto da una terza porta socchiusa, l’aprì. Era vuota. Dappertutto c’erano oggetti sparsi col disordine di chi è stato costretto ad una partenza improvvisa o ad una fuga precipitosa.
Rumori di passi in avvicinamento lo costrinsero a cercare riparo. Infilò una porta laterale e la fortuna continuò a proteggerlo: la porta dava su un terrazzino da cui una scaletta scendeva fino al piano sottostante.
Qui, si ritrovò pressappoco nello stesso punto da cui era partito.
Con affettata noncuranza si diresse verso l’uscita, giusto in tempo per vedere il sultano in compagnia di un uomo. Si nascose tra la porta e il muro e rimase a guardare attraverso la fessura. Quando i due gli passarono davanti ebbe un sobbalzo: un enorme scarabeo d’oro, simile a quello visto al collo del povero Almos e dell’indiano Hambok, pendeva sul petto dello sconosciuto.
“Per tutte le balene dell’Oceano! – proruppe tra sé – Ma quello scarabeo… Quell’uomo appartiene alla setta di Hambok… Perché è in compagnia del Sultano?”
Immobile aspettò che i due si furono allontanati, poi raggiunse l’uscita per lasciare furtivamente il palazzo.
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![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/4129127.jpg?441)
Kassida, la bella Kaseki Sultan, la Sultana Favorita di Sayed Alì, aveva su di lui enorme influenza e non solo a motivo della bellezza, ma perché era la madre di Alì, l'unico figlio del Sultano; salendo, un giorno, sul trono di Doha, il piccolo Alì avrebbe fatto di lei la Valde Sultan, ossia la Sultana Madre. Per questo motivo, Kassida disponeva dell’appartamento più bello e spazioso dell’harem.
Cosa non da poco, un grande appartamento, per donne praticamente prigioniere senza sbarre, il cui assillo maggiore era di trascinare la giornata nell’ozio più inoperoso.
Sul suo bellissimo terrazzo, che si affacciava sul mare, si poteva passeggiare, danzare, bere the, mangiare focaccine di farina di datteri e sfoggiare gioielli: orecchini, collane e bracciali di preziosissima e finissima filigrana, nella cui arte, gli orafi arabi sono sempre stati grandi maestri.
I divertimenti andavano da infantili giochi come la moscacieca, a pesanti scherzi a spese di ancelle ed eunuchi; questi, soprattutto, costretti a subire crudeli commedie per lo spasso di un pubblico sciocco ed annoiato.
Donne ed eunuchi si odiavano; le prime perché scaricavano su di loro i rancori verso il maschio, i secondi perché costretti a sottostare alle loro angherie.
"La principessa Jasmine è scomparsa. Dicono che sia stata rapita."
Ansante per la corsa fatta per portare la notizia, la schiava di Kassida irruppe sul terrazzo.
"Scomparsa?" esclamò stupita la donna.
"E' così, mia signora." la ragazza si accocolò ai piedi della padrona.
"Non è possibile! E' uno scherzo, vero?" disse ancora la Favorita; stava intrattenendo un gruppo di ospiti con i soliti giochi; lasciarono tutte gli oziosi passatempi e si precipitarono dalla padrona di casa.
"Chi ti ha dato la notizia?" insisté Kassida.
"E' stato Kamuki." rispose la schiava.
"Dov'è Kamuki?- la donna allontanò col piede la ragazza, poi ordinò- Chiamate Kamuki."
Kamuki comparve qualche minuto dopo tra due siepi di oleandri.
"E' vero che la principessa Jasmine è scomparsa?" gli domandò la donna, facendogli segno di avvicinarsi.
"E' vero. – l’uomo assentì col capo e si affrettò a raggiungere la padrona - Forse è stata rapita."
Kamuki era il kizlar agast o “capo delle ragazze”. Era il capo dell'harem, incaricato, cioè, del controllo su tutto il personale.
"Ma chi può averla rapita?" domandò ancora la kaseki sultan.
"Non lo so, signora."
"Ma quando è avvenuto?" insisteva quella.
"Cinque giorni fa."
"Cinque giorni? E per cinque giorni non se ne è saputo nulla?.."
"Ecco perché da tre giorni - interloquì un'ancella, assumendo un’espressione eloquente - il Sultano con ci fa visita…"
"Vai ed informati meglio." la donna ordinò all'uomo e questi si allontanò veloce.
Poco dopo, però, lasciato il terrazzo e le amiche a congetturare, Kassida raggiunse un terrazzo adiacente, su cui si aprivano molte finestre. Questo secondo terrazzo, a differenza del primo, guardava all'interno del palazzo, sui giardini d'ingresso del portone di entrata, dove due sentinelle armate erano di guardia notte e giorno.
La donna si accostò ad una di quelle finestre, scostò la tendina di finissima mussola e gettò uno sguardo all'esterno; le note di un bendir e il canto di un'ancella giungevano dal terrazzo spezzati e soffusi.
"Chi può aver rapito la principessa Jasmine?" pensava a voce alta.
Qualcuno alle spalle la sorprese:
"Cosa ne sapete del rapimento della principessa Jasmine?"
La kaseki sultan trasalì.
Si voltò: di fronte a lei c'era il bel volto dall'espressione inquieta e corrucciata del predone più temuto d'Arabia.
"Cosa ne sapete del rapimento di Jasmine?" ripetè Rashid.
"Il principe Ben...- esclamò la donna, poi si corresse - Rashid... il rais dei Kinda. Tu sei Rashid, il rais dei Kinda. - ripeté - Akim?... - stupì - Ci sei anche tu?"
"Ebbene? Rispondete." lo sceicco Harith era comparso alle spalle del suo rais.
Kassida lo guardò timorosa: mai nessun uomo era penetrato in quel posto vietato ed inaccessibile, se non ad un eunuco; quello che le stava di fronte, alto, atletico, la fissava con sul volto un’espressione temporalesca, quasi selvaggia, come solo quella di un predone del deserto .
Con lo stesso timore guardò anche Rashid e il giovane europeo che era con loro e che il piccolo Akim aveva chiamato sir Richard.
"Io non so nulla. – rispose, cercando scampo d’intorno con lo sguardo - Io sono soltanto una donna. Non so nulla… Tu… tu sei Harith, vero? Sei lo sceicco della tribù dei Kinda?" domandò, fissando il giovane.
"Da costei non sapremo niente. – il lord si fece avanti - Credo davvero che non ne sappia nulla. Andiamo."
“Avete ragione, sir. – anche il piccolo mago si fece avanti e si fermò alle spalle dell’inglese – Conosco bene la kaseki sultan e la sua faccia spaventata dice che non sa davvero nulla… Lei e la principessa Jasmine – spiegò – non frequentavano gli stessi ambienti… La principessa Jasmine non partecipava mai a quelle… - il piccolo accennò con un braccio al terrazzo di Kassida, oltre la finestra - … quelle riunioni di donne.”
“Andiamo via di qui. – propose il Rais; la donna non fiatava – Stiamo perdendo del tempo prezioso."
Cosa non da poco, un grande appartamento, per donne praticamente prigioniere senza sbarre, il cui assillo maggiore era di trascinare la giornata nell’ozio più inoperoso.
Sul suo bellissimo terrazzo, che si affacciava sul mare, si poteva passeggiare, danzare, bere the, mangiare focaccine di farina di datteri e sfoggiare gioielli: orecchini, collane e bracciali di preziosissima e finissima filigrana, nella cui arte, gli orafi arabi sono sempre stati grandi maestri.
I divertimenti andavano da infantili giochi come la moscacieca, a pesanti scherzi a spese di ancelle ed eunuchi; questi, soprattutto, costretti a subire crudeli commedie per lo spasso di un pubblico sciocco ed annoiato.
Donne ed eunuchi si odiavano; le prime perché scaricavano su di loro i rancori verso il maschio, i secondi perché costretti a sottostare alle loro angherie.
"La principessa Jasmine è scomparsa. Dicono che sia stata rapita."
Ansante per la corsa fatta per portare la notizia, la schiava di Kassida irruppe sul terrazzo.
"Scomparsa?" esclamò stupita la donna.
"E' così, mia signora." la ragazza si accocolò ai piedi della padrona.
"Non è possibile! E' uno scherzo, vero?" disse ancora la Favorita; stava intrattenendo un gruppo di ospiti con i soliti giochi; lasciarono tutte gli oziosi passatempi e si precipitarono dalla padrona di casa.
"Chi ti ha dato la notizia?" insisté Kassida.
"E' stato Kamuki." rispose la schiava.
"Dov'è Kamuki?- la donna allontanò col piede la ragazza, poi ordinò- Chiamate Kamuki."
Kamuki comparve qualche minuto dopo tra due siepi di oleandri.
"E' vero che la principessa Jasmine è scomparsa?" gli domandò la donna, facendogli segno di avvicinarsi.
"E' vero. – l’uomo assentì col capo e si affrettò a raggiungere la padrona - Forse è stata rapita."
Kamuki era il kizlar agast o “capo delle ragazze”. Era il capo dell'harem, incaricato, cioè, del controllo su tutto il personale.
"Ma chi può averla rapita?" domandò ancora la kaseki sultan.
"Non lo so, signora."
"Ma quando è avvenuto?" insisteva quella.
"Cinque giorni fa."
"Cinque giorni? E per cinque giorni non se ne è saputo nulla?.."
"Ecco perché da tre giorni - interloquì un'ancella, assumendo un’espressione eloquente - il Sultano con ci fa visita…"
"Vai ed informati meglio." la donna ordinò all'uomo e questi si allontanò veloce.
Poco dopo, però, lasciato il terrazzo e le amiche a congetturare, Kassida raggiunse un terrazzo adiacente, su cui si aprivano molte finestre. Questo secondo terrazzo, a differenza del primo, guardava all'interno del palazzo, sui giardini d'ingresso del portone di entrata, dove due sentinelle armate erano di guardia notte e giorno.
La donna si accostò ad una di quelle finestre, scostò la tendina di finissima mussola e gettò uno sguardo all'esterno; le note di un bendir e il canto di un'ancella giungevano dal terrazzo spezzati e soffusi.
"Chi può aver rapito la principessa Jasmine?" pensava a voce alta.
Qualcuno alle spalle la sorprese:
"Cosa ne sapete del rapimento della principessa Jasmine?"
La kaseki sultan trasalì.
Si voltò: di fronte a lei c'era il bel volto dall'espressione inquieta e corrucciata del predone più temuto d'Arabia.
"Cosa ne sapete del rapimento di Jasmine?" ripetè Rashid.
"Il principe Ben...- esclamò la donna, poi si corresse - Rashid... il rais dei Kinda. Tu sei Rashid, il rais dei Kinda. - ripeté - Akim?... - stupì - Ci sei anche tu?"
"Ebbene? Rispondete." lo sceicco Harith era comparso alle spalle del suo rais.
Kassida lo guardò timorosa: mai nessun uomo era penetrato in quel posto vietato ed inaccessibile, se non ad un eunuco; quello che le stava di fronte, alto, atletico, la fissava con sul volto un’espressione temporalesca, quasi selvaggia, come solo quella di un predone del deserto .
Con lo stesso timore guardò anche Rashid e il giovane europeo che era con loro e che il piccolo Akim aveva chiamato sir Richard.
"Io non so nulla. – rispose, cercando scampo d’intorno con lo sguardo - Io sono soltanto una donna. Non so nulla… Tu… tu sei Harith, vero? Sei lo sceicco della tribù dei Kinda?" domandò, fissando il giovane.
"Da costei non sapremo niente. – il lord si fece avanti - Credo davvero che non ne sappia nulla. Andiamo."
“Avete ragione, sir. – anche il piccolo mago si fece avanti e si fermò alle spalle dell’inglese – Conosco bene la kaseki sultan e la sua faccia spaventata dice che non sa davvero nulla… Lei e la principessa Jasmine – spiegò – non frequentavano gli stessi ambienti… La principessa Jasmine non partecipava mai a quelle… - il piccolo accennò con un braccio al terrazzo di Kassida, oltre la finestra - … quelle riunioni di donne.”
“Andiamo via di qui. – propose il Rais; la donna non fiatava – Stiamo perdendo del tempo prezioso."
***
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Lasciarono andare la donna, ma appena si sentì al sicuro, questa cominciò a strillare e starnazzare come una gallina; eunuchi e schiave, subitamente accorsi, le fecero eco ed un drappello di soldati, attirato dal trambusto, cominciò a salire le scale.
"Seguitemi." disse Rashid infilando una porta.
Gli vennero incontro un eunuco e due ancelle, che la furia degli uomini del deserto spazzò via come fuscelli. Imboccarono una seconda porta e si trovarono nell'immenso salone di intrattenimento delle donne ed anche qui schiave ed eunuchi non ebbero miglior sorte.
"Empietà! Hanno profanato l'harem del nostro padrone." gridavano tutti come invasati.
Akim si divertiva un mondo: quella situazione tragicomica di eunuchi infuriati, schiave preoccupate e donne dai languidi atteggiamenti, lo divertiva moltissimo.
"Aiuto! Aiuto!" gridavano le donne, fingendo terrore, ma palesemente eccitate dall'insolito diversivo. Nella corsa trascinavano cuscini, gabbiette di uccelli e vasi di fiori e le loro urla e quelle dei guardiani creavano una bolgia di boccaccesca memoria..
"Sentite come urlano? - gridava il ragazzo, sempre più divertito – Uh!… Che spasso!”
I tre amici lo guardavano scotendo il capo.
Un gruppo di soldati tentò di sbarrare loro il passo; i quattro amici respinsero l'assalto con facilità ed infilarono una porta provvidenzialmente aperta; l'occasione giungeva inaspettata, ma occorreva prendere la decisione giusta.
Sir Richard corse a sprangare una seconda porta che si apriva nella parete opposta della stanza: quel piccolo baluardo non avrebbe fermato la turba scatenata, ma avrebbe concesso qualche attimo di tregua.
"Per di qua." suggerì il rais.
"Dove stiamo andando?" chiesero gli altri.
"Seguitemi." ripeté evasivo il giovane, indicando una terza porta, alla loro destra: l'ingresso agli appartamenti di Sayed Alì.
L'aprirono. Un'amara sorpresa, però, era ad attenderli dietro quella porta: il sultano ed un nutrito drappello di soldati.
"Ah,ah,ah...Ecco il Leone del deserto finito in trappola come un topo di fogna. Ah,ah,ah..."
La risata del sultano echeggiò nelle stanze trascinandosi dietro lo scherno e il dileggio della sua Guardia Personale, una ventina di marabutti, musulmani della razza più fanatica, che il Sultano supponeva talmente fedeli, da rivolgersi a loro solo con insulti ed ingiurie.
"Solo gli stolti celebrano la vittoria prima della battaglia!" lo apostrofò a riguardosa distanza il piccolo Alì.
“Ah!… ecco qua anche quel piccolo manigoldo... il piccolo mago fuggitivo! Eh.eh.eh…” ridacchiò il Sultano, movendo un braccio per ordinare ai suoi sgherri di prendere il ragazzo; Rashid, però, si fece avanti e quelli si fermarono davanti alla sua celeberrima jatagan.
“Hai bisogno della tua marmaglia armata anche per catturare un ragazzino, Sayed Alì?… Sono queste le tue battaglie?”
"Le tue, invece, Rashid di Ar-Rimal... o devo chiamarti Rashid bin Hammad.... sono battaglie finite prima ancora di cominciare." ghignò quello.
Gli rispose un verso agghiacciante e subito dopo:
"Prendermi è meno facile di quanto tu possa immaginare, vecchio furfante travestito da monarca. -
lo sbeffeggiò il grande predone – Assai meno facile che sbaragliare il gregge di pecorelle armate che metti a protezione delle tue carovane.”
Sayed illividì, ma non si scompose.
"Adesso sei tu in trappola. - rispose con calma misurata - E ci resterai." aggiunse, facendo cenno ad uno schiavo e questi premette una leva attaccata al muro poi con un salto all'indietro si ritrasse per schivare il bordo del pavimento che lentamente, ma inesorabilmente, stava ribaltandosi.
"Presto. Presto. - urlò sir Richard che, prima degli altri, aveva intuito la trappola - Afferratevi ai bordi del pavimento."
Riuscirono ad aggrapparsi ai bordi ad incastro del pavimento, rimanendo a penzolare nel vuoto in una posizione precaria e quanto mai pericolosa: sotto di loro c'era un'insidia mortale, un gigantesco ingranaggio dagli enormi aculei di ferro in funzione.
"Che Allah lo stramaledica!" imprecò Harith.
"Oih !Oih!- piagnucolava Akim, guardando di sotto - Potente Visnù! Grande Shiva!... Aiutatemi. Non spingete la mia giovane esistenza verso il buio regno di Kalì."
“Ah!ah!ah!… - sghignazzavano gli uomini del Sultano, dall’alto della botola – Ma quel piccolo, ingrato schiavo fuggitivo… non era un grande mago?… Perché non ferma la macchina di sotto e non mette in salvo se stesso e gli altri?… ah.ah…”
“Stai calmo, Akim… e non dimenarti troppo… - Rashid cercò di avvicinarsi al piccolo per sostenerlo - Stai fermo.. non ti lascio cadere di sotto… non ti lascio cadere…”
"Non sprecate fiato - suggerì l'inglese - e resistete. Io cercherò di fermare quel mostro di ferro."
"E come? – interloquì Harith che, dei quattro, pareva essere nelle condizioni più precarie, perché il più vicino a quella macchina infernale: la punta degli stivali quasi la sfiorava – E’ una faccenda molto rischiosa, sir." sospirò.
"Non c'è altra soluzione. - rispose determinato il lord – Non resisteremo a lungo in questa posizione… per fortuna, questi ingranaggi non hanno segreti per me… Ero un'autorità in fatto di tecnica al mio Paese. Vi racconterò tutto di me, se usciremo vivi da qui."
Scivolando lungo il bordo, sir Richard si portò fino in fondo, proprio dove si trovava Harith, che dovette farsi scavalcare per fargli posto. Qui il lord restò a penzolare nel vuoto a pochi centimetri dai mostruosi tentacoli.
Tutt'intorno al complesso macchinario correva un corridoio di mezzo metro circa; a metà di una delle pareti c’era l’interruttore del complesso ingranaggio: una grossa leva che lo avrebbe fermato.
L’errore di un centimetro l’avrebbe fatto precipitare di sotto, ma sir Richard, calcolata la distanza, riuscì a spiccare il salto audace con precisione millimetrica, lasciando senza fiato i compagni.
Dall'alto, le grida dei soldati andavano allontanandosi.
"Allah sia benedetto! - Harith trasse un sospiro di sollievo – Ce l’ha fatta! L’amico inglese ce l’ha fatta!”
"Seguiamolo anche noi. - esclamò Rashid – Un profondo respiro e poi un bel salto… che Allah ci assista…”
"Aspettate.- li trattenne l'inglese - Aspettate che fermi questa dannata trappola."
Trovata la leva che faceva funzionare il complesso macchinario, con un colpo netto di pugnale sir Richard la mandò in pezzi, ma Rashid stava già scivolando giù ed Harith lo seguiva ed essi pure spiccarono l'audace salto. Solo Akim evitò prudentemente la rischiosa prova di coraggio.
Alla fine i quattro si abbracciarono.
"Cosa ci sarà fuori di qui?" domandò Harith al suo rais.
"Il lavatoio. - rispose Rashid – Fuori di qui c’è il lavatoio."
"Seguitemi." disse Rashid infilando una porta.
Gli vennero incontro un eunuco e due ancelle, che la furia degli uomini del deserto spazzò via come fuscelli. Imboccarono una seconda porta e si trovarono nell'immenso salone di intrattenimento delle donne ed anche qui schiave ed eunuchi non ebbero miglior sorte.
"Empietà! Hanno profanato l'harem del nostro padrone." gridavano tutti come invasati.
Akim si divertiva un mondo: quella situazione tragicomica di eunuchi infuriati, schiave preoccupate e donne dai languidi atteggiamenti, lo divertiva moltissimo.
"Aiuto! Aiuto!" gridavano le donne, fingendo terrore, ma palesemente eccitate dall'insolito diversivo. Nella corsa trascinavano cuscini, gabbiette di uccelli e vasi di fiori e le loro urla e quelle dei guardiani creavano una bolgia di boccaccesca memoria..
"Sentite come urlano? - gridava il ragazzo, sempre più divertito – Uh!… Che spasso!”
I tre amici lo guardavano scotendo il capo.
Un gruppo di soldati tentò di sbarrare loro il passo; i quattro amici respinsero l'assalto con facilità ed infilarono una porta provvidenzialmente aperta; l'occasione giungeva inaspettata, ma occorreva prendere la decisione giusta.
Sir Richard corse a sprangare una seconda porta che si apriva nella parete opposta della stanza: quel piccolo baluardo non avrebbe fermato la turba scatenata, ma avrebbe concesso qualche attimo di tregua.
"Per di qua." suggerì il rais.
"Dove stiamo andando?" chiesero gli altri.
"Seguitemi." ripeté evasivo il giovane, indicando una terza porta, alla loro destra: l'ingresso agli appartamenti di Sayed Alì.
L'aprirono. Un'amara sorpresa, però, era ad attenderli dietro quella porta: il sultano ed un nutrito drappello di soldati.
"Ah,ah,ah...Ecco il Leone del deserto finito in trappola come un topo di fogna. Ah,ah,ah..."
La risata del sultano echeggiò nelle stanze trascinandosi dietro lo scherno e il dileggio della sua Guardia Personale, una ventina di marabutti, musulmani della razza più fanatica, che il Sultano supponeva talmente fedeli, da rivolgersi a loro solo con insulti ed ingiurie.
"Solo gli stolti celebrano la vittoria prima della battaglia!" lo apostrofò a riguardosa distanza il piccolo Alì.
“Ah!… ecco qua anche quel piccolo manigoldo... il piccolo mago fuggitivo! Eh.eh.eh…” ridacchiò il Sultano, movendo un braccio per ordinare ai suoi sgherri di prendere il ragazzo; Rashid, però, si fece avanti e quelli si fermarono davanti alla sua celeberrima jatagan.
“Hai bisogno della tua marmaglia armata anche per catturare un ragazzino, Sayed Alì?… Sono queste le tue battaglie?”
"Le tue, invece, Rashid di Ar-Rimal... o devo chiamarti Rashid bin Hammad.... sono battaglie finite prima ancora di cominciare." ghignò quello.
Gli rispose un verso agghiacciante e subito dopo:
"Prendermi è meno facile di quanto tu possa immaginare, vecchio furfante travestito da monarca. -
lo sbeffeggiò il grande predone – Assai meno facile che sbaragliare il gregge di pecorelle armate che metti a protezione delle tue carovane.”
Sayed illividì, ma non si scompose.
"Adesso sei tu in trappola. - rispose con calma misurata - E ci resterai." aggiunse, facendo cenno ad uno schiavo e questi premette una leva attaccata al muro poi con un salto all'indietro si ritrasse per schivare il bordo del pavimento che lentamente, ma inesorabilmente, stava ribaltandosi.
"Presto. Presto. - urlò sir Richard che, prima degli altri, aveva intuito la trappola - Afferratevi ai bordi del pavimento."
Riuscirono ad aggrapparsi ai bordi ad incastro del pavimento, rimanendo a penzolare nel vuoto in una posizione precaria e quanto mai pericolosa: sotto di loro c'era un'insidia mortale, un gigantesco ingranaggio dagli enormi aculei di ferro in funzione.
"Che Allah lo stramaledica!" imprecò Harith.
"Oih !Oih!- piagnucolava Akim, guardando di sotto - Potente Visnù! Grande Shiva!... Aiutatemi. Non spingete la mia giovane esistenza verso il buio regno di Kalì."
“Ah!ah!ah!… - sghignazzavano gli uomini del Sultano, dall’alto della botola – Ma quel piccolo, ingrato schiavo fuggitivo… non era un grande mago?… Perché non ferma la macchina di sotto e non mette in salvo se stesso e gli altri?… ah.ah…”
“Stai calmo, Akim… e non dimenarti troppo… - Rashid cercò di avvicinarsi al piccolo per sostenerlo - Stai fermo.. non ti lascio cadere di sotto… non ti lascio cadere…”
"Non sprecate fiato - suggerì l'inglese - e resistete. Io cercherò di fermare quel mostro di ferro."
"E come? – interloquì Harith che, dei quattro, pareva essere nelle condizioni più precarie, perché il più vicino a quella macchina infernale: la punta degli stivali quasi la sfiorava – E’ una faccenda molto rischiosa, sir." sospirò.
"Non c'è altra soluzione. - rispose determinato il lord – Non resisteremo a lungo in questa posizione… per fortuna, questi ingranaggi non hanno segreti per me… Ero un'autorità in fatto di tecnica al mio Paese. Vi racconterò tutto di me, se usciremo vivi da qui."
Scivolando lungo il bordo, sir Richard si portò fino in fondo, proprio dove si trovava Harith, che dovette farsi scavalcare per fargli posto. Qui il lord restò a penzolare nel vuoto a pochi centimetri dai mostruosi tentacoli.
Tutt'intorno al complesso macchinario correva un corridoio di mezzo metro circa; a metà di una delle pareti c’era l’interruttore del complesso ingranaggio: una grossa leva che lo avrebbe fermato.
L’errore di un centimetro l’avrebbe fatto precipitare di sotto, ma sir Richard, calcolata la distanza, riuscì a spiccare il salto audace con precisione millimetrica, lasciando senza fiato i compagni.
Dall'alto, le grida dei soldati andavano allontanandosi.
"Allah sia benedetto! - Harith trasse un sospiro di sollievo – Ce l’ha fatta! L’amico inglese ce l’ha fatta!”
"Seguiamolo anche noi. - esclamò Rashid – Un profondo respiro e poi un bel salto… che Allah ci assista…”
"Aspettate.- li trattenne l'inglese - Aspettate che fermi questa dannata trappola."
Trovata la leva che faceva funzionare il complesso macchinario, con un colpo netto di pugnale sir Richard la mandò in pezzi, ma Rashid stava già scivolando giù ed Harith lo seguiva ed essi pure spiccarono l'audace salto. Solo Akim evitò prudentemente la rischiosa prova di coraggio.
Alla fine i quattro si abbracciarono.
"Cosa ci sarà fuori di qui?" domandò Harith al suo rais.
"Il lavatoio. - rispose Rashid – Fuori di qui c’è il lavatoio."
Il lavatoio era un labirinto di piccole celle scoperte che il complesso ingranaggio riforniva d'acqua. Erano in pietra dura, divise da lunghi e stretti corridoi fangosi. In ognuna di esse, alte un metro circa, c'era una tavola con scanalature orizzontali per lavare i panni. Sulle pareti, alcune inferriate permettevano una debole luce.
"Che senso di soffocamento!" esclamò Harith.
Abituato alle grandi estensioni, quell'angusto ambiente gli appariva ancor più angusto e le ombre ancora più cupe.
"Avete udito?" disse tendendo l'orecchio.
"Sì. Voci." fece eco sir Richard.
"Allontaniamoci. Presto!" sollecitò Rashid.
La corsa riprese. Infilarono un corridoio e passarono in una galleria umida e buia le cui pietre secolari sporgevano nere ed irregolari dalle pareti e dal soffitto; un intenso odore di muffa e di muschio saturava l'aria e feriva le narici.
"Come faremo ad uscire da qui?" domandò Harith.
"Le fogne danno sbocco ai giardini ed ai cortili. Raggiungeremo il cortile più vicino al portone d'ingresso." rispose Rashid, al ché, sir Richard:
"Posso chiedere al rais dei Kinda che mi tolga una curiosità?" domandò in tono che non nascondeva la curiosità.
"Ma certo, amico mio!" rispose l'altro.
"Come fa - l'inglese non mutò di tono- il rais dei Kinda a conoscere così bene le fogne di Doha e i sotterranei di Palazzo?"
"Sono un topo di fogna, ah,ah,ah... L'ha detto Sayed.- scherzò il rais, senza arrestare la corsa, ma tornò subito serio e nel suo sguardo da animale da preda comparve il bagliore di un rancore segreto che gli dilatò ed incupì le pupille. - Anche io, amico mio, ti racconterò la mia storia, se usciremo vivi da qui." aggiunse.
"Sarà aperto, il portone d'ingresso?" domandò ancora Harith.
"Lo è sempre.- lo rassicurò Akim - A meno che il sultano non abbia intuito le intenzioni di Rashid."
Lasciata la galleria i quattro discesero lungo una stretta scala in fondo alla quale convogliavano i canali attraverso cui scorrevano le acque. Seguendo una delle banchine che costeggiavano i canali, i nostri amici imboccarono un tortuoso budello; il rumore dei loro passi sulla pietra produceva un’eco lunga e profonda che si perdeva alle loro spalle.
"Accidenti!" imprecò sir Richard, arrestando la corsa.
"Che cosa c'è?" fecero in coro gli altri.
L'inglese indicò la grossa grata di ferro che sbarrava loro il passo; nella toppa della serratura, marcia ed arrugginita, non c'era chiave.
"Maledizione!- tornò ad imprecare il lord - Dovrà pur esserci qualcosa con cui aprire questa dannata grata." aggiunse chinandosi e posando un ginocchio sul terreno bagnato poi conficcò la punta del pugnale tra la serratura e la colonna della grata e premette con forza.
L'acqua e la ruggine, però, resero vani i suoi sforzi.
"Per tutte le balene dell'oceano!- le dita erano scorticate- Un pizzico di fortuna. Ecco cosa ci vorrebbe...E tu, piccolo mago.- si girò verso Akim - Non hai nulla da suggerire?"
"Sì!... Che tu metta maggior vigore nel braccio, sir!" rispose con un sorriso irresistibile Akim.
"Ahhh!...- sospirò il lord - Se uscirò da qui, rinuncerò alla porzione di cibo in tasca, ma non ad un pizzico di polvere da sparo...Ehhh! - ridacchiò- Polvere da sparo!...Poffarbacco! Fatevi indietro." e traendo la pistola dal fodero, con un colpo ben diretto fece volar via la serratura.
Appena in tempo; un grido li raggiunse alle spalle:
"Eccoli laggiù!"
"Per la Coda di Satanasso! - imprecò ancora il lord – Li abbiamo già alle spalle.
La capricciosa Dea Bendata, però, aveva deciso di porli sotto il suo mutevole mantello. Scomparvero presto alla vista degli inseguitori e quando Rashid si fermò, si trovavano sotto un grosso tombino.
"Se i miei calcoli sono esatti, - disse – ci troviamo a dieci metri dal portone d'ingresso… fuori del palazzo."
Senza aggiungere altro si arrampicò lungo i pioli della scaletta del tombino e quando la testa toccò la piastra di chiusura, la sollevò con circospezione e si guardò intorno. La strada era deserta. Guardò in direzione del Palazzo: tutto tranquillo.
“Via libera! – esclamò - Presto. Seguitemi." aggiunse saltando fuori con la consueta agilità.
Fu subito imitato
"Che senso di soffocamento!" esclamò Harith.
Abituato alle grandi estensioni, quell'angusto ambiente gli appariva ancor più angusto e le ombre ancora più cupe.
"Avete udito?" disse tendendo l'orecchio.
"Sì. Voci." fece eco sir Richard.
"Allontaniamoci. Presto!" sollecitò Rashid.
La corsa riprese. Infilarono un corridoio e passarono in una galleria umida e buia le cui pietre secolari sporgevano nere ed irregolari dalle pareti e dal soffitto; un intenso odore di muffa e di muschio saturava l'aria e feriva le narici.
"Come faremo ad uscire da qui?" domandò Harith.
"Le fogne danno sbocco ai giardini ed ai cortili. Raggiungeremo il cortile più vicino al portone d'ingresso." rispose Rashid, al ché, sir Richard:
"Posso chiedere al rais dei Kinda che mi tolga una curiosità?" domandò in tono che non nascondeva la curiosità.
"Ma certo, amico mio!" rispose l'altro.
"Come fa - l'inglese non mutò di tono- il rais dei Kinda a conoscere così bene le fogne di Doha e i sotterranei di Palazzo?"
"Sono un topo di fogna, ah,ah,ah... L'ha detto Sayed.- scherzò il rais, senza arrestare la corsa, ma tornò subito serio e nel suo sguardo da animale da preda comparve il bagliore di un rancore segreto che gli dilatò ed incupì le pupille. - Anche io, amico mio, ti racconterò la mia storia, se usciremo vivi da qui." aggiunse.
"Sarà aperto, il portone d'ingresso?" domandò ancora Harith.
"Lo è sempre.- lo rassicurò Akim - A meno che il sultano non abbia intuito le intenzioni di Rashid."
Lasciata la galleria i quattro discesero lungo una stretta scala in fondo alla quale convogliavano i canali attraverso cui scorrevano le acque. Seguendo una delle banchine che costeggiavano i canali, i nostri amici imboccarono un tortuoso budello; il rumore dei loro passi sulla pietra produceva un’eco lunga e profonda che si perdeva alle loro spalle.
"Accidenti!" imprecò sir Richard, arrestando la corsa.
"Che cosa c'è?" fecero in coro gli altri.
L'inglese indicò la grossa grata di ferro che sbarrava loro il passo; nella toppa della serratura, marcia ed arrugginita, non c'era chiave.
"Maledizione!- tornò ad imprecare il lord - Dovrà pur esserci qualcosa con cui aprire questa dannata grata." aggiunse chinandosi e posando un ginocchio sul terreno bagnato poi conficcò la punta del pugnale tra la serratura e la colonna della grata e premette con forza.
L'acqua e la ruggine, però, resero vani i suoi sforzi.
"Per tutte le balene dell'oceano!- le dita erano scorticate- Un pizzico di fortuna. Ecco cosa ci vorrebbe...E tu, piccolo mago.- si girò verso Akim - Non hai nulla da suggerire?"
"Sì!... Che tu metta maggior vigore nel braccio, sir!" rispose con un sorriso irresistibile Akim.
"Ahhh!...- sospirò il lord - Se uscirò da qui, rinuncerò alla porzione di cibo in tasca, ma non ad un pizzico di polvere da sparo...Ehhh! - ridacchiò- Polvere da sparo!...Poffarbacco! Fatevi indietro." e traendo la pistola dal fodero, con un colpo ben diretto fece volar via la serratura.
Appena in tempo; un grido li raggiunse alle spalle:
"Eccoli laggiù!"
"Per la Coda di Satanasso! - imprecò ancora il lord – Li abbiamo già alle spalle.
La capricciosa Dea Bendata, però, aveva deciso di porli sotto il suo mutevole mantello. Scomparvero presto alla vista degli inseguitori e quando Rashid si fermò, si trovavano sotto un grosso tombino.
"Se i miei calcoli sono esatti, - disse – ci troviamo a dieci metri dal portone d'ingresso… fuori del palazzo."
Senza aggiungere altro si arrampicò lungo i pioli della scaletta del tombino e quando la testa toccò la piastra di chiusura, la sollevò con circospezione e si guardò intorno. La strada era deserta. Guardò in direzione del Palazzo: tutto tranquillo.
“Via libera! – esclamò - Presto. Seguitemi." aggiunse saltando fuori con la consueta agilità.
Fu subito imitato
CAP. XI - La vendetta
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Le strade erano polverose ed affollate e i quattro amici presero un viottolo sterrato e giallo, sulla scia di un gruppo di marinai che correvano verso il porto.
"Li sentite?- disse Rashid- Ci sono nuovamente addosso."
"Che Allah li fulmini!" imprecò Harith; il dover la propria salvezza alla fuga, lo rendeva furioso. Sir Richard invece arrestò i suoi passi.
"Per la Barba del Profeta!- lo sollecitò il rais - Perché ti sei fermato? Che cosa vuoi fare?"
"Ho avuto un'idea." disse l'inglese; anche Akim si girò, senza rallentare il passo.
"Muoviamo le gambe.-disse- o finiremo per sempre nel regno di Kalì." lo sollecitò, ma il lord inglese, afferrata una corda appesa ad un'inferriata, ne legò un'estremità ad una sporgenza nel muro.
Il ragazzo, che aveva capito le sue intenzioni, fermò anch’egli la sua corsa e gli indicò un grosso masso sul ciglio della strada.
"Hhhh!...- fece il lord - Questo grosso sasso pare messo qui apposta per noi. Non sarà opera della tua Kalì? - sorrise, legandovi estremità della corda, infine, in tono soddisfatto. - Che te ne pare, figliolo?" domandò
"Ah,ah,ah...E' un bello scherzetto davvero. sir. - rise il ragazzo - Mi dispiace solamente di non potermi godere lo spettacolo quando le scimmie ammaestrate del sultano si ammucchieranno qui come sassi."
Risero tutti poi ripresero la corsa, giù per i marciapiedi a larghi gradini consumati dai passi. Fecero il percorso a quattro gradini per volta e non dovettero aspettare a lungo prima di udire le imprecazioni dei soldati incappati nella trappola.
Sempre correndo rasentarono il lungo muro perimetrico che racchiudeva modeste abitazioni.
Proprio mentre i quattro amici passavano davanti all'unco ingresso che ne consentiva l'accesso, la porta si aprì ed una voce di donna, dall'interno, li chiamò:
"Entrate!" disse.
Lo sceicco Harith fu il primo a fermarsi, subito imitato da Rashid, che aveva già estratto la sua temibile jatagan; ebbero entrambi un attimo di incertezza, ma la donna incalzò:
"Presto!" e si fece da parte per lasciarli entrare.
Lo sceicco guardava in silenzio la sconosciuta, il suo volto velato e la persona da cui emanava un fascino particolare che gli procurò un inspiegabile turbamento; anche sir Richard ed Akim, alle spalle di Rashid, si fecero avanti.
"Entriamo.- sollecitò Akim, ultimo ad entrare, chiudendosi la porta alle spalle - Se è una trappola..."
Fuori, la turba inseguitrice passava schiamazzando.
"Chi siete?" domandò Harith alla donna.
La sconosciuta, seminascosta nella penombra, non rispose, ma batté le mani e ad un uomo vestito da servo, che reggeva una lampada, fece un cenno della mano.
L'uomo sollevò la lampada, la cui fiamma illuminò la figura della donna. Snella e aggraziata, doveva essere molto giovane. Indossava una casacca di seta azzurra tenuta in vita da una cintura che terminava con un fermaglio finemente lavorato e ricco di piccoli ciondoli d'oro; un corpetto bianco, senza maniche, le stringeva il busto come un fiore in boccio. Due strisce di pregiata stoffa, ricamate con pagliuzze d'oro, partivano dalle spalle, l'una nera e l'altra azzurra e si incrociavano sul fianco destro dove le raccoglieva la fibbia cesellata della cintura.
La misteriosa creatura disse qualcosa all'orecchio dell'uomo, poi invitò i quattro amici a seguirla. Sempre in silenzio, ma con le mani sull’impugnatura delle armi, i quattro percorsero un corridoio su cui si affacciava un gran numero di porte; in fondo al corridoio giganteggiava una pittura raffigurante una scena mitologica greca: Ulisse e le Sirene.
L'uomo tese una mano verso il dipinto, toccò una leva mimetizzata nell'albero maestro cui era legato l'eroe e subito dopo si aprì un pannello che mostrò l'esistenza di una scala.
Cominciarono a scendere i gradini; quattordici, ne contò Akim, mentre la porta segreta si richiudeva alle loro spalle, prima di toccare terra piana.
In fondo alle scale correva un corridoio ed in fondo al corridoio una tenda nascondeva una porta.
"Qui nessuno verrà a cercarvi."
La giovane donna si fermò e spinse l'uscio con la punta del piede sinistro.
“Siate i benvenuti nella casa di mio padre.” aggiunse.
"Chi siete?" chiese nuovamente lo sceicco, sempre più turbato dal profumo particolare e tenue che emanava dalla persona della sconosciuta e che lo inebriava e gli ricordava un’altra persona.
Erano entrati in una stanza che le molte lampade appese alle pareti illuminavano a giorno e la donna si tolse il mantello e si scoprì il volto e lo sceicco ammutolì dalla sorpresa; trangugiò saliva e gli occorsero diversi istanti prima che dalle labbra uscisse un suono:
"Letizia!...- proruppe, sotto l’empito di una profonda emozione - Vi abbiamo pianto morta...Vi abbiamo pianto morte, tu e tua sorella Atena. - un prondo respiro, poi riprese - … o finite nelle mani di qualche banda di mercanti di schiave.”
Gli occhi della giovane mandarono inquieti bagliori; il bel volto si velò di malinconia e tristezza.
“Morire!... - bisbigliò - Per chi ha il cuore distrutto dal dolore non è una disgrazia… ma lo sarebbe stato cadere nelle mani di Abdel Assan.”
Abdel Assan era il più noto trafficante di schiave destinate agli harem di tutta la costa.
Harith, che non riusciva a comprendere il senso di quell’amarezza, fece l'atto di prendere la parola, ma la ragazza riprese:
"Lo abbiamo incrociato sulla nostra strada, io e mia sorella Atena. – anche nella voce c’era quel velo di malinconia che le adombrava il bel volto. – Dio, però, ha disposto diversamente ed ha messo precisione e forza nel braccio di mia sorella Atena, quando ha puntato il fucile contro i nostri inseguitori e vigore e forza nel garretto del nostro cammello – continuò con un sorriso di scusa, ricordando che quel fucile e quel cammello erano stati sottratti proprio a loro – che non ha avuto difficoltà a distanziarli, permettendoci di arrivare sane e salve qui, nella casa che nostro padre, Aristeo Gallas, aveva comprato per avviare la sua nuova attività di mercante."
**
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"Ci rallegriamo molto - interloquì Rashid- che Allah vi abbia condotto fin qui salve entrambe, tu e tua sorella, la dolce Atena... e ci addoloriamo profondamente per la morte di vostro padre."
"Un dolore senza pari!- gemette la ragazza - Ma non il solo venuto a sconvolgere le nostre vite. Prima l'uomo legato alla mia povera sorella Atena, il professor Marco, poi Atena stessa …”
“Oh, Letizia! – proruppe con vibrante accento lo sceicco il quale, fin dal primo istante aveva ravvisato sotto il mantello e dietro il velo che le celava il volto, proprio le sembianze della ragazza che gli aveva fatto battere il cuore come mai nessuna prima – Dolce Letizia! Sembri preoccupata nel fare il nome di tua sorella.”
“Mia sorella – lo interruppe la ragazza – non da più notizie di sé da molti giorni ed io sono assai preoccupata.”
“Atena non è qui anche lei?” interloquì Akim, che si sentiva un po’ responsabile della sorte delle ragazze.
“No, Akim. – rispose Letizia – Atena voleva raggiungere l’Italia… il Paese del suo amatissimo Marco. Si è imbarcata a Doha… così mi ha fatto sapere… sulla Santa Lucia, una nave in partenza per Genova, ma… da allora non ho più notizie di lei e… e sono assai preoccupata… temo… temo possa esserle accaduto qualcosa.”
“Non temere. Non temere per la sorte di Atena. – interloquì sir Richard, che proprio per Atena si era battuto fin quasi a perdere la vita, per il rispetto e l'amicizia che lo legava all'archeologo italiano – Mi recherò di persona a Doha per chiedere alla Compagnia di Navigazione notizie di quella nave.”
"Io, sir. - sussurrò la ragazza - ancora non ti ho ringraziato per esserti battuto per la libertà di mia sorella."
"Non avrei pemesso a nessuno di fare schiava la donna del mio amico, il professor Marco. - rispose il lord - E non avrei permesso a nessuno, in mia presenza, di fare schiava una donna europea... e... - il lord si schiarì la voce, poi riprese, con il tono flemmatico che gli era consueto, ma che, gli amici lo sapevano bene, nascondeva quel carattere determinato e risoluto che ispirava immediato rispetto - Ero pronto a battermi anche per te, se il mio amico Harith non mi avesse dissuaso con buoni motivi."
Il bel volto di Letizia s'imporporò a quelle parole e il suo sguardo sfiorò per un attimo quello dello sceicco dei Kinda, poi tornò al lord inglese, che gratificò con il più radioso dei sorrisi; un sorriso che, però, smorzò subito con un velo di tristezza, nell’aggiungere:
“Non piango solo la mia cara sorella, ma anche il caro fratello, ma … - aggiunse asciugandosi le lacrime con la punta delle dita affusolate – ma questo...questo non è tempo di lacrime. - sollevò il capo con gesto deciso – Ci sono delle infelici che aspettano il nostro aiuto… Salvando la principessa Jasmine, potrete salvare anche la mia piccola Alma e tutte quelle infelici…"
"Che cosa sai, tu, della principessa Jasmine e di quelle infelici ?" domandò subito Rashid con voce inquieta; Letizia si girò verso il rais, nei suoi occhi c'era la stessa inquietudine.
"Conosco la storia d'amore che lega la principessa Jasmine a Rashid, il rais di Ar-Rimal... - disse -... ma prima occorre che sappiate tutto della setta dello "Scarabeo d'oro"... così si fanno chiamare..."
"Lo Scarabeo d'oro? – la interruppe Rashid - Volete dire che gli affiliati di questa setta sono le stesse belve sanguinarie che si fanno chiamare Figli-della-Morte?"
"Hanno cambiato il nome della Setta, ma sono sempre le stesse belve assetate di sangue. - rispose la ragazza, poi spiegò - Essi adorano Manat, una Dea, a loro dire, dall’eterna giovinezza, il cui simbolo è lo scarabeo, animale dalla misteriosa origine. Ma io conosco l'orribile verità che si nasconde dietro il segreto di quella giovinezza eterna."
"Quale segreto?" ruggì il rais; sentiva che dietro le parole della giovane c'era in agguato un profondo dolore ed aveva la sensazione di essere ubriaco, pur senza aver bevuto né conosciuto mai l’ebbrezza dell'alcool.
"Quei fanatici esaltati credono in una Dea immortale il cui spirito si incarna nel corpo di una ragazza." cominciò la giovane, prendendo posto su un piccolo divano davanti ad un tavolino su cui un’ancella aveva deposto calici pieni di una bevanda dal color amaranto; con un cenno invitò gli ospiti a sedere, dall’altra parte, sul largo divano rosso damascato ricoperto di cuscini dello stesso colore.
"Ma come è possibile?" fecero in coro i quattro amici, prendendo posto sul divano.
"Per secoli i seguaci di questa Dea sanguinaria l'hanno vista giovane e viva." spiegò Letizia.
"Ma non è possibile!" replicò Rashid riponendo il bicchiere sul vassoio senza neppure averlo accostato alle labbra.
“"Hakam… “cominciò la giovane, ma Rashid la interruppe ancora.
“Chi è questo Hakam?” domandò.
“Hakam è il capo di quella diabolica setta . - spiegò la ragazza - C'è un orribile segreto dietro tutto questo: da sempre, i sacerdoti cercano ragazze dai dieci ai quindici anni, che abbiano una rassomiglianza con la loro Dea e che rapiscono o portano via alle famiglie dietro compenso...
Quando la ragazza raggiunge i diciotto anni, diventa la loro Dea."
"E quando invecchia?" domandò Akim.
Rashid invece taceva, ma nel suo sguardo cupo e lampeggiante si specchiava il ribollire turbinoso di tutte le tempeste che gli si agitavano dentro.
"Non invecchia! - confessò con un fil di voce la ragazza - Dopo cinque anni la mettono a morte."
"E' mostruoso!" inorridì il ragazzo; anche gli altri lo erano.
"Alla sua morte, un'altra infelice prende il suo posto per essere adorata negli ultimi cinque anni della sua vita. -riprese Letizia - Hakam, il loro Gran Sacerdote, ha fatto rapire la principessa Jasmine ed ha segnato il suo destino!"
"No!- ruggì Rashid- Io lo impedirò, per Allah!"
"Oh!... - gemette la ragazza - Anche Almos parlava così."
"Almos?...Lo conosci?" stupì il grande predone.
"Era mio fratello. So che voi lo avete soccorso nella morte. Povero fratello mio! Ha cercato di salvare la piccola Alma ed anche la principessa Jasmine."
"Cosa sento!" esclamò sir Richard; Harith taceva.
"In che modo ha cercato di proteggerla?" domandò, invece Rsshid, cercando di nascondere l'angoscia.
"Bisogna che le mie parole- cominciò la ragazza- ripercorrano gli sciagurati sentieri del passato e ritornino al giorno in cui Alma fu rapita, otto anni fa. Per cinque anni la mia bellissima, dolcissima nipotina ha incarnato quella Divinità sanguinaria e implacabile... - una pausa, per permettere al disperato residuo di coraggio di ricacciare indietro le lacrime - Ormai, il tempo concessole è consumato. - riprese, senza riuscire, questa volta a trattenere un singhiozzo - Hakam aspetta soltanto di porre fine alla fuga della principessa Jasmine, per versare il sangue di Alma."
Una pausa, piena di respiri angosciati ed inorriditi, poi Rashid esclamò:
“Questo significa che la piccola Alma è ancora in vita e fin quando lo sarà, lo è anche la mia Jasmine!”
“… e fin quando la principessa Jasmine riuscirà a sfuggire a quella gente, il sangue della mia Alma non sarà versato… ma ora Almos è morto e con lui la sola speranza di salvezza della mia nipotina. - ancora un singhiozzo, poi la giovane si riprese - Almos si introdusse nella tana di quelle belve sanguinarie e finse di essere uno di loro. Rapì la principessa dal palazzo del Sultano a Doha, come gli era stato ordinato, ma invece di metterla nelle loro mani, l'aiutò a fuggire. - ancora una pausa, per schiarirsi la voce e proseguire - La principessa Jasmine era molto provata e Almos la condusse qui per..."
"Jasmine è stata qui?" la interruppe Rashid in preda da profonda emozione.
"Per qualche ora... Per riposare qualche ora e per sostituire le sue vesti con altre meno preziose... Quando ha lasciato questa casa, la principessa Jasmine aveva completamente cambiato il suo aspetto... Almos diceva che così sarebbe passata inosservata."
"Dove... dove sono andati?"
"Mi dispiace, rais... io proprio non lo so. Almos diceva che meno ne sapevo, meglio sarebbe stato per me e mia sorella Atena... Lui temeva di essere seguito e spiato e... e qualcuno deve averlo tradito..." finì con un singhiozzo la ragazza"
"Hambok!" esclamarono insieme i quattro amici
"E' prigioniero a Sahab. - replicò il lord - Ci dirà lui dove si nascondono i compagni."
Cessato ogni pericolo, qualche ora più tardi i quattro amici si apprestarono a lasciare la casa della figlia del mercante greco; lo sceicco Harith si congedò dalla ragazza per ultimo.
"Letizia... - esordì - Avrei tante cose da dirti..."
"Riportami la piccola Alma, Harith. Riportami la mia nipotina. Ti prego!"
"Te la riporteremo, Luce degli Occhi miei! Te la riporteremo." promise il grande predone chinandosi a raccogliere fra le sue le mani di lei e portandosele alle labbra con gesto di grande devozione.
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I quattro amici lasciarono il porto e le sue acque increspate dal monsone e si allontanarono indisturbati. A Waqra si rifornirono di acqua ed acquistarono cavalli; passando davanti al tempietto di Mayrama, Akim ebbe un attimo di esitazione, poi spronò il cavallo e seguì gli altri.
"Sta per piovere." disse Rashid; gli zoccoli dei cavalli risuonavano sui sassi, tra arbusti sempre più radi e secchi; era ancora chiaro, ma il tramonto era prossimo.
"Ma come?- esclamò Akim- L'aria è così infuocata."
"Ma piena d'acqua.-spiegò il rais- Per questo avverti maggiormente la calura."
"Non ho ancora mai visto piovere sul deserto."interloquì il lord.
"Sarà un'acquazzone e sarà breve, ma assai violento - anche Harith entrò nella conversazione- E sta proprio arrivando." continuò, annusando l’aria.
"Un acquazzone nel deserto? "replicò il lord inglese.
L'acquazzone arrivò. Improvviso, violento, furioso, rovinoso. E colpì. Enormi gocce investirono cavalli e cavalieri con la forza e la violenza di frombole e proiettili.
Toccando terra, quelle micro sfere liquide sollevavano la sabbia e nell'aria si univano per ricadere appallottolate a terra e produrre quel caratteristico odore di acqua impastata a polvere.
In alto, sopra le dune sempre più vicine, grosse piante di graminacee a larghi ciuffi, apparvero improvvise, come per un magico colpo di bacchetta. Più in basso, invece, sulle sporgenze rocciose affioranti dalle barcane, tristi arbusti verdastri tendevano al cielo esili braccia scheletriche.
Con la rapidità con cui era giunto, l'acquazzone se ne andò.
Quei pochi, pochissimi, brevissimi istanti, però, avevano modificato l'intero paesaggio.
Breve e violenta, la pioggia evaporò subito; sotto la sabbia, però, aveva lasciato una pozza la cui acqua, i quattro amici usarono per rifornire otri e bisacce e per lavare qualche indumento battendolo con piedi e mani… un lavoro da donna che, all’occorrenza, il beduino non disdegnava di fare.
Sui pendii delle dune e delle barcane l'acqua aveva inciso solchi profondi; le colline pronunciate si erano appiattite e quelle appena accennate erano scomparse o ridotte ad ammassi di fango giallo e sabbioso che il sole avrebbe presto indurito e poi polverizzato. Anche i pendii e le collinette erano opera dell'acqua: i detriti, trasportati fino ai piedi dei rilievi, avrebbero creato nuove dune e nuove barcane.
Dopo l'acquazzone il sole si fece ancora più cocente e l'aria più accecante, carica di fosforescenza: l'iride doveva lottare nell'occhio per adattarsi al barbaglio.
Grazie al riverbero, l'orizzonte parve allargarsi e il cielo si confuse con la sabbia e le lontananze si accorciarono. Si poteva vedere bene il pozzo di Al Hada, distante molte miglia.
"Non ho mai visto un temporale così violento," disse il lord.
"Nel tuo Paese le piogge sono prolungate, ma se qui facesse altrettanto, l'equilibrio naturale ne sarebbe sconvolto." spiegò lo sceicco.
"Nel mio Paese piove anche per settimane e…"
"...con tuoni e fulmini! Lo so... – lo interruppe Harith – Ho assistito ad una violenta tempesta d’acqua… un fulmine cadde a pochi metri da noi… ricordi, Rashid?”
“Come scordarlo!”
"Anche qui, -interloquì Akim- sulla costa, piove come da voi. Ma qui la pioggia non lascia nebbia dietro di sé, ma porta luce accecante."
"E' vero, mio piccolo amico.- sorrise l'inglese-Vedo perfettamente il pozzo di Al Hada. Fra poche ore potremo raggiungerlo."
"T'inganni. - anche Rashid sorrise-Non siamo così vicini. Arriveremo al pozzo non prima di domani.
Rashid aveva ragione. Cavalcarono fino a notte tarda e ripresero il cammino prima dell'alba.
Il pozzo di Al Hada adesso era vicino. Appariva in tutta la sua mole, enorme, circolare, con grossi blocchi di gres bruciati dal sole e consumati dalla sabbia e dal vento. Al pozzo di Al Hada, sovrastato da un minuscolo Minareto, trovarono una piccola carovana in sosta; la sera andava rabbuiando velocemente.
Alcune donne attingevano acqua con piccole giare che poi versavano in otri di pelle di capra, soma di robusti cavalli di razza berbera. Gli uomini, seduti all'ombra del pozzo mangiavano ciambelle appena cotte.
Rashid e gli altri smontarono di sella.
“Gloria all’Altissimo!” salutò lo sceicco Harith.
"Scenda su di noi la pace e la misericordia di Allah !" fece eco il suo rais.
"Sia anche con voi! - risposero quelli -Volete dividere il nostro cibo?"
L'ospitalità del deserto.
Lo sceicco ed il suo rais accettarono, come i più poveri dei nomadi ed invitarono gli altri due compagni a seguirne l'esempio.
Harith sedette accanto ad un anziano, si liberò del mantello e della keffiew e fu subito imitato dagli altri; solo l'inglese preferì non mostrare il suo volto di straniero.
Lo sguardo dei pastori si posò subito sui pugnali infilati nelle cinture.
Un pasto frugale: datteri, di cui si faceva sempre grande scorta e pane, impastato dalle donne in un posto riparato dal vento, con acqua, sale e farina.
Terminato il pasto e terminato e il rifornimento d'acqua, la piccola carovana si apprestò a ripartire; i quattro amici stettero a guardarla allontanarsi, poi Harith si accostò ai cavalli.
"I cavalli sono riposati. Possiamo ripartire." propose, ma un ruggito, improvviso ed inatteso, lo sorprese alle spalle insieme all’odore di fieno bruciato, caratteristico delle fiere selvagge.
Il giovane non ebbe il tempo di voltarsi e si trovò fra gli artigli di una pantera nera. Cacciò un urlo.
La belva lo dominava; gli occhi iniettati di sangue, il fiato contro la sua fronte. Seguì un lungo attimo, poi un ruggito di dolore uscì dalla gola del felino assieme ad un fiotto di sangue che andò ad imbrattare la spalla sinistra del giovane: il pugnale di Rashid era conficcato nel collo della belva che lasciò immediatamente la presa e ruggendo di dolore balzò in piedi e tentò la fuga. Fatti pochi passi, però, stramazzò al suolo.
Harith si alzò e la rincorse, ma sir Richard lo trattenne.
"Aspetta, Harith. Quello è il più subdolo dei felini. Potrebbe essere vivo e fingersi morto."
"L'ho colpito al cuore." replicò Rashid.
"Non conoscete la sua astuzia. - spiegò l'inglese- Quando il cacciatore si china su una pantera nera per accertarne la morte, diventa quasi sempre la sua ultima vittima."
Rashid si accostò cauto e sparò; la pantera ebbe un sussulto, ruggì di dolore e giacque definitivamente.
"Per Allah! Avevi ragione tu, amico mio. - esclamò- Questa belva è stata dura a morire!"
Con la carabina prudentemente in mano, il giovane si chinò sulla carcassa ed una soffocata esclamazione gli sfuggì dalle labbra:
"Misericordia! Venite a vedere."
"E' ancora viva?" domandò Akim.
"No! Ma… Guardate il suo collare."
Rashid indicò uno scarabeo appeso al collo della pantera.
"Potenza di Allah! Che cosa significa?" esclamò Harith.
"Deve essere una delle pericolose guardiane appartenenti a quella setta di fanatici sanguinari.”
“Già! – convenne il lord - Una di quelle pantere che ha ucciso il povero professor Marco e ciò significa
che il covo di quelle belve sanguinarie non deve essere lontano... Le orme di questa bestiaccia saranno ancora sulla sabbia, se il vento non le ha cancellate e potrebbero condurci in quel covo."
"Non possono essere state cancellate. - replicò lo sceicco- C'e sempre calma dopo la tempesta."
Trovarono le tracce: portavano all'oasi delle Grotte.
"Sta per piovere." disse Rashid; gli zoccoli dei cavalli risuonavano sui sassi, tra arbusti sempre più radi e secchi; era ancora chiaro, ma il tramonto era prossimo.
"Ma come?- esclamò Akim- L'aria è così infuocata."
"Ma piena d'acqua.-spiegò il rais- Per questo avverti maggiormente la calura."
"Non ho ancora mai visto piovere sul deserto."interloquì il lord.
"Sarà un'acquazzone e sarà breve, ma assai violento - anche Harith entrò nella conversazione- E sta proprio arrivando." continuò, annusando l’aria.
"Un acquazzone nel deserto? "replicò il lord inglese.
L'acquazzone arrivò. Improvviso, violento, furioso, rovinoso. E colpì. Enormi gocce investirono cavalli e cavalieri con la forza e la violenza di frombole e proiettili.
Toccando terra, quelle micro sfere liquide sollevavano la sabbia e nell'aria si univano per ricadere appallottolate a terra e produrre quel caratteristico odore di acqua impastata a polvere.
In alto, sopra le dune sempre più vicine, grosse piante di graminacee a larghi ciuffi, apparvero improvvise, come per un magico colpo di bacchetta. Più in basso, invece, sulle sporgenze rocciose affioranti dalle barcane, tristi arbusti verdastri tendevano al cielo esili braccia scheletriche.
Con la rapidità con cui era giunto, l'acquazzone se ne andò.
Quei pochi, pochissimi, brevissimi istanti, però, avevano modificato l'intero paesaggio.
Breve e violenta, la pioggia evaporò subito; sotto la sabbia, però, aveva lasciato una pozza la cui acqua, i quattro amici usarono per rifornire otri e bisacce e per lavare qualche indumento battendolo con piedi e mani… un lavoro da donna che, all’occorrenza, il beduino non disdegnava di fare.
Sui pendii delle dune e delle barcane l'acqua aveva inciso solchi profondi; le colline pronunciate si erano appiattite e quelle appena accennate erano scomparse o ridotte ad ammassi di fango giallo e sabbioso che il sole avrebbe presto indurito e poi polverizzato. Anche i pendii e le collinette erano opera dell'acqua: i detriti, trasportati fino ai piedi dei rilievi, avrebbero creato nuove dune e nuove barcane.
Dopo l'acquazzone il sole si fece ancora più cocente e l'aria più accecante, carica di fosforescenza: l'iride doveva lottare nell'occhio per adattarsi al barbaglio.
Grazie al riverbero, l'orizzonte parve allargarsi e il cielo si confuse con la sabbia e le lontananze si accorciarono. Si poteva vedere bene il pozzo di Al Hada, distante molte miglia.
"Non ho mai visto un temporale così violento," disse il lord.
"Nel tuo Paese le piogge sono prolungate, ma se qui facesse altrettanto, l'equilibrio naturale ne sarebbe sconvolto." spiegò lo sceicco.
"Nel mio Paese piove anche per settimane e…"
"...con tuoni e fulmini! Lo so... – lo interruppe Harith – Ho assistito ad una violenta tempesta d’acqua… un fulmine cadde a pochi metri da noi… ricordi, Rashid?”
“Come scordarlo!”
"Anche qui, -interloquì Akim- sulla costa, piove come da voi. Ma qui la pioggia non lascia nebbia dietro di sé, ma porta luce accecante."
"E' vero, mio piccolo amico.- sorrise l'inglese-Vedo perfettamente il pozzo di Al Hada. Fra poche ore potremo raggiungerlo."
"T'inganni. - anche Rashid sorrise-Non siamo così vicini. Arriveremo al pozzo non prima di domani.
Rashid aveva ragione. Cavalcarono fino a notte tarda e ripresero il cammino prima dell'alba.
Il pozzo di Al Hada adesso era vicino. Appariva in tutta la sua mole, enorme, circolare, con grossi blocchi di gres bruciati dal sole e consumati dalla sabbia e dal vento. Al pozzo di Al Hada, sovrastato da un minuscolo Minareto, trovarono una piccola carovana in sosta; la sera andava rabbuiando velocemente.
Alcune donne attingevano acqua con piccole giare che poi versavano in otri di pelle di capra, soma di robusti cavalli di razza berbera. Gli uomini, seduti all'ombra del pozzo mangiavano ciambelle appena cotte.
Rashid e gli altri smontarono di sella.
“Gloria all’Altissimo!” salutò lo sceicco Harith.
"Scenda su di noi la pace e la misericordia di Allah !" fece eco il suo rais.
"Sia anche con voi! - risposero quelli -Volete dividere il nostro cibo?"
L'ospitalità del deserto.
Lo sceicco ed il suo rais accettarono, come i più poveri dei nomadi ed invitarono gli altri due compagni a seguirne l'esempio.
Harith sedette accanto ad un anziano, si liberò del mantello e della keffiew e fu subito imitato dagli altri; solo l'inglese preferì non mostrare il suo volto di straniero.
Lo sguardo dei pastori si posò subito sui pugnali infilati nelle cinture.
Un pasto frugale: datteri, di cui si faceva sempre grande scorta e pane, impastato dalle donne in un posto riparato dal vento, con acqua, sale e farina.
Terminato il pasto e terminato e il rifornimento d'acqua, la piccola carovana si apprestò a ripartire; i quattro amici stettero a guardarla allontanarsi, poi Harith si accostò ai cavalli.
"I cavalli sono riposati. Possiamo ripartire." propose, ma un ruggito, improvviso ed inatteso, lo sorprese alle spalle insieme all’odore di fieno bruciato, caratteristico delle fiere selvagge.
Il giovane non ebbe il tempo di voltarsi e si trovò fra gli artigli di una pantera nera. Cacciò un urlo.
La belva lo dominava; gli occhi iniettati di sangue, il fiato contro la sua fronte. Seguì un lungo attimo, poi un ruggito di dolore uscì dalla gola del felino assieme ad un fiotto di sangue che andò ad imbrattare la spalla sinistra del giovane: il pugnale di Rashid era conficcato nel collo della belva che lasciò immediatamente la presa e ruggendo di dolore balzò in piedi e tentò la fuga. Fatti pochi passi, però, stramazzò al suolo.
Harith si alzò e la rincorse, ma sir Richard lo trattenne.
"Aspetta, Harith. Quello è il più subdolo dei felini. Potrebbe essere vivo e fingersi morto."
"L'ho colpito al cuore." replicò Rashid.
"Non conoscete la sua astuzia. - spiegò l'inglese- Quando il cacciatore si china su una pantera nera per accertarne la morte, diventa quasi sempre la sua ultima vittima."
Rashid si accostò cauto e sparò; la pantera ebbe un sussulto, ruggì di dolore e giacque definitivamente.
"Per Allah! Avevi ragione tu, amico mio. - esclamò- Questa belva è stata dura a morire!"
Con la carabina prudentemente in mano, il giovane si chinò sulla carcassa ed una soffocata esclamazione gli sfuggì dalle labbra:
"Misericordia! Venite a vedere."
"E' ancora viva?" domandò Akim.
"No! Ma… Guardate il suo collare."
Rashid indicò uno scarabeo appeso al collo della pantera.
"Potenza di Allah! Che cosa significa?" esclamò Harith.
"Deve essere una delle pericolose guardiane appartenenti a quella setta di fanatici sanguinari.”
“Già! – convenne il lord - Una di quelle pantere che ha ucciso il povero professor Marco e ciò significa
che il covo di quelle belve sanguinarie non deve essere lontano... Le orme di questa bestiaccia saranno ancora sulla sabbia, se il vento non le ha cancellate e potrebbero condurci in quel covo."
"Non possono essere state cancellate. - replicò lo sceicco- C'e sempre calma dopo la tempesta."
Trovarono le tracce: portavano all'oasi delle Grotte.
CAP. XII - Il potere della superstizione
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/4522844.jpg?388)
"L'INEDIA E' IL MORBO DEL DESERTO" (proverbio arabo)
La arrabi, la primavera, era giunta sul deserto; la si vedeva nel riverbero particolarmente accecante della sabbia, o sul movimento dei pastori che partivano alla ricerca di nuovi pascoli.
Rashid e gli amici raggiunsero l'Oasi delle Grotte e vi posero il campo; s'erano lasciati alle spalle le dune nebulose ed ondulate che da Wakra, avevano avuto sulla destra.
"Questo è un brutto posto. - disse subito Akim, che non faceva nulla per nascondere il suo turbamento- Mi torna alla mente la brutta fine del professore."
“Il professore? - domandò Harith – Chi è il professore?”
"Un archeologo italiano. - spiegò il ragazzo - Uno che studia le cose nascoste e sepolte. Volle esplorare quest’oasi, ma al mattino trovammo il suo corpo ridotto a brandelli da artigli di pantere."
"E' di Marco Starti che state parlando?" domandò Rashid avvicinandosi.
"Proprio di lui." rispose Akim.
"Molto strana quella morte!" sentenziò il lord inglese, legando il cavallo al tronco di una palma.
"Perché strana?" domandò Rashid .
"Gia!- interloquì nuovamente Akim- Parve strana anche a me, la morte del professore. Le pantere non divorano mai la preda sul posto di caccia. E quei poveri resti..."
"...parevano essere stati messi lì apposta da qualcuno. - terminò per lui l'inglese- Qualcuno che voleva tenere la carovana lontano dall'oasi."
"E c'è riuscito!" disse ancora Akim.
"Proprio così! -fece l'altro- La carovana levò immediatamente il campo, appena fatta la macabra scoperta."
"Questo è un posto maledetto. - disse ancora Akim- Popolato da spiriti maligni...Gli spiriti maligni godono nel tormentare gli uomini. Facciamo attenzione a non irritarli." aggiunse molto convinto.
"Gli spiriti non sono cattivi.- sorrise sir Richard - Solo un poco giocherelloni. Pensate che nel mio castello in Scozia, c'è lo spirito di un antenato che di notte vaga per le camere terrorizzando le domestiche. Ma vi garantisco che non è affatto cattivo. Io una volta ho giocato a scacchi con lui per tutta la notte."
"Non scherzare con queste cose, sir. - lo ammonì il ragazzo - Anche il povero Marco lo faceva, ricordi? E che fine ha fatto?"
"Una strana fine, ne convengo... Su cui vorrei, sinceramente, fare un po’ di luce."
All'orizzonte, infuocato dal sole del tramonto, si stendeva l'enorme massa sabbiosa che costituiva la duna più vicina.
"Perché non ci siamo accampati là dietro?"
Akim la indicò agli altri, seduti a circolo intorno alla stuoia su cui Harith stava disponendo del cibo.
"Brrr...Brrr..." fece il ragazzo , stringendosi nel selham, il mantello con cappuccio che Letizia gli aveva messo sulle spalle prima di accomiatarsi da lei.
"Hai freddo? - chiese Rashid, porgendogli un bricco fumante - Tieni. Bevi un sorso di questo infuso. E’ buono e ti riscalderà."
"Non è il freddo. - confessò il piccolo mago, prendendo il bricco ed accostandovi entrambe le mani, prima di portarselo alle labbra per poterle scaldare; erano gelide. - C'è qualcosa, qui, di ostile, che mi mette brividi nella schiena." confessò,
"Hai ragione, fratellino. - rispose il rais - Sento io pure qualcosa raggelarmi il sangue."
"Io mi reputo un uomo razionale, per Mille Balene Oceaniche!- sbottò sir Richard, stringendosi anch’egli nel suo ksa, l’ampio, bianco mantello, che soleva ripetere con ironico sorriso, eccitava la penna e il pennello degli artisti europei - Ma qui c'è davvero qualcosa che sfugge al raziocinio."
Harith non diceva nulla ma neppure lui doveva essere immune a quel virus di strana inquietudine che stava prendendo tutti; da oriente, intanto, l'ultimo sprazzo di luce stava dileguandosi.
Consumata una breve cena, stabilirono i turni di guardia; al lord toccò il primo, gli altri si infilarono sotto le coperte con le armi pronte all'uso.
Sir Richard sedette contro un tronco di palma; il fucile, palla in canna, appoggiato al fianco e il pugnale tra le gambe, guardava il cielo sopra la sua testa.
L'aria era tersa, quasi chiara; si sollevava dalle sabbie come una grande nuvola; sull'oasi, però, il cielo pesava come una cappa di piombo su ombre cupe.
Il contrasto tra l'iridescenza delle sabbie e il buio dell'oasi, era assai suggestivo: parevano paesaggi di due pianeti diversi. Su tutto pesava il silenzio, un silenzio sepolcrale, che neppure il verso di animali notturni spezzava: nel deserto solo di rado gli animali hanno voce!
Il giovane di tanto in tanto si girava a guardare i dormienti, ma non li sentiva russare: nessuno di loro dormiva. Nella notte sferzata dall’aria gelida, il fuoco di rami secchi del bivacco non riusciva a scaldarlo; ai piedi, il lume ad olio acceso, la cui fiamma sbiadiva alla luce dei rami scoppiettanti, le mani tese verso il fuoco, il lord proiettava la sua ombra alle spalle. Completamente infagottato nel suo bianco mantello, pareva un fantasma.
L'alba del deserto è uno spettacolo straordinario. Il sole compare d'improvviso, d'un rosso cupo e sanguigno e il cielo, d'azzurro turchino, è così terso da ferire gli occhi. A guardarlo ci si abitua presto, però, almeno fino a quando il sole non ne diventa il padrone incontrastato.
"Finalmente si lascia questo posto maledetto." esclamò Akim che, prima degli altri, aveva radunato le sue cose.
"Non prima di aver chiarito i misteri di questa notte." replicò Rashid.
"Tutto ciò che è accaduto questa notte, è opera soprannaturale." insisté il ragazzo.
"Lo scopriremo! Lo scopriremo! – assentì col capo il grande predone – Intanto, dobbiamo avvertire gli uomini accampati ad Al Hasa che aspettano il nostro segnale." aggiunse, poi si allontanò di qualche metro.
La differenza tra suolo fertile e suolo sabbioso, in quel posto, era così netta che in alcuni punti, stando in piedi, un piede poggiava sul suolo fermo e l'altro affondava nella sabbia; cactus e palme respiravano insieme.
Rashid si accostò ad un cactus e con la fiamma prodotta dallo strofinamento di due pietre focaie, aggredì la punta acuminata delle spine, le quali presero immediatamente fuoco.
Una lieve brezza sollevò lo strato superficiale della sabbia.
"Il respiro del diavolo! – spiegò il beduino, levando lo sguardo scuro e penetrante in direzione del lord inglese e di Akim che lo stavano guardando con espressione di sorpresa - Provocherà un piccolo turbine artificiale e segnalerà la nostra presenza."
Il calore e il vento trasferirono alla sabbia un moto rotatorio che andò sempre più allargandosi, ampio ed intenso, fino a diventare vorticoso: un vero turbine, anche se di ridotte dimensioni, da cui bisognava tenersi lontani.
Pochi minuti dopo, da dietro una duna, all'orizzonte, si sollevò una nuvola bianca; l'inglese dovette sorprendersi ancora una volta.
"Sono là dietro. - disse Rashid - I nostri uomini sono là dietro."
Sir Richard stava per replicare quando un grido di Akim, proveniente dalla sua destra sorprese lui e gli altri due amici; si precipitarono tutti in quella direzione. Pochi metri di corsa e lo videro, chino su una figura femminile stesa a terra, faccia contro la sabbia ed immersa in un lago di sangue,
"Che scempio!” fu il primo commento.
"Chi può essere stato?" disse Harith con accento pietoso.
"Quella gente! E chi altri? - esclamò l'inglese - I Figli della Morte!"
"Che orrore! Guardate queste ferite...- osservò Rashid - Botte, cinghiate, armi da taglio..."
"E queste? -il ragazzo indicò un'ampia ferita alla spalla destra - Sono artigli di pantere o di leopardi del deserto."
"Nessuna di queste ferite, però, è tanto grave da essere mortale! - fece osservare il lord che, con delicatezza, nel timore di lesioni interne, girò la ragazza su un fianco – Lo scopo non era uccidere!”
"Opera di un torturatore. - assentì il rais - Ferite prodotte solo per torturare... arrecare più dolore e sofferenza possibile e lasciarla morire di un’agonia terribile e lenta… " aggiunse togliendosi dal capo il mindil.
Con un orlo del candido rettangolo di lino, il beduino cominciò a eipulire dal sangue e dalla sabbia il volto della sconosciuta.
“Nemmeno le iene infieriscono così sulle prede.” convenne con un gesto del capo il suo sceicco, poi una esclamazione di profondo stupore, sfuggì dalle labbra di Rashid:
"Allah Misericordioso!...Ma è una delle figlie del mercante greco! ... E' Letizia!"
Lo sceicco di Ar-Rimal, alle spalle dei due, soffocò un urlo di rabbia.
La ragazza aprì gli occhi, mosse le labbra riarse.
“Atena… - sussurrò - Dov’è A...tena?”
”Atena? - esordì Rashid, in piedi alle spalle dell’inglese - C'era anche Atena con te?"
“… Ate..na… ha cercato di dife..ndermi da quegli aguzzini… - spiegò con affanno la ragazza - quando sono venuti… al Tempio…hanno trascinato anche… lei nel deserto per…condannarci a morire… di sete…”
“Quei maledetti!” proruppe sir Richard e Rashid, con durezza:
“Pagheranno anche per questo! – scandì a denti stretti, poi, rivolto alla ragazza, che Akim stava ristorando con del succo di palma mentre Harith le reggeva il capo e le accarezzava dolcemente il volto – Ma... Atena non era partita per il Paese del professor Marco? ” domandò.
"L'ho vista arrivare solo pochi minuti dopo la vostra... partenza. - spiegò sempre con affanno la ragazza - E' tornata indietro perché... la "Santa Lucia"... la nave che doveva portarla a Genova... in Italia... non è salpata..."
"Oh! - fece il lord - Quelle bestie rabbiose si sono accanite anche contro di lei? - domandò - Hanno infierito anche su di lei come hanno fatto con te?"
“No! - rispose Letizia - Senza di lei sarei... già morta.. Atena ha curato come meglio... ha potuto le mie ferite, poi si è allontanata per cercare dell’acqua…” spiegò rendendo la borraccia ad Akim e passandosi le labbra contro il dorso della mano; Harith continuava a detergerle la fronte con una pezzuola imbevuta d'acqua.
“In cerca di acqua? “ fece eco Rashid in tono preoccupato; Letizia sollevò lo sguardo in quello magnetico del grande predone.
“… così come vedeva fare al professor Marco. – spiegò. Ristorata e confortata, la ragazza stava riprendendo pian piano le forze anche se le ferite l’avevano molto fiaccata - Non è più tornata… Ho aspettato, ma Atena non è tornata…” aggiunse in tono di sconforto.
“La ritroveremo! – esclamò sir Richard – Stai tranquilla, dolce Letizia. Andremo alla ricerca di Atena e torneremo con lei.”
Letizia fissò grata il giovane, che la guardava con una tenerezza nuova per lei; anche se la tenera dolcezza e la disponibilità che quel giovane mostrava nei suoi confronti e nei confronti di sua sorella erano confortanti, non riuscivano a dissipare i timori e le inquietudini che le navigavano nei begli occhi azzurri come un pezzo del cielo sopra le loro teste..
“Andremo io e sir Richard. – la voce di Rashid fece convergere gli sguardi sullo sceicco di Sahab – Andremo noi a cercare Atena. Tu, fratello mio, resterai qui ad aspettarci ed a proteggerla. - poi, rivolto alla ragazza - Torneremo con Atena.”
Un cenno affermativo del capo, poi Rashid, Akim e il lord inglese si allontanarono.
La arrabi, la primavera, era giunta sul deserto; la si vedeva nel riverbero particolarmente accecante della sabbia, o sul movimento dei pastori che partivano alla ricerca di nuovi pascoli.
Rashid e gli amici raggiunsero l'Oasi delle Grotte e vi posero il campo; s'erano lasciati alle spalle le dune nebulose ed ondulate che da Wakra, avevano avuto sulla destra.
"Questo è un brutto posto. - disse subito Akim, che non faceva nulla per nascondere il suo turbamento- Mi torna alla mente la brutta fine del professore."
“Il professore? - domandò Harith – Chi è il professore?”
"Un archeologo italiano. - spiegò il ragazzo - Uno che studia le cose nascoste e sepolte. Volle esplorare quest’oasi, ma al mattino trovammo il suo corpo ridotto a brandelli da artigli di pantere."
"E' di Marco Starti che state parlando?" domandò Rashid avvicinandosi.
"Proprio di lui." rispose Akim.
"Molto strana quella morte!" sentenziò il lord inglese, legando il cavallo al tronco di una palma.
"Perché strana?" domandò Rashid .
"Gia!- interloquì nuovamente Akim- Parve strana anche a me, la morte del professore. Le pantere non divorano mai la preda sul posto di caccia. E quei poveri resti..."
"...parevano essere stati messi lì apposta da qualcuno. - terminò per lui l'inglese- Qualcuno che voleva tenere la carovana lontano dall'oasi."
"E c'è riuscito!" disse ancora Akim.
"Proprio così! -fece l'altro- La carovana levò immediatamente il campo, appena fatta la macabra scoperta."
"Questo è un posto maledetto. - disse ancora Akim- Popolato da spiriti maligni...Gli spiriti maligni godono nel tormentare gli uomini. Facciamo attenzione a non irritarli." aggiunse molto convinto.
"Gli spiriti non sono cattivi.- sorrise sir Richard - Solo un poco giocherelloni. Pensate che nel mio castello in Scozia, c'è lo spirito di un antenato che di notte vaga per le camere terrorizzando le domestiche. Ma vi garantisco che non è affatto cattivo. Io una volta ho giocato a scacchi con lui per tutta la notte."
"Non scherzare con queste cose, sir. - lo ammonì il ragazzo - Anche il povero Marco lo faceva, ricordi? E che fine ha fatto?"
"Una strana fine, ne convengo... Su cui vorrei, sinceramente, fare un po’ di luce."
All'orizzonte, infuocato dal sole del tramonto, si stendeva l'enorme massa sabbiosa che costituiva la duna più vicina.
"Perché non ci siamo accampati là dietro?"
Akim la indicò agli altri, seduti a circolo intorno alla stuoia su cui Harith stava disponendo del cibo.
"Brrr...Brrr..." fece il ragazzo , stringendosi nel selham, il mantello con cappuccio che Letizia gli aveva messo sulle spalle prima di accomiatarsi da lei.
"Hai freddo? - chiese Rashid, porgendogli un bricco fumante - Tieni. Bevi un sorso di questo infuso. E’ buono e ti riscalderà."
"Non è il freddo. - confessò il piccolo mago, prendendo il bricco ed accostandovi entrambe le mani, prima di portarselo alle labbra per poterle scaldare; erano gelide. - C'è qualcosa, qui, di ostile, che mi mette brividi nella schiena." confessò,
"Hai ragione, fratellino. - rispose il rais - Sento io pure qualcosa raggelarmi il sangue."
"Io mi reputo un uomo razionale, per Mille Balene Oceaniche!- sbottò sir Richard, stringendosi anch’egli nel suo ksa, l’ampio, bianco mantello, che soleva ripetere con ironico sorriso, eccitava la penna e il pennello degli artisti europei - Ma qui c'è davvero qualcosa che sfugge al raziocinio."
Harith non diceva nulla ma neppure lui doveva essere immune a quel virus di strana inquietudine che stava prendendo tutti; da oriente, intanto, l'ultimo sprazzo di luce stava dileguandosi.
Consumata una breve cena, stabilirono i turni di guardia; al lord toccò il primo, gli altri si infilarono sotto le coperte con le armi pronte all'uso.
Sir Richard sedette contro un tronco di palma; il fucile, palla in canna, appoggiato al fianco e il pugnale tra le gambe, guardava il cielo sopra la sua testa.
L'aria era tersa, quasi chiara; si sollevava dalle sabbie come una grande nuvola; sull'oasi, però, il cielo pesava come una cappa di piombo su ombre cupe.
Il contrasto tra l'iridescenza delle sabbie e il buio dell'oasi, era assai suggestivo: parevano paesaggi di due pianeti diversi. Su tutto pesava il silenzio, un silenzio sepolcrale, che neppure il verso di animali notturni spezzava: nel deserto solo di rado gli animali hanno voce!
Il giovane di tanto in tanto si girava a guardare i dormienti, ma non li sentiva russare: nessuno di loro dormiva. Nella notte sferzata dall’aria gelida, il fuoco di rami secchi del bivacco non riusciva a scaldarlo; ai piedi, il lume ad olio acceso, la cui fiamma sbiadiva alla luce dei rami scoppiettanti, le mani tese verso il fuoco, il lord proiettava la sua ombra alle spalle. Completamente infagottato nel suo bianco mantello, pareva un fantasma.
L'alba del deserto è uno spettacolo straordinario. Il sole compare d'improvviso, d'un rosso cupo e sanguigno e il cielo, d'azzurro turchino, è così terso da ferire gli occhi. A guardarlo ci si abitua presto, però, almeno fino a quando il sole non ne diventa il padrone incontrastato.
"Finalmente si lascia questo posto maledetto." esclamò Akim che, prima degli altri, aveva radunato le sue cose.
"Non prima di aver chiarito i misteri di questa notte." replicò Rashid.
"Tutto ciò che è accaduto questa notte, è opera soprannaturale." insisté il ragazzo.
"Lo scopriremo! Lo scopriremo! – assentì col capo il grande predone – Intanto, dobbiamo avvertire gli uomini accampati ad Al Hasa che aspettano il nostro segnale." aggiunse, poi si allontanò di qualche metro.
La differenza tra suolo fertile e suolo sabbioso, in quel posto, era così netta che in alcuni punti, stando in piedi, un piede poggiava sul suolo fermo e l'altro affondava nella sabbia; cactus e palme respiravano insieme.
Rashid si accostò ad un cactus e con la fiamma prodotta dallo strofinamento di due pietre focaie, aggredì la punta acuminata delle spine, le quali presero immediatamente fuoco.
Una lieve brezza sollevò lo strato superficiale della sabbia.
"Il respiro del diavolo! – spiegò il beduino, levando lo sguardo scuro e penetrante in direzione del lord inglese e di Akim che lo stavano guardando con espressione di sorpresa - Provocherà un piccolo turbine artificiale e segnalerà la nostra presenza."
Il calore e il vento trasferirono alla sabbia un moto rotatorio che andò sempre più allargandosi, ampio ed intenso, fino a diventare vorticoso: un vero turbine, anche se di ridotte dimensioni, da cui bisognava tenersi lontani.
Pochi minuti dopo, da dietro una duna, all'orizzonte, si sollevò una nuvola bianca; l'inglese dovette sorprendersi ancora una volta.
"Sono là dietro. - disse Rashid - I nostri uomini sono là dietro."
Sir Richard stava per replicare quando un grido di Akim, proveniente dalla sua destra sorprese lui e gli altri due amici; si precipitarono tutti in quella direzione. Pochi metri di corsa e lo videro, chino su una figura femminile stesa a terra, faccia contro la sabbia ed immersa in un lago di sangue,
"Che scempio!” fu il primo commento.
"Chi può essere stato?" disse Harith con accento pietoso.
"Quella gente! E chi altri? - esclamò l'inglese - I Figli della Morte!"
"Che orrore! Guardate queste ferite...- osservò Rashid - Botte, cinghiate, armi da taglio..."
"E queste? -il ragazzo indicò un'ampia ferita alla spalla destra - Sono artigli di pantere o di leopardi del deserto."
"Nessuna di queste ferite, però, è tanto grave da essere mortale! - fece osservare il lord che, con delicatezza, nel timore di lesioni interne, girò la ragazza su un fianco – Lo scopo non era uccidere!”
"Opera di un torturatore. - assentì il rais - Ferite prodotte solo per torturare... arrecare più dolore e sofferenza possibile e lasciarla morire di un’agonia terribile e lenta… " aggiunse togliendosi dal capo il mindil.
Con un orlo del candido rettangolo di lino, il beduino cominciò a eipulire dal sangue e dalla sabbia il volto della sconosciuta.
“Nemmeno le iene infieriscono così sulle prede.” convenne con un gesto del capo il suo sceicco, poi una esclamazione di profondo stupore, sfuggì dalle labbra di Rashid:
"Allah Misericordioso!...Ma è una delle figlie del mercante greco! ... E' Letizia!"
Lo sceicco di Ar-Rimal, alle spalle dei due, soffocò un urlo di rabbia.
La ragazza aprì gli occhi, mosse le labbra riarse.
“Atena… - sussurrò - Dov’è A...tena?”
”Atena? - esordì Rashid, in piedi alle spalle dell’inglese - C'era anche Atena con te?"
“… Ate..na… ha cercato di dife..ndermi da quegli aguzzini… - spiegò con affanno la ragazza - quando sono venuti… al Tempio…hanno trascinato anche… lei nel deserto per…condannarci a morire… di sete…”
“Quei maledetti!” proruppe sir Richard e Rashid, con durezza:
“Pagheranno anche per questo! – scandì a denti stretti, poi, rivolto alla ragazza, che Akim stava ristorando con del succo di palma mentre Harith le reggeva il capo e le accarezzava dolcemente il volto – Ma... Atena non era partita per il Paese del professor Marco? ” domandò.
"L'ho vista arrivare solo pochi minuti dopo la vostra... partenza. - spiegò sempre con affanno la ragazza - E' tornata indietro perché... la "Santa Lucia"... la nave che doveva portarla a Genova... in Italia... non è salpata..."
"Oh! - fece il lord - Quelle bestie rabbiose si sono accanite anche contro di lei? - domandò - Hanno infierito anche su di lei come hanno fatto con te?"
“No! - rispose Letizia - Senza di lei sarei... già morta.. Atena ha curato come meglio... ha potuto le mie ferite, poi si è allontanata per cercare dell’acqua…” spiegò rendendo la borraccia ad Akim e passandosi le labbra contro il dorso della mano; Harith continuava a detergerle la fronte con una pezzuola imbevuta d'acqua.
“In cerca di acqua? “ fece eco Rashid in tono preoccupato; Letizia sollevò lo sguardo in quello magnetico del grande predone.
“… così come vedeva fare al professor Marco. – spiegò. Ristorata e confortata, la ragazza stava riprendendo pian piano le forze anche se le ferite l’avevano molto fiaccata - Non è più tornata… Ho aspettato, ma Atena non è tornata…” aggiunse in tono di sconforto.
“La ritroveremo! – esclamò sir Richard – Stai tranquilla, dolce Letizia. Andremo alla ricerca di Atena e torneremo con lei.”
Letizia fissò grata il giovane, che la guardava con una tenerezza nuova per lei; anche se la tenera dolcezza e la disponibilità che quel giovane mostrava nei suoi confronti e nei confronti di sua sorella erano confortanti, non riuscivano a dissipare i timori e le inquietudini che le navigavano nei begli occhi azzurri come un pezzo del cielo sopra le loro teste..
“Andremo io e sir Richard. – la voce di Rashid fece convergere gli sguardi sullo sceicco di Sahab – Andremo noi a cercare Atena. Tu, fratello mio, resterai qui ad aspettarci ed a proteggerla. - poi, rivolto alla ragazza - Torneremo con Atena.”
Un cenno affermativo del capo, poi Rashid, Akim e il lord inglese si allontanarono.
***
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/3140275.jpg)
Vi fu un lungo silenzio fra Harith e Letizia, appena rimasti da soli; lo sceicco le stava inginocchiato accanto accarezzandola di sguardi e sorrisi. Anche lei abbozzò un pallido sorriso e tentò di sollevarsi su un gomito, ma ricadde indietro con un gemito:
"Non fare sforzi. - Harith ruppe il silenzio - le ferite potrebbero riprendere a sanguinare. " disse e con gesti colmi di delicatezza le passò il braccio sotto il busto e la attirò a sé; lei lasciò fare, gli si abbandonò fra le braccia e gli posò la testa sulla spalla e intanto lo sguardo, attraverso un velo di lacrime, seguiva distratto l'andirivieni della sabbia rimossa dal vento.
"Mi dispiace, Letizia. - egli la guardava con occhi ardenti, ma gli occhi di lei, quando gli sguardi si sfioravano, erano muti e pensosi - Sono davvero mortificato."
"Mortificato?" replicò lei.
"Non ho saputo proteggerti... Non ho saputo proteggere la creatura che più amo al mondo."
"Proteggermi?" lo interruppe lei distogliendo lo sguardo da quello di lui ed inseguendo arbusti dal fusto contorto come serpenti che il vento faceva rotolare sulla sabbia.
"Ti ho spinto a fuggire da me, mettendo in pericolo la tua vita e quella di tua sorella." diss'egli aggrottando la fronte attraversata da un piccolo solco.
"No, Harith. - bisbigliò lei - Tu non hai obbligo alcuno verso di me. - Harith tentò di interromperla, ma lei non glielo consentì e pur con grande affanno riprese - Nostro fratello Almos non... non ci ha fatto mancare la sua... protezione a... a me e Atena da quando siamo arrivate ... a Doha, da sole... ma quella gente è implacabile. - una breve pausa per consentirle di riprendere fiato e schiarirsi la gola,poi Letizia riprese - La paura ci ha rese sospettose e guardinghe, ma non è bastato."
La ragazza riprese a piangere. Sommessamente, senza singhiozzi e le lacrime lucenti che le solcavano il volto illuminato dal sole, sembravano argento fuso. Harith si chinò ad asciugarle con le labbra, ma lei girò il capo dalll'altra parte.
"Gli uomini di Hakam sono piombati nella nostra casa come cani rabbiosi, sicuri di trovarvi la principessa Jasmine... Volevano che rivelassi il suo nascondiglio e... e hanno sfogato su di me la loro rabbia."
"Oh! - proruppe il giovane, nell'empito di una collera irrefrenabile - Mi dispiace di non essere stato lì a proteggerti, mio dolce tesoro, ma quando avrò quelle belve tra le mani, ogni goccia del tuo sangue versato sarà vendicato."
"Io non temevo per la mia vita...- precisò lei - ma per quella di... mia sorella Atena tornata a casa proprio allora, io... io temevo che sfogassero la loro ... rabbia anche su di lei. - ricominciò a piangere - Ma dove... dove sarà adesso mia sorella Atena?"
"La ritroveranno. - sorrise Harith rassicurante - Conosco bene i miei amici... Stai tranquilla, mio bene. Torneranno con la bella Atena. Stai tranquilla."
Trovarono Atena a meno di un miglio di distanza. Era sfinita e disidratata, ma ancora viva. Stava accovacciata a terra contro una sporgenza rocciosa affiorante dal suolo torrefatto; a poche decine di metri da lei, tre avvoltoi saltellavano in minacciosa attesa.
“Via! Via!”
Akim li scacciò col nodoso ramo che gli faceva da bastone e quelli si allontanarono gracchiando, poi il lord inglese aiutò Rashid a caricarsi la ragazza in sella davanti a sé.
Tornarono nel posto dove avevano lasciato Harith e Letizia e lo sceicco riferì tutto quello che la ragazza gli aveva appena raccontato ed espresse l'angosciante dubbio che quella canaglia di Hakam, potesse aver messo fine alla fuga della principessa Jasmine.
"Se così è - replicò l'innglese - non può che averla condotta dell'oasi delle Grotte ed è lì che dobbiamo precipitarci, prima che accada l'irreparabile."
"Ma...- replicò Akim- se la principessa muore, quella setta di fanatici non avrà più la sua Dea-Vivente!"
Letizia scosse il capo.
"Troveranno presto qualche altra sventurata che prenda il posto della principessa Jasmine su quell'altare insanguinato... Hakam vuole punire la principessa per aver tentato la fuga ed aver scombinato i suoi piani."
Rashid trattenne un ruggito, poi ordinò, cupo:
"A Sahab!- Torniamo a Sahab. Raduniamo gli uomini e torniamo a Sahab. Prepareremo l'assalto alla Grande Grotta. La passeremo a ferro e fuoco fino a ché non ne resterà che cenere."
Salirono a cavallo, il rais con la Atena seduta avanti a sé e Harith con Letizia e si allontanarono al galoppo in direzione dei segnali di fumo.
**********************
A Sahab le due sorelle furono affidate alle cure delle donne della tribù.
La prima ad arrivare fu Zaira. Era insieme ad Atena, che aveva accompagnato a deporre un mazzo di fiori sul posto dove era stato sepolto il fratello Almos; con loro c'era anche Fatima, la promessa sposa dello sceicco Harith, che fu la prima a fare il suo ingresso e sollevare il leggero tendaggio che proteggevva il letto dell'inferma.
Quella presenza, naturalmente, sorprese molto Letizia. La ragazza stava riposando, ma aprì subito gli occhi e nell'incontrare quelli della rivale, pur sotto la doppia spinta della sorpresa e della gelosia, lo sguardo le si illuminò di sincera gratitudine.
"Le sue ultime parole... - cercò di consolarla la sorella, avvicinandosi e consegnandole uno di quei fiori, che la ragazza si portò alle labbra bagnandolo di lacrime - ... le ultime parole di nostro fratello Almos , mi ha detto il lord inglese, sono state per te e per Alma, sorella mia. - Zaira e Fatima silenziose e commosse, alle spalle di Atena, seguivano il drammtico colloquio fra le due sorelle - Almos sapeva in quale pericolo stavi versando anche tu, sorellina mia carissima. Sapeva che quelle belve sanguinarie avrebbero potuto giungere fino a te."
"Gli uomini di Hakam erano sicuri di trovare la principesa Jasmine a casa di nostro padre. - assentì la ragazza con voce di pianto - Almos, però, non volle dirmi quale nascondiglio avesse scelto per lei... Almos diceva che era più prudente per me non saperne nulla. - una paua per un breve singhiozzo, poi Letizia riprese - E io non so davvero nulla e mi dolgo di non poter offrire il mio aiuto per ritrovare la principessa."
"Non affliggerti per questo, Letizia. - interloquì Zaira facendosi avanti - C'é qualcuno che conosce il nascondiglio della principessa Jasmine: é l'uomo che ha tradito vostro fratello Almos e che ora si trova prigioniero qui a Sahab. E parlerà!... - aggiunse protendendo in avanti una mano per una carezza - Su questo non ci sono dubbi. Parlerà!"
"... e Alma?..." replicò Letizia.
"Stai tranquilla. Il notro rais e i suoi uomini strapperanno dalle mani di quella gente la piccola Alma e la riporteranno qui insieme alla principessa Jasmine."
A smorzare la drammaticità di quella conversazione arrivò una ragazza con del the freddo ed aromatizzato. La ragazza distribuì le tazze ed Atena aiutò la sorella a sollevarsi sul busto.
Mentre sorseggiava, Letizia sbirciava in direzione di Fatima, accocolata come le altre su una catasta di cuscini ai piedi del letto dal basso sostegno.
"E' molto graziosa. - si sorprese a pensare - Graziosa ed opulenta... Harith le mostrava attenzioni e premure..."
Come richiamata dal suo sguardo, Fatima converse su di lei lo sguardo scuro e profondo.
"Mi dispiace, Fatima, che tutti questi eventi abbiano funestato i festeggiamenti per lo scambio di promesa di matrimonio fra te e lo sceicco Harith." disse, restituendo la tazza vuota ed abbozzando un pallido sorriso di scusa.
Fatima fece l'atto di prendere la parola, ma Fatima, la nutrice di Harith, comparsa sull'uscio, la prevenne e disse, in tono enigmatico:
"Oh!...Questo dramma un giorno diventerà solo un ricordo. Le azioni dell'uomo sono come
sabbia di duna dopo la tempesta: si ammassa, ma al primo soffio di vento si ritira.... Un giorno si racconterà intorno alle fiamme del bivacco la storia della principessa Jasmine e della piccola Alma, sottratte alla follia di gente sanguinaria... ma ora, lasciatela riposare... - aggiunse in tono perentorio - Lasciatela riposare." ed indicò Letizia che già stava tornando a distendersi. Insieme a Zaira e Fatima, la donna lasciò la tenda; Atena restò ad occuparsi dell'inferma.
"Non fare sforzi. - Harith ruppe il silenzio - le ferite potrebbero riprendere a sanguinare. " disse e con gesti colmi di delicatezza le passò il braccio sotto il busto e la attirò a sé; lei lasciò fare, gli si abbandonò fra le braccia e gli posò la testa sulla spalla e intanto lo sguardo, attraverso un velo di lacrime, seguiva distratto l'andirivieni della sabbia rimossa dal vento.
"Mi dispiace, Letizia. - egli la guardava con occhi ardenti, ma gli occhi di lei, quando gli sguardi si sfioravano, erano muti e pensosi - Sono davvero mortificato."
"Mortificato?" replicò lei.
"Non ho saputo proteggerti... Non ho saputo proteggere la creatura che più amo al mondo."
"Proteggermi?" lo interruppe lei distogliendo lo sguardo da quello di lui ed inseguendo arbusti dal fusto contorto come serpenti che il vento faceva rotolare sulla sabbia.
"Ti ho spinto a fuggire da me, mettendo in pericolo la tua vita e quella di tua sorella." diss'egli aggrottando la fronte attraversata da un piccolo solco.
"No, Harith. - bisbigliò lei - Tu non hai obbligo alcuno verso di me. - Harith tentò di interromperla, ma lei non glielo consentì e pur con grande affanno riprese - Nostro fratello Almos non... non ci ha fatto mancare la sua... protezione a... a me e Atena da quando siamo arrivate ... a Doha, da sole... ma quella gente è implacabile. - una breve pausa per consentirle di riprendere fiato e schiarirsi la gola,poi Letizia riprese - La paura ci ha rese sospettose e guardinghe, ma non è bastato."
La ragazza riprese a piangere. Sommessamente, senza singhiozzi e le lacrime lucenti che le solcavano il volto illuminato dal sole, sembravano argento fuso. Harith si chinò ad asciugarle con le labbra, ma lei girò il capo dalll'altra parte.
"Gli uomini di Hakam sono piombati nella nostra casa come cani rabbiosi, sicuri di trovarvi la principessa Jasmine... Volevano che rivelassi il suo nascondiglio e... e hanno sfogato su di me la loro rabbia."
"Oh! - proruppe il giovane, nell'empito di una collera irrefrenabile - Mi dispiace di non essere stato lì a proteggerti, mio dolce tesoro, ma quando avrò quelle belve tra le mani, ogni goccia del tuo sangue versato sarà vendicato."
"Io non temevo per la mia vita...- precisò lei - ma per quella di... mia sorella Atena tornata a casa proprio allora, io... io temevo che sfogassero la loro ... rabbia anche su di lei. - ricominciò a piangere - Ma dove... dove sarà adesso mia sorella Atena?"
"La ritroveranno. - sorrise Harith rassicurante - Conosco bene i miei amici... Stai tranquilla, mio bene. Torneranno con la bella Atena. Stai tranquilla."
Trovarono Atena a meno di un miglio di distanza. Era sfinita e disidratata, ma ancora viva. Stava accovacciata a terra contro una sporgenza rocciosa affiorante dal suolo torrefatto; a poche decine di metri da lei, tre avvoltoi saltellavano in minacciosa attesa.
“Via! Via!”
Akim li scacciò col nodoso ramo che gli faceva da bastone e quelli si allontanarono gracchiando, poi il lord inglese aiutò Rashid a caricarsi la ragazza in sella davanti a sé.
Tornarono nel posto dove avevano lasciato Harith e Letizia e lo sceicco riferì tutto quello che la ragazza gli aveva appena raccontato ed espresse l'angosciante dubbio che quella canaglia di Hakam, potesse aver messo fine alla fuga della principessa Jasmine.
"Se così è - replicò l'innglese - non può che averla condotta dell'oasi delle Grotte ed è lì che dobbiamo precipitarci, prima che accada l'irreparabile."
"Ma...- replicò Akim- se la principessa muore, quella setta di fanatici non avrà più la sua Dea-Vivente!"
Letizia scosse il capo.
"Troveranno presto qualche altra sventurata che prenda il posto della principessa Jasmine su quell'altare insanguinato... Hakam vuole punire la principessa per aver tentato la fuga ed aver scombinato i suoi piani."
Rashid trattenne un ruggito, poi ordinò, cupo:
"A Sahab!- Torniamo a Sahab. Raduniamo gli uomini e torniamo a Sahab. Prepareremo l'assalto alla Grande Grotta. La passeremo a ferro e fuoco fino a ché non ne resterà che cenere."
Salirono a cavallo, il rais con la Atena seduta avanti a sé e Harith con Letizia e si allontanarono al galoppo in direzione dei segnali di fumo.
**********************
A Sahab le due sorelle furono affidate alle cure delle donne della tribù.
La prima ad arrivare fu Zaira. Era insieme ad Atena, che aveva accompagnato a deporre un mazzo di fiori sul posto dove era stato sepolto il fratello Almos; con loro c'era anche Fatima, la promessa sposa dello sceicco Harith, che fu la prima a fare il suo ingresso e sollevare il leggero tendaggio che proteggevva il letto dell'inferma.
Quella presenza, naturalmente, sorprese molto Letizia. La ragazza stava riposando, ma aprì subito gli occhi e nell'incontrare quelli della rivale, pur sotto la doppia spinta della sorpresa e della gelosia, lo sguardo le si illuminò di sincera gratitudine.
"Le sue ultime parole... - cercò di consolarla la sorella, avvicinandosi e consegnandole uno di quei fiori, che la ragazza si portò alle labbra bagnandolo di lacrime - ... le ultime parole di nostro fratello Almos , mi ha detto il lord inglese, sono state per te e per Alma, sorella mia. - Zaira e Fatima silenziose e commosse, alle spalle di Atena, seguivano il drammtico colloquio fra le due sorelle - Almos sapeva in quale pericolo stavi versando anche tu, sorellina mia carissima. Sapeva che quelle belve sanguinarie avrebbero potuto giungere fino a te."
"Gli uomini di Hakam erano sicuri di trovare la principesa Jasmine a casa di nostro padre. - assentì la ragazza con voce di pianto - Almos, però, non volle dirmi quale nascondiglio avesse scelto per lei... Almos diceva che era più prudente per me non saperne nulla. - una paua per un breve singhiozzo, poi Letizia riprese - E io non so davvero nulla e mi dolgo di non poter offrire il mio aiuto per ritrovare la principessa."
"Non affliggerti per questo, Letizia. - interloquì Zaira facendosi avanti - C'é qualcuno che conosce il nascondiglio della principessa Jasmine: é l'uomo che ha tradito vostro fratello Almos e che ora si trova prigioniero qui a Sahab. E parlerà!... - aggiunse protendendo in avanti una mano per una carezza - Su questo non ci sono dubbi. Parlerà!"
"... e Alma?..." replicò Letizia.
"Stai tranquilla. Il notro rais e i suoi uomini strapperanno dalle mani di quella gente la piccola Alma e la riporteranno qui insieme alla principessa Jasmine."
A smorzare la drammaticità di quella conversazione arrivò una ragazza con del the freddo ed aromatizzato. La ragazza distribuì le tazze ed Atena aiutò la sorella a sollevarsi sul busto.
Mentre sorseggiava, Letizia sbirciava in direzione di Fatima, accocolata come le altre su una catasta di cuscini ai piedi del letto dal basso sostegno.
"E' molto graziosa. - si sorprese a pensare - Graziosa ed opulenta... Harith le mostrava attenzioni e premure..."
Come richiamata dal suo sguardo, Fatima converse su di lei lo sguardo scuro e profondo.
"Mi dispiace, Fatima, che tutti questi eventi abbiano funestato i festeggiamenti per lo scambio di promesa di matrimonio fra te e lo sceicco Harith." disse, restituendo la tazza vuota ed abbozzando un pallido sorriso di scusa.
Fatima fece l'atto di prendere la parola, ma Fatima, la nutrice di Harith, comparsa sull'uscio, la prevenne e disse, in tono enigmatico:
"Oh!...Questo dramma un giorno diventerà solo un ricordo. Le azioni dell'uomo sono come
sabbia di duna dopo la tempesta: si ammassa, ma al primo soffio di vento si ritira.... Un giorno si racconterà intorno alle fiamme del bivacco la storia della principessa Jasmine e della piccola Alma, sottratte alla follia di gente sanguinaria... ma ora, lasciatela riposare... - aggiunse in tono perentorio - Lasciatela riposare." ed indicò Letizia che già stava tornando a distendersi. Insieme a Zaira e Fatima, la donna lasciò la tenda; Atena restò ad occuparsi dell'inferma.
***
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/3045218.jpg?295)
Lo sceicco e i suoi ospiti, intanto, furono rifocillati con pane caldo e the servito all’aperto, seduti intorno alle fiamme di un fuoco scoppiettante. Ne bevvero tre bicchieri, secondo quanto suggeriva la tradizione e la filosofia esistenziale dell’uomo delle sabbie: ad ogni ritorno ed a ogni ospite.
Il primo bicchiere era amaro. Perché la Vita era amara. Il secondo, invece, fu aromatizzato con menta e dolcificato con miele. Così come doveva essere l’Amore. Il terzo, infine, fu servito ancora più dolce, ma tiepido. Proprio come la Morte che ognuno si augurava che fosse. Subito dopo lo sceicco Harith lasciò gli amici per informarsi della salute di Letizia.
Le donne lo rassicurarono sulle sue condizioni fisiche, informandolo che si trattava solo di ferite superficiali e che la ragazza stava riposando.
Avvertendo la sua presenza, Letizia si alzò e lo raggiunse fuori, sostenuta da una delle ragazze che si era presa cura di lei.
"Sono lieto di vederti in piedi, Letizia. - la salutò il giovane con un sorriso rassicurato, andandole incontro - Ero molto in apprensione per te."
"Sono soltanto dei graffi." rispose lei in tono apparentemente sereno e tranquillo, evitando di guardarlo negli occhi, poi aggiunse - Io sono forte... più dell'apparenza. - seguì una breve pausa, per far posto ad un sorriso nostalgico, poi lei proseguì -Diceva il buon Aristeo Gallas, che per anni mi ha fatto da padre e mi conosceva assai bene... Diceva che l'animo umano possiede insospettate risorse ed è capace di anestetizzare dolori e sofferenze e qualche volta.... attraversare indenne le prove della vita... Ho perso il caro padre e il caro fratello e non voglio perdere anche la piccola Alma."
"La riporteremo a casa e con lei la principessa Jasmine - la rassicurò il giovane - e quando avremo distrutto la loro tana, di quelle belve sanguinarie nessuno più sentirà parlare. - la ragazza accennò di sì col capo e il giovane proseguì - Siamo pronti a partire per quella maledetta oasi e riporteremo a casa la piccola Alma e la principessa Jasmine."
"Grazie, Harith. - gli occhi di Letizia luccicarono dell'azzurro più intenso - Quando io ed Atena partiremo per l'Italia, vorremmo che Alma fosse con noi."
"Partire per l'Italia?" proruppe Harith aggrottando il ciglio e facendo convergere uno sguardo sorpreso ed inaspettato su di lei che, con disincantato sorriso, distolse da lui il suo per per riportarlo sull'esteso oceano di sabbie che assediava l'oasi e che restò a fissare con aria assorta, come in contemplazione delle proprie sofferte illusioni.
"Aristeo Gallas è stato un buon padre per me. - annuì Letizia, sempre lontana ed irraggiungibile - Si è preso cura di me nel momento del bisogno, quando ero sola ed indifesa e mi ha accolto nella sua famiglia, così come ha fatto suo figlio Almos... - la ragazza abbozzò un silenzioso sorriso - Adesso tocca a me occuparmi di loro... di Alma e di Atena. Io sono la loro famiglia e loro sono tutto quello che ho!"
"Oh, Letizia..." tentò di replicare Harith, ma lei, che aveva fatto solo una pausa, continuò:
"Fra poco acquisterò la maggiore età ed entrerò in possesso dell'eredità che mi è stata lasciata da mio padre in Italia... E' modesta, - aggiunse con un sorriso, dirottando nuovamene sul giovane la straordinaria luminosità del suo sguardo - ma ci permetterà di vivere fino a che non riusciremo a trovare una sistemazione dignitosa... La necessità e le disgrazie ci hanno rese forti, me e mia sorella Atena."
"Oh, Letizia! Luce degli Occhi Miei! - proruppe Harith travolto dalle proprie emozioni - Come puoi chiedermi di lasciarti andare?"
" No, Harith! - esclamò lei, le pupille dilatate dal dolore e dalle illusioni tradite - Tu... Tu, come puoi chiedermi di restare!... La veste da sposa di Fatima, la tua promessa, non aspetta che d'essere indossata. Tu... tu che stai per sposare un'altra donna, come puoi mortificarmi con parole vuote e inconsistenti! Dici di amarmi, ma è solo fumo e nebbia, quello che mi stai offrendo, Harith, sceicco dei Kinda." scandì, guardandolo negli occhi. Guardandolo con quella dolcezza disincantata, capace di ferirgli il cuore più profondamene di una lama di pugnale.
"No, Letizia. Dolcissima Letizia. - sussurrò lui con tanta tenerezza nella voce che il cuore di lei batté così furiosamente nel petto che per placarlo Letizia dovette quasi smettere di respirare - Dolcissima Letizia! - bisbigliò ancora lui, attirandola d'impeto a sé e serrandola nell'incavo delle braccia. Le circondò il collo con il braccio ed insinuò la mano tra i capelli un po' umidi, mentre con il palmo dell'altra mano le accarezzava la pelle liscia della guancia e del mento.
Lei non si sottrasse. Era piacevole appoggiarsi a lui e abbandonarsi nelle sue braccia. Gli vide chinare il capo e sentì le labbra di lui che cercavano la sua bocca.
Un bacio. Sconvolgente e stupefacente. Pieno di terrificante dolcezza, di meravigliose, indicibili sensazioni. Un bacio diverso da quello casto e pur irrinunciabile della prima volta in cui Harith aveva avvicinato la bocca alla sua.
Ma, proprio a questo punto, lei lo respinse.
Lui cercò di trattenerla.
"Io ti sto offrendo il mio cuore, Letizia. - proruppe - L'affetto che mi lega a Fatima è solo quello di un fratello. Non è per me, ma per mio cugino Ibrahim che batte il cuore di Fatima."
"Ma... io non capisco! - disse con sbalordito stupore la ragazza; l'impulso di contraddire quelle parole era assai forte, ma lei aveva imparato a dominare le emozioni e si contenne - Se Fatima ama Ibrahim, perché sposa te?"
"Per assicurare la pace nel deserto.- rispose il giovane poi spiegò - Per generazioni le tribù dei Kinda e degli Aws hanno insanguinato queste sabbie con le loro faide... il possesso di un pozzo, il furto di bestiame, la riscossione di tribù vassalle... Per interrompere questa spirale di inutile spargimento di sangue, il Consiglio degli Anziani delle due tribù si riunirono in Assemblea Straordinaria - una pausa per schiarisi la voce e chinarsi su Letizia che appariva provata e che si era totalmente abbandonata nelle sue braccia - Stai bene? - domandò; lei accennò di sì col capo, lui riprese - Gli Anziani decisero per il matrimonio fra i primogeniti dei capi delle due tribù... Così è stato per lungo tempo... Davvero stai bene, Letizia? Sei così pallida. - per la seconda volta la ragazza rispose con un cenno affermativo del capo - Io e Farima siamo oggi i primogeniti delle nostre tribù, ma a legarci è solo il dovere ed un affetto fraterno. Lei ed Ibrahim, figlio del fraello di mio padre, sono da tempo innamorati e legati da reciproca promessa."
Letizia era davvero esterrefatta. Esterrefatta e felice. Felice come non era mai stata, perché dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo con quello di lui, il momento unico e fulmineo in cui fra due esseri che non si conoscono e si incontrano per la prima volta e fanno accendere quel lampo esclusivo, quella bruciante scintilla che è brivido e desiderio, lei aveva capito di essere nata per lui. Soltanto per lui.
Eppure... quel tarlo del dubbio, la sofferenza dell'incertezza...
"Tu... tu, però, dovrai sposarla... Dovrai sposare Fatima."
"Convinceremo gli Anziani che ad assicurare la pace tra le nostre tribù può essere anche il matrimonio fra due famglie influenti e non necessariamente quello dei primogeniti dei capi... Non sarà facile convincerli, mia diletta. Lo so.... Il tempo, però, è dalla nostra parte. Solo questo ti chiedo, cuor mio: un po' di tempo!"
"E se gli Anziani non dovessero accettare?"
"Allora - disse lui in tono serio e risoluto - Matrimonio ci sarà, ma seguito da Ripudio!"
"Oh, no! - proruppe lei, sinceramente contrariata, facendo l'atto di sciogliersi dall'abbraccio - Non è quello che voglio per Fatima. Io... io confesso di essere gelosa di lei, ma non voglio che sia ripudiata... E' un'umiliazione che non auguro a nessuna donna."
"Ascolta, mio bene. - Harith la trattenne, prima che lei indietreggiasse -Neppure io voglio questo e nessuno lo vuole e sono certo che non si arriverà a tanto, ma... io non voglio, non posso rinunciare a te. Ti chiedo solo..."
"Aspetterò! - lo interruppe lei - Aspetteremo, ma tu riportami la piccola Alma, ti prego... Oh!..." si lasciò sfuggire un sospiro - Sono così stanca."
"Perdonami, mio tesoro. ... sto abusando delle tue forze. - Harith si chinò, le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro intorno alla vita e la sollevò - Hai bisogno di riposare." disse; lei gli passò un braccio attorno al collo poi poggiò il capo sulla sua spalla.
Il primo bicchiere era amaro. Perché la Vita era amara. Il secondo, invece, fu aromatizzato con menta e dolcificato con miele. Così come doveva essere l’Amore. Il terzo, infine, fu servito ancora più dolce, ma tiepido. Proprio come la Morte che ognuno si augurava che fosse. Subito dopo lo sceicco Harith lasciò gli amici per informarsi della salute di Letizia.
Le donne lo rassicurarono sulle sue condizioni fisiche, informandolo che si trattava solo di ferite superficiali e che la ragazza stava riposando.
Avvertendo la sua presenza, Letizia si alzò e lo raggiunse fuori, sostenuta da una delle ragazze che si era presa cura di lei.
"Sono lieto di vederti in piedi, Letizia. - la salutò il giovane con un sorriso rassicurato, andandole incontro - Ero molto in apprensione per te."
"Sono soltanto dei graffi." rispose lei in tono apparentemente sereno e tranquillo, evitando di guardarlo negli occhi, poi aggiunse - Io sono forte... più dell'apparenza. - seguì una breve pausa, per far posto ad un sorriso nostalgico, poi lei proseguì -Diceva il buon Aristeo Gallas, che per anni mi ha fatto da padre e mi conosceva assai bene... Diceva che l'animo umano possiede insospettate risorse ed è capace di anestetizzare dolori e sofferenze e qualche volta.... attraversare indenne le prove della vita... Ho perso il caro padre e il caro fratello e non voglio perdere anche la piccola Alma."
"La riporteremo a casa e con lei la principessa Jasmine - la rassicurò il giovane - e quando avremo distrutto la loro tana, di quelle belve sanguinarie nessuno più sentirà parlare. - la ragazza accennò di sì col capo e il giovane proseguì - Siamo pronti a partire per quella maledetta oasi e riporteremo a casa la piccola Alma e la principessa Jasmine."
"Grazie, Harith. - gli occhi di Letizia luccicarono dell'azzurro più intenso - Quando io ed Atena partiremo per l'Italia, vorremmo che Alma fosse con noi."
"Partire per l'Italia?" proruppe Harith aggrottando il ciglio e facendo convergere uno sguardo sorpreso ed inaspettato su di lei che, con disincantato sorriso, distolse da lui il suo per per riportarlo sull'esteso oceano di sabbie che assediava l'oasi e che restò a fissare con aria assorta, come in contemplazione delle proprie sofferte illusioni.
"Aristeo Gallas è stato un buon padre per me. - annuì Letizia, sempre lontana ed irraggiungibile - Si è preso cura di me nel momento del bisogno, quando ero sola ed indifesa e mi ha accolto nella sua famiglia, così come ha fatto suo figlio Almos... - la ragazza abbozzò un silenzioso sorriso - Adesso tocca a me occuparmi di loro... di Alma e di Atena. Io sono la loro famiglia e loro sono tutto quello che ho!"
"Oh, Letizia..." tentò di replicare Harith, ma lei, che aveva fatto solo una pausa, continuò:
"Fra poco acquisterò la maggiore età ed entrerò in possesso dell'eredità che mi è stata lasciata da mio padre in Italia... E' modesta, - aggiunse con un sorriso, dirottando nuovamene sul giovane la straordinaria luminosità del suo sguardo - ma ci permetterà di vivere fino a che non riusciremo a trovare una sistemazione dignitosa... La necessità e le disgrazie ci hanno rese forti, me e mia sorella Atena."
"Oh, Letizia! Luce degli Occhi Miei! - proruppe Harith travolto dalle proprie emozioni - Come puoi chiedermi di lasciarti andare?"
" No, Harith! - esclamò lei, le pupille dilatate dal dolore e dalle illusioni tradite - Tu... Tu, come puoi chiedermi di restare!... La veste da sposa di Fatima, la tua promessa, non aspetta che d'essere indossata. Tu... tu che stai per sposare un'altra donna, come puoi mortificarmi con parole vuote e inconsistenti! Dici di amarmi, ma è solo fumo e nebbia, quello che mi stai offrendo, Harith, sceicco dei Kinda." scandì, guardandolo negli occhi. Guardandolo con quella dolcezza disincantata, capace di ferirgli il cuore più profondamene di una lama di pugnale.
"No, Letizia. Dolcissima Letizia. - sussurrò lui con tanta tenerezza nella voce che il cuore di lei batté così furiosamente nel petto che per placarlo Letizia dovette quasi smettere di respirare - Dolcissima Letizia! - bisbigliò ancora lui, attirandola d'impeto a sé e serrandola nell'incavo delle braccia. Le circondò il collo con il braccio ed insinuò la mano tra i capelli un po' umidi, mentre con il palmo dell'altra mano le accarezzava la pelle liscia della guancia e del mento.
Lei non si sottrasse. Era piacevole appoggiarsi a lui e abbandonarsi nelle sue braccia. Gli vide chinare il capo e sentì le labbra di lui che cercavano la sua bocca.
Un bacio. Sconvolgente e stupefacente. Pieno di terrificante dolcezza, di meravigliose, indicibili sensazioni. Un bacio diverso da quello casto e pur irrinunciabile della prima volta in cui Harith aveva avvicinato la bocca alla sua.
Ma, proprio a questo punto, lei lo respinse.
Lui cercò di trattenerla.
"Io ti sto offrendo il mio cuore, Letizia. - proruppe - L'affetto che mi lega a Fatima è solo quello di un fratello. Non è per me, ma per mio cugino Ibrahim che batte il cuore di Fatima."
"Ma... io non capisco! - disse con sbalordito stupore la ragazza; l'impulso di contraddire quelle parole era assai forte, ma lei aveva imparato a dominare le emozioni e si contenne - Se Fatima ama Ibrahim, perché sposa te?"
"Per assicurare la pace nel deserto.- rispose il giovane poi spiegò - Per generazioni le tribù dei Kinda e degli Aws hanno insanguinato queste sabbie con le loro faide... il possesso di un pozzo, il furto di bestiame, la riscossione di tribù vassalle... Per interrompere questa spirale di inutile spargimento di sangue, il Consiglio degli Anziani delle due tribù si riunirono in Assemblea Straordinaria - una pausa per schiarisi la voce e chinarsi su Letizia che appariva provata e che si era totalmente abbandonata nelle sue braccia - Stai bene? - domandò; lei accennò di sì col capo, lui riprese - Gli Anziani decisero per il matrimonio fra i primogeniti dei capi delle due tribù... Così è stato per lungo tempo... Davvero stai bene, Letizia? Sei così pallida. - per la seconda volta la ragazza rispose con un cenno affermativo del capo - Io e Farima siamo oggi i primogeniti delle nostre tribù, ma a legarci è solo il dovere ed un affetto fraterno. Lei ed Ibrahim, figlio del fraello di mio padre, sono da tempo innamorati e legati da reciproca promessa."
Letizia era davvero esterrefatta. Esterrefatta e felice. Felice come non era mai stata, perché dal primo momento in cui aveva incrociato il suo sguardo con quello di lui, il momento unico e fulmineo in cui fra due esseri che non si conoscono e si incontrano per la prima volta e fanno accendere quel lampo esclusivo, quella bruciante scintilla che è brivido e desiderio, lei aveva capito di essere nata per lui. Soltanto per lui.
Eppure... quel tarlo del dubbio, la sofferenza dell'incertezza...
"Tu... tu, però, dovrai sposarla... Dovrai sposare Fatima."
"Convinceremo gli Anziani che ad assicurare la pace tra le nostre tribù può essere anche il matrimonio fra due famglie influenti e non necessariamente quello dei primogeniti dei capi... Non sarà facile convincerli, mia diletta. Lo so.... Il tempo, però, è dalla nostra parte. Solo questo ti chiedo, cuor mio: un po' di tempo!"
"E se gli Anziani non dovessero accettare?"
"Allora - disse lui in tono serio e risoluto - Matrimonio ci sarà, ma seguito da Ripudio!"
"Oh, no! - proruppe lei, sinceramente contrariata, facendo l'atto di sciogliersi dall'abbraccio - Non è quello che voglio per Fatima. Io... io confesso di essere gelosa di lei, ma non voglio che sia ripudiata... E' un'umiliazione che non auguro a nessuna donna."
"Ascolta, mio bene. - Harith la trattenne, prima che lei indietreggiasse -Neppure io voglio questo e nessuno lo vuole e sono certo che non si arriverà a tanto, ma... io non voglio, non posso rinunciare a te. Ti chiedo solo..."
"Aspetterò! - lo interruppe lei - Aspetteremo, ma tu riportami la piccola Alma, ti prego... Oh!..." si lasciò sfuggire un sospiro - Sono così stanca."
"Perdonami, mio tesoro. ... sto abusando delle tue forze. - Harith si chinò, le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro intorno alla vita e la sollevò - Hai bisogno di riposare." disse; lei gli passò un braccio attorno al collo poi poggiò il capo sulla sua spalla.
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![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/261200.jpg)
Rashid ordinò che Hambok fosse condotto in sua presenza, sotto la grande tenda del Consiglio degli Anziani della tribù. Quando l’ebbe di fronte, il capo dei predoni non pose tempo in mezzo e lo agguantò per la tunica, piuttosto brutalmente.
"Sappiamo ogni cosa di te, miserabile. Di te e della tua sanguinaria Dea. Perciò non mentire e dicci tutto quello che sai." l’apostrofò duramente e senza preamboli.
"Io non so nulla." rispose quello.
"Lo faccio parlare io?"
Si fece avanti,minaccioso, Ibrahim.
"E' tuo! – proferì Rashid - Fanne quello che vuoi, purché parli."
Rashid si tirò indietro; Ibrahim sfoderò il pugnale. Hambok non batté ciglio.
"Non sarà il tuo pugnale- disse in tono sprezzante -a farmi dire cose che non so."
"E così? Non sai nulla, eh?..." il beduino alzò il braccio armato; con un colpo secco gli squarciò la tunica poi conficcò nella carne solo qualche millimetro della acuminata lama, sufficiente, però a farla sanguinare.
Non un lamento sfuggì alle labbra dell'idolatro, che non aveva smesso i suoi atteggiamenti di sfida e che pareva avere una soglia di sopportazione del dolore davvero fuori del comune.
"Non so nulla." disse, accompagnando le parole con un ghigno.
"Non parlerà!" disse sconsolato Ibrahim.
"Non parlerà!"
Dello stesso avviso erano anche sir Richard e gli altri; non tutti, però!
"Vi sbagliate!- Akim li aveva raggiunti alle spalle - Parlerà! Parlerà! Vi assicuro che parlerà!”
"Qualunque cosa tu abbia in mente, mio giovane amico, - il lord si fece da parte – lo mettiamo nelle tue magiche mani.”
“Noi due ci conosciamo. – il piccolo mago si fece avanti e piantandosi davanti all’uomo, lo sfidò - Vero, Hambok?"
"Akim...Tu sei quello... – bofonchiò l’indiano piuttosto sorpreso - … sei quello che..."
"..che ti farà cantare come un muezzin nell' ora della preghiera di mezzogiorno, sporco, sanguinario idolatra. Guardami!...Guardami negli occhi!" ordinò.
Paura? Suggestione? Forse qualcosa d'altro! Negli occhi dell'uomo passò lampo che gli incupì e gli appannò le pupille già scure.
"Guardami negli occhi!..."
Martellante, perentorio, imperioso, l'ordine di Akim e Hambok sembrò vacillare di fronte ad una volontà superiore alla propria.
Le spalle curve, la testa bassa, invano Hambok tentava di sottrarsi allo sguardo di Akim. Il ghigno ironico scomparve dalla sua bocca, la resistenza si fece sempre più debole e l’ansia, che traspariva incontenibile, nello sguardo diventato improvvisamente vacuo, si trasformò in angoscia per poi precipitare nel terrore.
Chissà cosa vedeva nello sguardo del piccolo mago.
"No!.. Non voglio!- andava ripetendo, in un ultimo disperato tentativo di resistenza - La mia Dea.. L’immortale Manat…"
"Chi è Manat?...- incalzò Akim - Chi è la Dea Vivente?… Parla! Dove si nasconde?"
"La Dea… Vivente... balbettò l’altro - Alma...Jasmine.."
"Dove si trovano Alma e la principessa Jasmine?" continuava a sollecitare Akim.
"No..." ancora una debole resistenza.
"Per la Sacra Trimurti!... Parla, o, Per la dea Kalì!…"
"No!… No!... La Sacra Grotta... La Sacra Grotta..." continuava a balbettare Hambok.
La testa ciondolante, le mani tese in avanti, come a proteggersi da una spaventevole visione, l'uomo cercava ancora di sfuggire al potere di Akim.
"Non vi sono che rovine in quell'oasi." obiettò Harith.
"Deve esserci qualcosa… da qualche parte!" replicò l'inglese.
"Che cosa c’è nella Sacra Grotta? – Akim puntò una piccola verga sulla nuca dell’indiano - C'è un passaggio in quell’oasi per scendere sotto terra? E' così?... Rispondi o ti trafiggo il cervello con la mia verga magica e ti risucchio lo spirito." lo minacciò; sir Richard e gli altri seguivano in silenzio l’incalzare di quello strano interrogatorio.
"La Sacra Grotta...il sotterraneo..." balbettò ancora Hambok.
"Lo avete sentito?- gridò trionfante il ragazzo - Esiste un sotterraneo da qualche parte in quell’oasi e sicuramente anche un passaggio… tra quelle rovine, forse. Ne sono convinto. E questa canaglia ci condurrà..."
Akim, però, non riuscì a portare a termine la frase: l'uomo, piegato su se stesso da un convulsa risata, aveva fatto comparire qualcosa tra le dita, che fece sparire in bocca.
"Che hai fatto, disgraziato!" gridò Akim.
"...la tua magia nulla può...I miei fratelli mi vendicheranno e Manat mi...accoglierà in...gloria..." un gorgoglio in gola, un fiotto di bava e l'uomo giacque senza vita.
"Si è dato la morte da solo. - disse il ragazzo- Ha punito da sé i suoi orrendi misfatti."
“Ma non ci ha detto quello che volevamo sapere…. Maledizione!” imprecò il lord.
"Assaltiamo l'oasi e la sua maledetta grotta. - propose Ibrahim- Cancelliamola col fuoco."
"E' quanto faremo, Ibrahim.- gli rispose il suo rais- Ma non si possono combattere i fantasmi!"
"Cosa facciamo, allora?" domandò il giovane.
"Dobbiamo conoscere il nemico da combattere." rispose Rashid.
"Cosa possiamo fare, mio rais?"
"Io posseggo il mezzo. - un'esile voce di donna li fece volgere tutti: seguita da quello che ormai non era più un cucciolo, Zaira si fece avanti - Ricordo... ricordo ogni cosa!"
"Sappiamo ogni cosa di te, miserabile. Di te e della tua sanguinaria Dea. Perciò non mentire e dicci tutto quello che sai." l’apostrofò duramente e senza preamboli.
"Io non so nulla." rispose quello.
"Lo faccio parlare io?"
Si fece avanti,minaccioso, Ibrahim.
"E' tuo! – proferì Rashid - Fanne quello che vuoi, purché parli."
Rashid si tirò indietro; Ibrahim sfoderò il pugnale. Hambok non batté ciglio.
"Non sarà il tuo pugnale- disse in tono sprezzante -a farmi dire cose che non so."
"E così? Non sai nulla, eh?..." il beduino alzò il braccio armato; con un colpo secco gli squarciò la tunica poi conficcò nella carne solo qualche millimetro della acuminata lama, sufficiente, però a farla sanguinare.
Non un lamento sfuggì alle labbra dell'idolatro, che non aveva smesso i suoi atteggiamenti di sfida e che pareva avere una soglia di sopportazione del dolore davvero fuori del comune.
"Non so nulla." disse, accompagnando le parole con un ghigno.
"Non parlerà!" disse sconsolato Ibrahim.
"Non parlerà!"
Dello stesso avviso erano anche sir Richard e gli altri; non tutti, però!
"Vi sbagliate!- Akim li aveva raggiunti alle spalle - Parlerà! Parlerà! Vi assicuro che parlerà!”
"Qualunque cosa tu abbia in mente, mio giovane amico, - il lord si fece da parte – lo mettiamo nelle tue magiche mani.”
“Noi due ci conosciamo. – il piccolo mago si fece avanti e piantandosi davanti all’uomo, lo sfidò - Vero, Hambok?"
"Akim...Tu sei quello... – bofonchiò l’indiano piuttosto sorpreso - … sei quello che..."
"..che ti farà cantare come un muezzin nell' ora della preghiera di mezzogiorno, sporco, sanguinario idolatra. Guardami!...Guardami negli occhi!" ordinò.
Paura? Suggestione? Forse qualcosa d'altro! Negli occhi dell'uomo passò lampo che gli incupì e gli appannò le pupille già scure.
"Guardami negli occhi!..."
Martellante, perentorio, imperioso, l'ordine di Akim e Hambok sembrò vacillare di fronte ad una volontà superiore alla propria.
Le spalle curve, la testa bassa, invano Hambok tentava di sottrarsi allo sguardo di Akim. Il ghigno ironico scomparve dalla sua bocca, la resistenza si fece sempre più debole e l’ansia, che traspariva incontenibile, nello sguardo diventato improvvisamente vacuo, si trasformò in angoscia per poi precipitare nel terrore.
Chissà cosa vedeva nello sguardo del piccolo mago.
"No!.. Non voglio!- andava ripetendo, in un ultimo disperato tentativo di resistenza - La mia Dea.. L’immortale Manat…"
"Chi è Manat?...- incalzò Akim - Chi è la Dea Vivente?… Parla! Dove si nasconde?"
"La Dea… Vivente... balbettò l’altro - Alma...Jasmine.."
"Dove si trovano Alma e la principessa Jasmine?" continuava a sollecitare Akim.
"No..." ancora una debole resistenza.
"Per la Sacra Trimurti!... Parla, o, Per la dea Kalì!…"
"No!… No!... La Sacra Grotta... La Sacra Grotta..." continuava a balbettare Hambok.
La testa ciondolante, le mani tese in avanti, come a proteggersi da una spaventevole visione, l'uomo cercava ancora di sfuggire al potere di Akim.
"Non vi sono che rovine in quell'oasi." obiettò Harith.
"Deve esserci qualcosa… da qualche parte!" replicò l'inglese.
"Che cosa c’è nella Sacra Grotta? – Akim puntò una piccola verga sulla nuca dell’indiano - C'è un passaggio in quell’oasi per scendere sotto terra? E' così?... Rispondi o ti trafiggo il cervello con la mia verga magica e ti risucchio lo spirito." lo minacciò; sir Richard e gli altri seguivano in silenzio l’incalzare di quello strano interrogatorio.
"La Sacra Grotta...il sotterraneo..." balbettò ancora Hambok.
"Lo avete sentito?- gridò trionfante il ragazzo - Esiste un sotterraneo da qualche parte in quell’oasi e sicuramente anche un passaggio… tra quelle rovine, forse. Ne sono convinto. E questa canaglia ci condurrà..."
Akim, però, non riuscì a portare a termine la frase: l'uomo, piegato su se stesso da un convulsa risata, aveva fatto comparire qualcosa tra le dita, che fece sparire in bocca.
"Che hai fatto, disgraziato!" gridò Akim.
"...la tua magia nulla può...I miei fratelli mi vendicheranno e Manat mi...accoglierà in...gloria..." un gorgoglio in gola, un fiotto di bava e l'uomo giacque senza vita.
"Si è dato la morte da solo. - disse il ragazzo- Ha punito da sé i suoi orrendi misfatti."
“Ma non ci ha detto quello che volevamo sapere…. Maledizione!” imprecò il lord.
"Assaltiamo l'oasi e la sua maledetta grotta. - propose Ibrahim- Cancelliamola col fuoco."
"E' quanto faremo, Ibrahim.- gli rispose il suo rais- Ma non si possono combattere i fantasmi!"
"Cosa facciamo, allora?" domandò il giovane.
"Dobbiamo conoscere il nemico da combattere." rispose Rashid.
"Cosa possiamo fare, mio rais?"
"Io posseggo il mezzo. - un'esile voce di donna li fece volgere tutti: seguita da quello che ormai non era più un cucciolo, Zaira si fece avanti - Ricordo... ricordo ogni cosa!"
CAP. XIII - L'oasi maledetta
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/6998987.jpg)
Sul grande oceano di sabbia il cammello avanzava lento e la polvere rimossa dagli zoccoli creava dietro di lui iridescenti, fiabesche figure.
Sulla gobba gibbosa, veli colorati coprivano una sagoma femminile visibilmente esausta, quasi accasciata sull’animale; svolazzavano pigri e voluttuosi all’azione leggera della tenue brezza desertica ed al monotono dondolio dell’animale.
Doveva arrivare da molto lontano, poiché le braccia erano abbandonate e le mani avevano lasciato le redini, che si trascinavano sulla sabbia come un serpente colorato.
Il cammello avanzava lasciandosi guidare solo dal proprio istinto ed attratto dall’oasi che era spuntata all’improvviso dietro la duna, miracolosa e invitante come il faro di un’isola in pieno oceano.
Era l’oasi della Antica Grotta: l’Oasi Maledetta, come la chiamava la gente del deserto, avendo cura, nelle loro interminabili peregrinazioni tra le sabbie, di starne il più lontano possibile.
L’animale vi si diresse senza alcuna fretta apparente e solo quando gli zoccoli cessarono di affondare nella sabbia, si fermò. Doveva essere stanco e nervoso poiché cominciò a sputare a destra ed a sinistra, ma appariva anche eccitato e nervoso, poiché le sue narici cominciarono ad annusare l’aria.
La figura, sulla sua groppa, sollevò leggermente il capo ed un raggio del sole morente riuscì a strappare un leggero bagliore a due occhi neri come il carbone. Si lasciò scivolare a terra e lasciò andare il mantello che l’aveva protetta dal sole e da una dozzina di occhi che da lungo tempo ne seguivano i movimenti.
Era una giovane donna e lentamente si sollevò da terra.
Uno strano rumore, proveniente da sotto i piedi, la immobilizzò; lo stesso rumore che poco prima aveva messo in agitazione il cammello.
La ragazza si trascinò verso l’animale per calmarlo; il velo le scivolò dal capo rivelando il suo volto: quella ragazza era Zaira.
“Buono! Sta buono! Non c’è nulla da temere. – sussurrò, raccogliendo le redini del cammello – So che sei stanco. Mi è dispiaciuto farti riprendere il deserto dopo un mese di marcia, ma io avevo bisogno proprio che tu fossi stanco… Capisci? – il cammello continuava a sputare sempre più nervosamente – Non capisci!… - sospirò la ragazza – Ma bisognava farlo… come ora bisogna trovare dell’acqua. Orsù… addentriamoci in questa oasi e cerchiamo acqua.”
Il paesaggio era fantastico.
Zaira si guardò intorno: ancora più bello di come lo ricordava, poiché lei conosceva molto bene quel paeaggio. Ecco i cactus spinosi e gialli, insabbiati a pochi metri di distanza e poi le palme e anche quelle piante minori, così simili all’agave ed ai narcisi: foglie lunghe, larghe, carnose, irte, ma sempre con fiori stupendi… i fiori con cui, ricordava, lei aveva amato ornarsi da bambina… tanto tempo fa!
Con passo lento e sempre guardandosi intorno, la ragazza si addentrò nel lungo corridoio naturale a cui le lunghe chiome delle palme facevano da ala e procedette fino al grosso fusto centenario che chiudeva quella inaspettata, straordinaria galleria naturale.
Il cammello, che fino a quel momento l’aveva seguita docile, tornò a mostrare segni di nervosismo; Zaira strinse saldamente le redini in mano.
“Ehi, amico! – bisbigliò con voce suadente – Non lasciarti catturare dai folletti della pazzia proprio adesso e lasciami placare un po’ questa sete… Occorre che ti leghi a qualche fusto o sarò costretta a rincorrerti per tutta l’oasi.” aggiunse.
Così fece poi si chinò sulla sorgente d’acqua che scaturiva da terra, proprio dietro il grosso fusto di palma, l’ultimo di quella verde infilata: un fusto che doveva aver trovato proprio nelle falde di quell’acqua zampillante la sua antichissima millenaria sorgente di vita.
A piene mani, la ragazza si portò acqua alle labbra, assaporandola con avidità e lasciando che le scivolasse lungo il volto e quando fu sazia, si deterse le labbra con il dorso della mano, che andò ad asciugare sull’orlo della veste.
L’acqua pareva averla messa di buon umore, ma l’eccitazione del cammello la mise in guardia.
“Ci siamo! – pensò sottovoce – Adesso tocca a te, Zaira… Devi trovare il posto dove tengono la piccola Alma e la principessa Jasmine e dopo, dare il segnale agli amici che aspettano…”
Un ruggito la sorprese alle spalle, spezzando il suo pensiero. Si girò. Una grossa tigre sbucò tra ruderi e rovine, seguita da una seconda; la fissarono entrambe mostrando i denti; il cammello strideva pietosamente, ma quelle lo ignorarono completamente, attratte unicamente dalla ragazza.
Qualcosa di sorprendente, però, accadde: dalle labbra di Zaira uscì un dolce, suadente mugolio che quietò immediatamente le fiere.
Annusando l’aria, una di loro si avvicinò scodinzolando, la coda tesa ad arco e le leccò le mani tese.
“Venite avanti, agnellini…. Io sono Zaira… e tu chi sei?…Su. Buona… brava. Tu sei la più brava. A cuccia… a cuccia… Così. – la sensazione, però, di avere dieci, venti occhi puntati addosso, era più fastidiosa degli sguardi delle due fiere – Ci siamo! - pensò - Li sento. Fra poco sarò nelle loro mani!”
Attese, ma non accadde nulla, poi uno sguardo alle spalle, la costrinse a voltarsi.
Era una donna. Non più giovane, ma ancora molto bella. Alta, lunghi capelli neri spioventi sulle spalle e sul seno: una massa corvina trattenuta sulla fronte da uno scarabeo d’oro appeso ad un nastro. Indossava una tunica nera e sul seno, sempre ricamato in oro, la stessa figura dello scarabeo. Legati intorno alla vita portava una mezza dozzina di larghi nastri colorati.
“Tala…. Duna.. Venite subito qui!” ordinò.
Le due tigri non si mossero e Zaira chiese:
“Chi sei?”
“Tu, chi sei?” domandò altezzosa la donna.
“Una naufraga delle sabbie, ma… tu chi sei?” ripeté.
“La padrona di queste tigri. Un cenno e…”
“Perché mi minacci? – l’interruppe Zaira – Non voglio mancarti di rispetto, signora. Sono stanca!”
La donna si voltò.
“Prendetela!” disse ad una dozzina di persone sbucate da dietro le palme.
Erano vestiti come lei, con la sola differenza che le loro tuniche erano rosse e corte all’altezza del ginocchio ed alla cintola portavano pugnali.
La donna si accostò alle fiere, le prese per i collari, ma, prima di allontanarsi con loro, si staccò un nastro dalla vita e con quello fece bendare gli occhi della ragazza.
Sulla gobba gibbosa, veli colorati coprivano una sagoma femminile visibilmente esausta, quasi accasciata sull’animale; svolazzavano pigri e voluttuosi all’azione leggera della tenue brezza desertica ed al monotono dondolio dell’animale.
Doveva arrivare da molto lontano, poiché le braccia erano abbandonate e le mani avevano lasciato le redini, che si trascinavano sulla sabbia come un serpente colorato.
Il cammello avanzava lasciandosi guidare solo dal proprio istinto ed attratto dall’oasi che era spuntata all’improvviso dietro la duna, miracolosa e invitante come il faro di un’isola in pieno oceano.
Era l’oasi della Antica Grotta: l’Oasi Maledetta, come la chiamava la gente del deserto, avendo cura, nelle loro interminabili peregrinazioni tra le sabbie, di starne il più lontano possibile.
L’animale vi si diresse senza alcuna fretta apparente e solo quando gli zoccoli cessarono di affondare nella sabbia, si fermò. Doveva essere stanco e nervoso poiché cominciò a sputare a destra ed a sinistra, ma appariva anche eccitato e nervoso, poiché le sue narici cominciarono ad annusare l’aria.
La figura, sulla sua groppa, sollevò leggermente il capo ed un raggio del sole morente riuscì a strappare un leggero bagliore a due occhi neri come il carbone. Si lasciò scivolare a terra e lasciò andare il mantello che l’aveva protetta dal sole e da una dozzina di occhi che da lungo tempo ne seguivano i movimenti.
Era una giovane donna e lentamente si sollevò da terra.
Uno strano rumore, proveniente da sotto i piedi, la immobilizzò; lo stesso rumore che poco prima aveva messo in agitazione il cammello.
La ragazza si trascinò verso l’animale per calmarlo; il velo le scivolò dal capo rivelando il suo volto: quella ragazza era Zaira.
“Buono! Sta buono! Non c’è nulla da temere. – sussurrò, raccogliendo le redini del cammello – So che sei stanco. Mi è dispiaciuto farti riprendere il deserto dopo un mese di marcia, ma io avevo bisogno proprio che tu fossi stanco… Capisci? – il cammello continuava a sputare sempre più nervosamente – Non capisci!… - sospirò la ragazza – Ma bisognava farlo… come ora bisogna trovare dell’acqua. Orsù… addentriamoci in questa oasi e cerchiamo acqua.”
Il paesaggio era fantastico.
Zaira si guardò intorno: ancora più bello di come lo ricordava, poiché lei conosceva molto bene quel paeaggio. Ecco i cactus spinosi e gialli, insabbiati a pochi metri di distanza e poi le palme e anche quelle piante minori, così simili all’agave ed ai narcisi: foglie lunghe, larghe, carnose, irte, ma sempre con fiori stupendi… i fiori con cui, ricordava, lei aveva amato ornarsi da bambina… tanto tempo fa!
Con passo lento e sempre guardandosi intorno, la ragazza si addentrò nel lungo corridoio naturale a cui le lunghe chiome delle palme facevano da ala e procedette fino al grosso fusto centenario che chiudeva quella inaspettata, straordinaria galleria naturale.
Il cammello, che fino a quel momento l’aveva seguita docile, tornò a mostrare segni di nervosismo; Zaira strinse saldamente le redini in mano.
“Ehi, amico! – bisbigliò con voce suadente – Non lasciarti catturare dai folletti della pazzia proprio adesso e lasciami placare un po’ questa sete… Occorre che ti leghi a qualche fusto o sarò costretta a rincorrerti per tutta l’oasi.” aggiunse.
Così fece poi si chinò sulla sorgente d’acqua che scaturiva da terra, proprio dietro il grosso fusto di palma, l’ultimo di quella verde infilata: un fusto che doveva aver trovato proprio nelle falde di quell’acqua zampillante la sua antichissima millenaria sorgente di vita.
A piene mani, la ragazza si portò acqua alle labbra, assaporandola con avidità e lasciando che le scivolasse lungo il volto e quando fu sazia, si deterse le labbra con il dorso della mano, che andò ad asciugare sull’orlo della veste.
L’acqua pareva averla messa di buon umore, ma l’eccitazione del cammello la mise in guardia.
“Ci siamo! – pensò sottovoce – Adesso tocca a te, Zaira… Devi trovare il posto dove tengono la piccola Alma e la principessa Jasmine e dopo, dare il segnale agli amici che aspettano…”
Un ruggito la sorprese alle spalle, spezzando il suo pensiero. Si girò. Una grossa tigre sbucò tra ruderi e rovine, seguita da una seconda; la fissarono entrambe mostrando i denti; il cammello strideva pietosamente, ma quelle lo ignorarono completamente, attratte unicamente dalla ragazza.
Qualcosa di sorprendente, però, accadde: dalle labbra di Zaira uscì un dolce, suadente mugolio che quietò immediatamente le fiere.
Annusando l’aria, una di loro si avvicinò scodinzolando, la coda tesa ad arco e le leccò le mani tese.
“Venite avanti, agnellini…. Io sono Zaira… e tu chi sei?…Su. Buona… brava. Tu sei la più brava. A cuccia… a cuccia… Così. – la sensazione, però, di avere dieci, venti occhi puntati addosso, era più fastidiosa degli sguardi delle due fiere – Ci siamo! - pensò - Li sento. Fra poco sarò nelle loro mani!”
Attese, ma non accadde nulla, poi uno sguardo alle spalle, la costrinse a voltarsi.
Era una donna. Non più giovane, ma ancora molto bella. Alta, lunghi capelli neri spioventi sulle spalle e sul seno: una massa corvina trattenuta sulla fronte da uno scarabeo d’oro appeso ad un nastro. Indossava una tunica nera e sul seno, sempre ricamato in oro, la stessa figura dello scarabeo. Legati intorno alla vita portava una mezza dozzina di larghi nastri colorati.
“Tala…. Duna.. Venite subito qui!” ordinò.
Le due tigri non si mossero e Zaira chiese:
“Chi sei?”
“Tu, chi sei?” domandò altezzosa la donna.
“Una naufraga delle sabbie, ma… tu chi sei?” ripeté.
“La padrona di queste tigri. Un cenno e…”
“Perché mi minacci? – l’interruppe Zaira – Non voglio mancarti di rispetto, signora. Sono stanca!”
La donna si voltò.
“Prendetela!” disse ad una dozzina di persone sbucate da dietro le palme.
Erano vestiti come lei, con la sola differenza che le loro tuniche erano rosse e corte all’altezza del ginocchio ed alla cintola portavano pugnali.
La donna si accostò alle fiere, le prese per i collari, ma, prima di allontanarsi con loro, si staccò un nastro dalla vita e con quello fece bendare gli occhi della ragazza.
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![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/2432444.jpg?231)
Zaira seguì gli strani personaggi; più volte dovette essere sostenuta per non inciampare in sporgenze nel terreno. La ragazza capì di trovarsi tra le rovine e i ruderi da cui erano sbucate le tigri. D’un tratto si sentì spingere lungo larghi gradini dissestati e disuguali e ancora fu sostenuta per non farla cadere.
In fondo alla gradinata si apriva un corridoio; svoltarono a destra, poi a sinistra e dopo un lungo percorso nuovamente a destra.
L’umidità era quasi scomparsa, lasciando posto ad aria più secca; da lontano giungevano vaghi profumi inebrianti misti a quello dell’ incenso.
Il gruppo si fermò e qualcuno la sospinse in avanti, oltre l’uscio di una porta.
Quando le tolsero la benda, Zaira si trovò in una grande sala immersa nella penombra.
Un uomo dall’aspetto maestoso le sedeva di fronte, completamente immerso nelle tenebre, su uno scanno appena lambito da un fascio di luce che, invece, investiva lei in pieno.
Pur non potendone scorgere il volto, Zaira sentiva il suo sguardo fisso su di sé.
La ragazza fece la stessa cosa: cercò nelle tenebre il volto di lui.
“Sei di fronte al potente Hakam. – la voce dell’uomo, profonda e un po’ gutturale, modulata ad arte per incutere timore e soggezione, investì la ragazza che, però, non mosse un muscolo del bel volto, mostrando di non lasciarsi impressionare – Chi sei, ragazza che parla con le fiere indomabili?”
“Guardami bene, potente Messaggero degli Dei, Gran Sacerdote della Potente Manat. Non riconosci più il mio volto?”
Hakam, il Gran Sacerdote di Manat la Sanguinaria, si alzò dal seggio e lasciò la penombra.
Era un uomo robusto e molto alto; la testa si ergeva fiera, avvolta in un turbante nero su cui troneggiava una pietra, un enorme topazio, dallo straordinario splendore.
“Avvicinati! – le intimò; Zaira ubbidì ed un’espressione di profonda, intensa emozione ricoprì il volto dell’uomo – Selana! – esclamò – Selana!… Selana!” continuò a ripetere.
“Era il nome di mia madre. – scandì la ragazza, immobile, impassibile, sfingea – Io sono Zaira.”
“Selana!.. – continuava a ripetere l’uomo, completamente folgorato dalle proprie emozioni che dovevano venire dalla parte più intima e remota di se stesso - Selana!… Selana è morta!”
“Ma sua figlia è viva! - proferì la ragazza senza abbassare per un sol attimo lo sguardo – La figlia di Selana è viva… ed è depositaria di tutti i segreti di sua madre.”
“Tu… tu conosci i segreti della Grande Manat?” domandò l’altro, torvo in volto ed inarcando le ciglia.
“Conosco il segreto dell’Eterna Giovinezza di Manat, Signora dei Graffiti e conosco la Grotta dei Graffiti.” assentì Zaira, quasi in tono di sfida.
“Che cosa sai della Grotta dei Graffiti e della sua Signora?”
“Tutto conosco! Ogni segreto!… Conosco le antiche Divinità a cui un tempo lontano si offrivano sacrifici umani… Le conosco perché ho visto con questi occhi quei graffiti tracciati dai cacciatori preistorici sulle pareti della Sacra Grotta, in onore della sanguinaria Manat… - la ragazza tacque, ma solo per un istante, il tempo di riprendere fiato e continuare – Non so per quale maleficio, quella lontana, Divinità sanguinaria, sia diventata Dea e Signora di una setta sanguinaria e menzognera… Sì!… menzognera, perché io conosco il segreto della sua eterna giovinezza. Io… la figlia di Selana, conosco quel segreto… il segreto della falsa eterna giovinezza e…”
“Che cosa stai dicendo, stolta ragazza?” tuonò l’uomo, ma Zaira, sul filo del proprio discorso:
“… e conosco il suo volto. Ecco… questo è il volto di Manat, Signora dei Graffiti. “
Zaira tese un foglio.
Pochi, nitidi, salienti tratti, com’era uso fare sir Richard: era il ritratto della principessa Jasmine,così come Rashid glielo aveva descritto.
Hakam afferrò il foglio ed allibì.
*****************
Il tempo passava; i minuti si rincorrevano e si salutavano; l’orizzonte cominciò a rosseggiare.
Il primo turno di guardia finì. Sir Richard rinfoderò il pugnale, prese il fucile e si alzò per chiamare Rashid, ma qualcosa, d'un tratto, lo inchiodò al suolo: un sordo brontolio.
Tese l'orecchio; il rumore gli giunse di nuovo, più nitido e vicino.
"Rashid. Harith." chiamò.
Rashid ed Harith erano già in piedi.
I cavalli nitrivano inquieti; Akim che aveva lasciato la stuoia, corse a quietare gli animali.
"Ho udito.- disse il rais - E' una tigre e non è lontana."
Passarono alcuni attimi. Non accadde nulla. I cavalli smisero di recalcitrare.
"Tornate a dormire. Tocca a me stare di guardia." disse Rashid.
"Si!- esclamò l'inglese sdraiandosi per terra e tirandosi la coperta sulle spalle - Io ho sonno e… Per tutte le balene degli oceani!… - proruppe - … non sarà una fiera a tenermi sveglio."
Anche Harith tornò a stendersi ma Akim restò in piedi; alte lingue di fuoco, all'orizzonte, parevano voler inghiottire la luna.
"Sento una trappola chiudersi intorno a noi.- disse il ragazzo in tono che malcelava il timore - Sento che qualcosa di molto brutto sta per accadere..."
"Ma come? -sorrise Rashid - Proprio tu hai paura di una tigre?"
"Non della tigre… non della tigre… - esclamò - ma di pericoli che sento nell'aria..."
"Fa come vuoi, ragazzo mio. - anche sir Richard sorrise, da sotto le coperte- Io cercherò di dormire. L'alba è ancora lontana."
Aveva appena terminato di parlare che un gran tonfo spezzò il silenzio.
Balzarono nuovamente tutti in piedi. La terra cominciò a vibrare sotto i loro piedi ed una lunga eco prolungava lo strano rumore; la fiamma del bivacco gettava luci sulle ombre e sui volti inquieti.
"Che cos'è stato?" domandò Harith lasciando il suo posto.
"Non lo so.- confessò sir Richard- Si direbbe un oggetto caduto a terra..."
"Molto strano. Guardate! La terra trema ancora." disse ancora lo sceicco.
"Sono gli spiriti maligni. - insisté Akim- Li abbiamo disturbati.."
"Gli spiriti non fanno del male e noi non potevamo scegliere posto migliore per passare la notte." replicò il lord.
"Ascoltate!" incalzò il ragazzo.
"Cosa?" fece il lord.
"Questo silenzio." rispose Akim.
"E' il silenzio del deserto." il lord tornò a stendersi.
Dopo quei rumori misteriosi, tutto tornò tranquillo. Akim si stese accanto ad Harith e il silenzio ovattato della notte desertica tornò a dominare; un silenzio che lasciava udire ogni cosa: il respiro delle palme, il rumore dei granelli di sabbia. Poi, la notte sembrò eccitarsi di infinite percezioni e il silenzio vibrò di voci sommesse; le ombre si riempirono di inquietanti fantasmi e i cavalli ripresero ad agitarsi.
"Ascoltate!"
Akim era balzato nuovamente in piedi e tendeva l’orecchio.
Rashid lo imitò, ma non udì nulla; Harith si schiarì la gola.
"Ma non udite?" incalzò il ragazzo.
"Che cosa dovremmo udire?" disse sir Richard da sotto le coperte.
"Proprio non sentite?... Non sentite questo suono?..."
"No! Io non sento...Per la Coda di Satanasso! -fece l'inglese balzando a sedere sulla stuoia- Sento. Sento anch'io!...Note di tandir." aggiunse balzando in piedi.
"E' un alud." corresse il ragazzo.
"Da dove viene? Adesso lo sento anch'io." esordì Harith , lasciando anch’egli la stuoia.
"E' sotto di noi.- osservò Rashid, inginocchiandosi e poggiando il capo contro il suolo- Proviene proprio da sotto terra."
"Cosa ne pensate?" domandò sir Richard.
"Forse sono gli spiriti. Come dice Akim.- rispose il rais - Ma forse qui sotto c'è semplicemente un sotterraneo."
"Molto probabile!- convenne Harith - Forse abbiamo trovato il covo di Hakam…. E' stato Allah a condurci qui!" aggiunse.
La musica cessò e tutto ripiombò nel più sepolcrale dei silenzi.
Sir Richard sedette e si tirò la coperta sulle spalle; Akim tornò ai cavalli, Harith si appoggiò al tronco di una palma. Solo Rashid restò al suo posto, ritto come un baluardo. Incrollabile ed invincibile. La sua figura ammantellata pareva sfidare gli spiriti che si agitavano sotto i loro piedi.
Poi un urlo. Inatteso, straziante. Un urlo di donna che squarciò il silenzio.
Balzarono una volta ancora in piedi; non più dubbiosi, ma pienamente consci che qualcosa di orribile stava accadendo davvero nelle viscere della terra. Poi, più nulla.
Il resto della notte trascorse tranquillamente, fino ai primi bagliori del sole nascente.
In fondo alla gradinata si apriva un corridoio; svoltarono a destra, poi a sinistra e dopo un lungo percorso nuovamente a destra.
L’umidità era quasi scomparsa, lasciando posto ad aria più secca; da lontano giungevano vaghi profumi inebrianti misti a quello dell’ incenso.
Il gruppo si fermò e qualcuno la sospinse in avanti, oltre l’uscio di una porta.
Quando le tolsero la benda, Zaira si trovò in una grande sala immersa nella penombra.
Un uomo dall’aspetto maestoso le sedeva di fronte, completamente immerso nelle tenebre, su uno scanno appena lambito da un fascio di luce che, invece, investiva lei in pieno.
Pur non potendone scorgere il volto, Zaira sentiva il suo sguardo fisso su di sé.
La ragazza fece la stessa cosa: cercò nelle tenebre il volto di lui.
“Sei di fronte al potente Hakam. – la voce dell’uomo, profonda e un po’ gutturale, modulata ad arte per incutere timore e soggezione, investì la ragazza che, però, non mosse un muscolo del bel volto, mostrando di non lasciarsi impressionare – Chi sei, ragazza che parla con le fiere indomabili?”
“Guardami bene, potente Messaggero degli Dei, Gran Sacerdote della Potente Manat. Non riconosci più il mio volto?”
Hakam, il Gran Sacerdote di Manat la Sanguinaria, si alzò dal seggio e lasciò la penombra.
Era un uomo robusto e molto alto; la testa si ergeva fiera, avvolta in un turbante nero su cui troneggiava una pietra, un enorme topazio, dallo straordinario splendore.
“Avvicinati! – le intimò; Zaira ubbidì ed un’espressione di profonda, intensa emozione ricoprì il volto dell’uomo – Selana! – esclamò – Selana!… Selana!” continuò a ripetere.
“Era il nome di mia madre. – scandì la ragazza, immobile, impassibile, sfingea – Io sono Zaira.”
“Selana!.. – continuava a ripetere l’uomo, completamente folgorato dalle proprie emozioni che dovevano venire dalla parte più intima e remota di se stesso - Selana!… Selana è morta!”
“Ma sua figlia è viva! - proferì la ragazza senza abbassare per un sol attimo lo sguardo – La figlia di Selana è viva… ed è depositaria di tutti i segreti di sua madre.”
“Tu… tu conosci i segreti della Grande Manat?” domandò l’altro, torvo in volto ed inarcando le ciglia.
“Conosco il segreto dell’Eterna Giovinezza di Manat, Signora dei Graffiti e conosco la Grotta dei Graffiti.” assentì Zaira, quasi in tono di sfida.
“Che cosa sai della Grotta dei Graffiti e della sua Signora?”
“Tutto conosco! Ogni segreto!… Conosco le antiche Divinità a cui un tempo lontano si offrivano sacrifici umani… Le conosco perché ho visto con questi occhi quei graffiti tracciati dai cacciatori preistorici sulle pareti della Sacra Grotta, in onore della sanguinaria Manat… - la ragazza tacque, ma solo per un istante, il tempo di riprendere fiato e continuare – Non so per quale maleficio, quella lontana, Divinità sanguinaria, sia diventata Dea e Signora di una setta sanguinaria e menzognera… Sì!… menzognera, perché io conosco il segreto della sua eterna giovinezza. Io… la figlia di Selana, conosco quel segreto… il segreto della falsa eterna giovinezza e…”
“Che cosa stai dicendo, stolta ragazza?” tuonò l’uomo, ma Zaira, sul filo del proprio discorso:
“… e conosco il suo volto. Ecco… questo è il volto di Manat, Signora dei Graffiti. “
Zaira tese un foglio.
Pochi, nitidi, salienti tratti, com’era uso fare sir Richard: era il ritratto della principessa Jasmine,così come Rashid glielo aveva descritto.
Hakam afferrò il foglio ed allibì.
*****************
Il tempo passava; i minuti si rincorrevano e si salutavano; l’orizzonte cominciò a rosseggiare.
Il primo turno di guardia finì. Sir Richard rinfoderò il pugnale, prese il fucile e si alzò per chiamare Rashid, ma qualcosa, d'un tratto, lo inchiodò al suolo: un sordo brontolio.
Tese l'orecchio; il rumore gli giunse di nuovo, più nitido e vicino.
"Rashid. Harith." chiamò.
Rashid ed Harith erano già in piedi.
I cavalli nitrivano inquieti; Akim che aveva lasciato la stuoia, corse a quietare gli animali.
"Ho udito.- disse il rais - E' una tigre e non è lontana."
Passarono alcuni attimi. Non accadde nulla. I cavalli smisero di recalcitrare.
"Tornate a dormire. Tocca a me stare di guardia." disse Rashid.
"Si!- esclamò l'inglese sdraiandosi per terra e tirandosi la coperta sulle spalle - Io ho sonno e… Per tutte le balene degli oceani!… - proruppe - … non sarà una fiera a tenermi sveglio."
Anche Harith tornò a stendersi ma Akim restò in piedi; alte lingue di fuoco, all'orizzonte, parevano voler inghiottire la luna.
"Sento una trappola chiudersi intorno a noi.- disse il ragazzo in tono che malcelava il timore - Sento che qualcosa di molto brutto sta per accadere..."
"Ma come? -sorrise Rashid - Proprio tu hai paura di una tigre?"
"Non della tigre… non della tigre… - esclamò - ma di pericoli che sento nell'aria..."
"Fa come vuoi, ragazzo mio. - anche sir Richard sorrise, da sotto le coperte- Io cercherò di dormire. L'alba è ancora lontana."
Aveva appena terminato di parlare che un gran tonfo spezzò il silenzio.
Balzarono nuovamente tutti in piedi. La terra cominciò a vibrare sotto i loro piedi ed una lunga eco prolungava lo strano rumore; la fiamma del bivacco gettava luci sulle ombre e sui volti inquieti.
"Che cos'è stato?" domandò Harith lasciando il suo posto.
"Non lo so.- confessò sir Richard- Si direbbe un oggetto caduto a terra..."
"Molto strano. Guardate! La terra trema ancora." disse ancora lo sceicco.
"Sono gli spiriti maligni. - insisté Akim- Li abbiamo disturbati.."
"Gli spiriti non fanno del male e noi non potevamo scegliere posto migliore per passare la notte." replicò il lord.
"Ascoltate!" incalzò il ragazzo.
"Cosa?" fece il lord.
"Questo silenzio." rispose Akim.
"E' il silenzio del deserto." il lord tornò a stendersi.
Dopo quei rumori misteriosi, tutto tornò tranquillo. Akim si stese accanto ad Harith e il silenzio ovattato della notte desertica tornò a dominare; un silenzio che lasciava udire ogni cosa: il respiro delle palme, il rumore dei granelli di sabbia. Poi, la notte sembrò eccitarsi di infinite percezioni e il silenzio vibrò di voci sommesse; le ombre si riempirono di inquietanti fantasmi e i cavalli ripresero ad agitarsi.
"Ascoltate!"
Akim era balzato nuovamente in piedi e tendeva l’orecchio.
Rashid lo imitò, ma non udì nulla; Harith si schiarì la gola.
"Ma non udite?" incalzò il ragazzo.
"Che cosa dovremmo udire?" disse sir Richard da sotto le coperte.
"Proprio non sentite?... Non sentite questo suono?..."
"No! Io non sento...Per la Coda di Satanasso! -fece l'inglese balzando a sedere sulla stuoia- Sento. Sento anch'io!...Note di tandir." aggiunse balzando in piedi.
"E' un alud." corresse il ragazzo.
"Da dove viene? Adesso lo sento anch'io." esordì Harith , lasciando anch’egli la stuoia.
"E' sotto di noi.- osservò Rashid, inginocchiandosi e poggiando il capo contro il suolo- Proviene proprio da sotto terra."
"Cosa ne pensate?" domandò sir Richard.
"Forse sono gli spiriti. Come dice Akim.- rispose il rais - Ma forse qui sotto c'è semplicemente un sotterraneo."
"Molto probabile!- convenne Harith - Forse abbiamo trovato il covo di Hakam…. E' stato Allah a condurci qui!" aggiunse.
La musica cessò e tutto ripiombò nel più sepolcrale dei silenzi.
Sir Richard sedette e si tirò la coperta sulle spalle; Akim tornò ai cavalli, Harith si appoggiò al tronco di una palma. Solo Rashid restò al suo posto, ritto come un baluardo. Incrollabile ed invincibile. La sua figura ammantellata pareva sfidare gli spiriti che si agitavano sotto i loro piedi.
Poi un urlo. Inatteso, straziante. Un urlo di donna che squarciò il silenzio.
Balzarono una volta ancora in piedi; non più dubbiosi, ma pienamente consci che qualcosa di orribile stava accadendo davvero nelle viscere della terra. Poi, più nulla.
Il resto della notte trascorse tranquillamente, fino ai primi bagliori del sole nascente.
***
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/3752389.jpg?292)
L’alba stava tingendo di rosa il cielo notturno; sulle dune i riverberi dei raggi dei primi albori si sollevavano come piccoli fasci luminosi di un biancore tendente al viola.
Dietro una di quelle dune, Rashid e gli amici erano in attesa del segnale di Zaira; gli occhi erano incollati sulla oasi della Grotta dei Graffiti.
“E se Zaira fosse caduta prigioniera?” il lord inglese appariva molto preoccupato.
“Conosco Zaira. Non le succederà nulla. - la fede del piccolo Akim nelle capacità della sua più grande amica, era commovente - Voi non conoscete Zaira come la conosco io. – insisteva – La potente Trimurti l’ha posta sotto la sua protezione.”
“Avrebbe già dovuto farci avere il suo messaggio.”
Sir Richard non faceva nulla per nascondere la propria preoccupazione.
“Dobbiamo darle tempo. – Akim era incrollabile nella sua fede – E poi… - s’interruppe – Attenti. –avvertì – Ci sono occhi che ci scrutano.”
Si posero tutti sulla difensiva.
“All’erta!” disse Harith, ma un bramito lo costrinse a girarsi sulla propria destra: uno stupendo esemplare di tigre era apparso ad una dozzina di metri in cima ad una duna.
Sir Richard mise mano al pugnale; la belva emise un secondo bramito.
“E’ una tigre del Bengala.” disse Alkim.
La belva li guardò dall’alto con i suoi occhi gialli e feroci; i muscoli poderosi ondeggiavano ad ogni mossa sotto la pelliccia.
“Vieni avanti!”
Rashid le andò incontro; l’affilatissima lama del pugnale yemenita luccicava minacciosa nella mano destra tesa in avanti..
La tigre avanzava maestosa; la sabbia entro cui affondavano le zampe si sollevava per ricaderle sui fianchi ed i raggi del sole, attraversandola, formava una nube dorata che circondandola creava un o straordinario effetto suggestivo: pareva avanzare circondata di fiamme dorate.
Anche Harith le andò incontro; la luce lo investiva dal fianco destro facendo scintillare il bianco burnus di lino.
“Aspettate! – li fermò Akim – Non ha intenzione di assalirci…. Guardate il suo collare... - fece osservare – Guardate cosa c’è attaccato al suo collare.”
Attaccato al collare della tigre c’era un lembo della veste di Zaira.
“Per Mille Balene! – proruppe il lord inglese – Un lembo della veste di Zaira!” esclamò, facendo l’atto di lanciarsi in avanti.
Akim lo prevenne e raggiunse la fiera, che si lasciò strappare il cimelio.
"E' un messaggio di Zaira." disse il ragazzo porgendolo a sir Richard, giuntogli alle spalle.
“Pare anche a me. E’ proprio un messaggio di Zaira. – disse il lord sollevando il capo, poi lesse – Al tramonto, questa sera,. Non mancate o la principessa Jasmine verrà sacrificata. L’entrate della Grotta è dietro la sorgente.”
“Che cosa facciamo?” chiese Assan, uno degli uomini di Sahab, al suo rais; Rashid rimase per un attimo pensoso, poi disse, accarezzando il dorso della tigre:
“Tu sei meno feroce di loro… Vai. Vai da chi ti manda! – poi, rivolto al suo uomo – Tu, Assan, torna al campo ed avverti Ibrhim… Per il tramonto dovrete essere qui!”
“Volerò!” disse Assan.
*********************
Era la prima volta, dopo molti decenni, che qualcuno osava penetrare nell'oasi maledetta.
Rashid e gli altri erano decisi a sfidare la superstizione ed a scoprirne i segreti e i misteri nasccosti.
Gli Dei della superstizione, però, sono assai potenti ed inconffessati timori turbavano gli animi.
"A cosa serve tanta vita!" esclamò Harith impressionato dal profondo silenzio che incombeva su quell'oasi lussureggiante, ma che neppure il fruscio delle foglie riusciva a scuotere.
Nessuno gli rispose, quel silenzio impressionava davvero tutti. Per questo, forse, quando alcune gazzelle passarono correndo al limitare dell'oasi, si girarono tutti di scatto.
"Il leone si è fatto impressionare da un gruppo di gazzelle!" esclamò Rashid con rabbia repressa.
"Guarda qui, sir.- Akim indicò a sir Richard al suo fianco, l'erba ai piedi di un tronco di palma; s'erano addentrati nell'oasi e nell'intrico della vegetazione - Vedi queste tracce? L'erba è più alta. Qui, invece, è molto più rada. E guarda le forma arrotondata dell'erba calpestata?"
"Vedo. Vuole dire qualcosa?" domandò l'inglese.
"Che per questo sentiero passano felini. Le pantere e le tigri della Grotta dei Garffiti, forse e chi le accudisce. Vedi queste impronte?... - fece notare - Sono troppo piccole, non possono essere che di una donna o di un ragazzo."
"Sì. Certo!"
"Guarda qui, invece. Queste sono impronte di pantere e queste più grandi sono di tigri. Vedi qui l'erba strappata… sono unghiate."
"Allora siamo sulla strada giusta."
"Certo, sir. E osserva questi segni sulla scorza del tronco: una tigre è venuta qui ad affilare i suoi artigli."
"Sei straordinario, Akim!- il lord tese una mano a scompigliare i capelli del piccolo mago, ma subito dopo - Per tutte le balene degli oceani!- esclamò- Non sentite?"
"Ruggiti!- fece il rais alle sue spalle- All'erta! Ci siamo!"
Proseguirono guardinghi; dappertutto ferri arrugginiti, ruderi e monoliti aggrediti da bassi cespugli. Tutti scolpiti in pietra dura, la stessa pietra con cui i fellahin costruivano le loro case squadrate e senza finestre; tutte spoglie di ogni altro ornamento che non fossero ghirlande di fiori freschi e tutte rivolte ad est.
"Guardate qua.- esclamò Rashid- Questi idolatri hanno adornato di fiori freschi questi simulacri di falsi Dei."
"Che cosa vorrà dire?" domandò sir Richard.
"Non lo so." Rashid scosse il capo.
Dietro una di quelle dune, Rashid e gli amici erano in attesa del segnale di Zaira; gli occhi erano incollati sulla oasi della Grotta dei Graffiti.
“E se Zaira fosse caduta prigioniera?” il lord inglese appariva molto preoccupato.
“Conosco Zaira. Non le succederà nulla. - la fede del piccolo Akim nelle capacità della sua più grande amica, era commovente - Voi non conoscete Zaira come la conosco io. – insisteva – La potente Trimurti l’ha posta sotto la sua protezione.”
“Avrebbe già dovuto farci avere il suo messaggio.”
Sir Richard non faceva nulla per nascondere la propria preoccupazione.
“Dobbiamo darle tempo. – Akim era incrollabile nella sua fede – E poi… - s’interruppe – Attenti. –avvertì – Ci sono occhi che ci scrutano.”
Si posero tutti sulla difensiva.
“All’erta!” disse Harith, ma un bramito lo costrinse a girarsi sulla propria destra: uno stupendo esemplare di tigre era apparso ad una dozzina di metri in cima ad una duna.
Sir Richard mise mano al pugnale; la belva emise un secondo bramito.
“E’ una tigre del Bengala.” disse Alkim.
La belva li guardò dall’alto con i suoi occhi gialli e feroci; i muscoli poderosi ondeggiavano ad ogni mossa sotto la pelliccia.
“Vieni avanti!”
Rashid le andò incontro; l’affilatissima lama del pugnale yemenita luccicava minacciosa nella mano destra tesa in avanti..
La tigre avanzava maestosa; la sabbia entro cui affondavano le zampe si sollevava per ricaderle sui fianchi ed i raggi del sole, attraversandola, formava una nube dorata che circondandola creava un o straordinario effetto suggestivo: pareva avanzare circondata di fiamme dorate.
Anche Harith le andò incontro; la luce lo investiva dal fianco destro facendo scintillare il bianco burnus di lino.
“Aspettate! – li fermò Akim – Non ha intenzione di assalirci…. Guardate il suo collare... - fece osservare – Guardate cosa c’è attaccato al suo collare.”
Attaccato al collare della tigre c’era un lembo della veste di Zaira.
“Per Mille Balene! – proruppe il lord inglese – Un lembo della veste di Zaira!” esclamò, facendo l’atto di lanciarsi in avanti.
Akim lo prevenne e raggiunse la fiera, che si lasciò strappare il cimelio.
"E' un messaggio di Zaira." disse il ragazzo porgendolo a sir Richard, giuntogli alle spalle.
“Pare anche a me. E’ proprio un messaggio di Zaira. – disse il lord sollevando il capo, poi lesse – Al tramonto, questa sera,. Non mancate o la principessa Jasmine verrà sacrificata. L’entrate della Grotta è dietro la sorgente.”
“Che cosa facciamo?” chiese Assan, uno degli uomini di Sahab, al suo rais; Rashid rimase per un attimo pensoso, poi disse, accarezzando il dorso della tigre:
“Tu sei meno feroce di loro… Vai. Vai da chi ti manda! – poi, rivolto al suo uomo – Tu, Assan, torna al campo ed avverti Ibrhim… Per il tramonto dovrete essere qui!”
“Volerò!” disse Assan.
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Era la prima volta, dopo molti decenni, che qualcuno osava penetrare nell'oasi maledetta.
Rashid e gli altri erano decisi a sfidare la superstizione ed a scoprirne i segreti e i misteri nasccosti.
Gli Dei della superstizione, però, sono assai potenti ed inconffessati timori turbavano gli animi.
"A cosa serve tanta vita!" esclamò Harith impressionato dal profondo silenzio che incombeva su quell'oasi lussureggiante, ma che neppure il fruscio delle foglie riusciva a scuotere.
Nessuno gli rispose, quel silenzio impressionava davvero tutti. Per questo, forse, quando alcune gazzelle passarono correndo al limitare dell'oasi, si girarono tutti di scatto.
"Il leone si è fatto impressionare da un gruppo di gazzelle!" esclamò Rashid con rabbia repressa.
"Guarda qui, sir.- Akim indicò a sir Richard al suo fianco, l'erba ai piedi di un tronco di palma; s'erano addentrati nell'oasi e nell'intrico della vegetazione - Vedi queste tracce? L'erba è più alta. Qui, invece, è molto più rada. E guarda le forma arrotondata dell'erba calpestata?"
"Vedo. Vuole dire qualcosa?" domandò l'inglese.
"Che per questo sentiero passano felini. Le pantere e le tigri della Grotta dei Garffiti, forse e chi le accudisce. Vedi queste impronte?... - fece notare - Sono troppo piccole, non possono essere che di una donna o di un ragazzo."
"Sì. Certo!"
"Guarda qui, invece. Queste sono impronte di pantere e queste più grandi sono di tigri. Vedi qui l'erba strappata… sono unghiate."
"Allora siamo sulla strada giusta."
"Certo, sir. E osserva questi segni sulla scorza del tronco: una tigre è venuta qui ad affilare i suoi artigli."
"Sei straordinario, Akim!- il lord tese una mano a scompigliare i capelli del piccolo mago, ma subito dopo - Per tutte le balene degli oceani!- esclamò- Non sentite?"
"Ruggiti!- fece il rais alle sue spalle- All'erta! Ci siamo!"
Proseguirono guardinghi; dappertutto ferri arrugginiti, ruderi e monoliti aggrediti da bassi cespugli. Tutti scolpiti in pietra dura, la stessa pietra con cui i fellahin costruivano le loro case squadrate e senza finestre; tutte spoglie di ogni altro ornamento che non fossero ghirlande di fiori freschi e tutte rivolte ad est.
"Guardate qua.- esclamò Rashid- Questi idolatri hanno adornato di fiori freschi questi simulacri di falsi Dei."
"Che cosa vorrà dire?" domandò sir Richard.
"Non lo so." Rashid scosse il capo.
***
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/2558697.jpg)
Una sola statua pareva non aver subito l'ingiuria del tempo ed attirò subito la loro attenzione.
Era piccola, non più alta di un metro, dipinta di colore marrone, quasi nera e posava su un piedistallo troppo grande per le limitate proporzioni. Era ritta ed aveva le gambe serrate e le braccia incrociate sul petto; la testa era coperta con una maglia d'oro filigranata e sulla faccia spiccava lo scintillio di due grossi smeraldi incastonati al posto degli occhi. I denti erano candidi e d'avorio e scintillavano di un sorriso assai crudele. La coprivano, da capo a piedi, splendidi gioielli e la parte del corpo priva di ornamenti, luccicava con non minor intensità, segno inconfutabile di cure particolari.
A differenza dei ruderi, non portava ghirlande, ma numerosi petali di fiori erano posati sul piedistallo.
"Chi sarà questa divinità" domandò Harith.
"Non ho mai visto questa statua prima d'ora." rispose il lord.
"Guardate. - disse ancora Harith, indicando una leva ai piedi della statua - A cosa servirà?" domandò tendendola prima in avanti poi verso sinistra.
La statua si mosse. Indietreggiò con movimento circolare ed andò a fermarsi sulla destra del bordo della pedana, offrendo agli esterrefatti amici la vista di una botola.
Un acre odore di incenso li investì, proveniente da lì sotto. Si calarono giù, in un buio assoluto rischiarato solo dalla luce proveniente dall'alto della botola stessa.
Attraverso una larga gradinata, dissestata e disuguale, scesero di sotto e quando il piede si posò sulla terra piana, sentirono una forte umidità penetrare nelle ossa e nelle narici assieme ad un forte odore di muffa. Non sapendo che direzione prendere, decisero per la sinistra.
L'odore di muffa andò attenuando, fino a scomparire quasi del tutto, sostituito e sopraffatto da quello acre e sempre più forte dell'incenso. Dopo una decina di passi, il corridoio svoltava in uno stretto cunicolo in fondo al quale apparve un tenue chiarore.
"Sentite?" disse Rashid.
"E' un coro. Ed è così dolce. Chi lo direbbe un canto di morte?" esclamò Akim.
Procedendo lungo il cunicolo giunsero in un'ampia sala le cui pareti erano interamente ricoperte di graffiti; l'eco dei loro passi era ancora nell'aria.
Sir Richard sfiorò con lo sguardo quei segni misteriosi, volentieri si sarebbe fermato a darvi un'occhiata.
Al centro della parete frontale si apriva una nicchia da cui un enorme scarabeo d'oro li guardò minaccioso e spaventevole.
"Shiva sia con noi!" esclamò Akim vivamente impressionato.
Proseguirono, ma fatti pochi passi, un'ombra si staccò dal buio ed aggredì Rashid alle spalle; la reazione del beduino fu fulminea e l'aggressore si trovò per terra in un rovinoso rumore di catene; Rashid lo sollevò di peso e lo trascinò sotto l'imbocco della scala.
"Figlio di un cane! - ma, alla luce tremolante che aveva investito in pieno il volto dell'incauto- Marco! Marco Starti!" esclamò, lasciando la presa.
"Ben?...Il mercante Ben. Sia ringraziato il Cielo! - l'altro non nascose il piacevole stupore- Ci siete anche voi, sir Richard?"
"Marco Starti?..." l'inglese non era meno stupito del rais e di Akim, che continuava a ripetere:
"Per la dea Kalì! Non è possibile! Tu sei morto. Per la dea Kalì, tu sei morto!"
"Sono vivo. - esclamò tristemente l'archeologo- Prigioniero di una banda di feroci assassini." sollevò il braccio e solo allora parvero avvedersi della corde che gli legavano i polsi.
"Ma.. la vostra schiena... - esclamò il lord mentre gli scioglieva le corde - La vostra schiena..."
"Ho provato a ribellarmi..." spiegò il professore mostrando la schiena piagata e sono stato frustato.
"Abbiamo visto il tuo corpo dilaniato dagli artigli delle pantere." insisteva Akim e Marco rispose:
"No. Non era il mio corpo."
"Ma...quei poveri resti.. la vostra casacca insanguinata..."
"Una macabra messa in scena.- spiegò il professore- Hakam, il capo di questi criminali, mi voleva priogioniero, per recuperare un tesoro. Una città sepolta... Io sono archeologo." spiegò.
"Lo sappiamo.- Rashid pareva un po’ dubbioso- Ma perché ci avete assaliti?"
"Vi credevo dei loro. Un’infelice sta per essere uccisa..."
"Siamo qui per impedire che questo accada." fece cupo il rais.
"Aspettate! Costoro sono belve spietate e ..."
"E voi - lo interruppe Rashid - come contavate di poterli affrontare?"
"Aspettando il momento buono."
"No!- ruggì il predone- Un pugno di fanatici sanguinari non potranno fermare il rais dei Kinda, per Allah!"
"Il rais dei Kinda?" stupì l'archeologo ed Akim gli spiegò:
"Lui non è il mercante Ben. Lui è il rais dei Kinda e lui… - Akim indicò Harith - lui è lo sceicco dei Kinda."
"...e nessuno ci fermerà!" ruggì ancora Rashid.
"Aspettate! Aspettate! Allah è con voi, certo! - insisté Marco -Ma la vostra audacia potrebbe nuocere a qualcuno. Non è uno solo, il sacrificio che questi mostri si accingono a compiere. Molte ragazze saranno sacrificate. Udite...- il canto si faceva sempre più vicino - Sono quelle infelici. Le hanno inebriate di droga e vanno a morire cantando..."
"Misericordia di Dio!" sir Richard non seppe trattenere l'orrore, ma erano tutti impietriti .
"Sono tutti raccolti nella Sala del Conclave -riprese il giovane -e presto saranno tutti in preda all'ebbrezza."
"Kalì li sprofondi tutti negli abissi di ombre!-esclamò Akim- Per compiere i loro orrendi misfatti hanno bisogno di drogarsi!"
"Sarà più facile sorprenderli!" fece eco l'inglese.
"Se Dio sarà con noi!- esclamò Marco- Siamo solo in cinque."
"Non è così! La nostra gente aspetta il segnale per invadere questa grotta maledetta." spiegò lo sceicco .
"Orsù!- sollecitò Rashid- Cosa aspettiamo? Guidateci voi, Marco. Conoscete questo posto."
Ripresero a sgusciare tra le viscere della terra.
Era piccola, non più alta di un metro, dipinta di colore marrone, quasi nera e posava su un piedistallo troppo grande per le limitate proporzioni. Era ritta ed aveva le gambe serrate e le braccia incrociate sul petto; la testa era coperta con una maglia d'oro filigranata e sulla faccia spiccava lo scintillio di due grossi smeraldi incastonati al posto degli occhi. I denti erano candidi e d'avorio e scintillavano di un sorriso assai crudele. La coprivano, da capo a piedi, splendidi gioielli e la parte del corpo priva di ornamenti, luccicava con non minor intensità, segno inconfutabile di cure particolari.
A differenza dei ruderi, non portava ghirlande, ma numerosi petali di fiori erano posati sul piedistallo.
"Chi sarà questa divinità" domandò Harith.
"Non ho mai visto questa statua prima d'ora." rispose il lord.
"Guardate. - disse ancora Harith, indicando una leva ai piedi della statua - A cosa servirà?" domandò tendendola prima in avanti poi verso sinistra.
La statua si mosse. Indietreggiò con movimento circolare ed andò a fermarsi sulla destra del bordo della pedana, offrendo agli esterrefatti amici la vista di una botola.
Un acre odore di incenso li investì, proveniente da lì sotto. Si calarono giù, in un buio assoluto rischiarato solo dalla luce proveniente dall'alto della botola stessa.
Attraverso una larga gradinata, dissestata e disuguale, scesero di sotto e quando il piede si posò sulla terra piana, sentirono una forte umidità penetrare nelle ossa e nelle narici assieme ad un forte odore di muffa. Non sapendo che direzione prendere, decisero per la sinistra.
L'odore di muffa andò attenuando, fino a scomparire quasi del tutto, sostituito e sopraffatto da quello acre e sempre più forte dell'incenso. Dopo una decina di passi, il corridoio svoltava in uno stretto cunicolo in fondo al quale apparve un tenue chiarore.
"Sentite?" disse Rashid.
"E' un coro. Ed è così dolce. Chi lo direbbe un canto di morte?" esclamò Akim.
Procedendo lungo il cunicolo giunsero in un'ampia sala le cui pareti erano interamente ricoperte di graffiti; l'eco dei loro passi era ancora nell'aria.
Sir Richard sfiorò con lo sguardo quei segni misteriosi, volentieri si sarebbe fermato a darvi un'occhiata.
Al centro della parete frontale si apriva una nicchia da cui un enorme scarabeo d'oro li guardò minaccioso e spaventevole.
"Shiva sia con noi!" esclamò Akim vivamente impressionato.
Proseguirono, ma fatti pochi passi, un'ombra si staccò dal buio ed aggredì Rashid alle spalle; la reazione del beduino fu fulminea e l'aggressore si trovò per terra in un rovinoso rumore di catene; Rashid lo sollevò di peso e lo trascinò sotto l'imbocco della scala.
"Figlio di un cane! - ma, alla luce tremolante che aveva investito in pieno il volto dell'incauto- Marco! Marco Starti!" esclamò, lasciando la presa.
"Ben?...Il mercante Ben. Sia ringraziato il Cielo! - l'altro non nascose il piacevole stupore- Ci siete anche voi, sir Richard?"
"Marco Starti?..." l'inglese non era meno stupito del rais e di Akim, che continuava a ripetere:
"Per la dea Kalì! Non è possibile! Tu sei morto. Per la dea Kalì, tu sei morto!"
"Sono vivo. - esclamò tristemente l'archeologo- Prigioniero di una banda di feroci assassini." sollevò il braccio e solo allora parvero avvedersi della corde che gli legavano i polsi.
"Ma.. la vostra schiena... - esclamò il lord mentre gli scioglieva le corde - La vostra schiena..."
"Ho provato a ribellarmi..." spiegò il professore mostrando la schiena piagata e sono stato frustato.
"Abbiamo visto il tuo corpo dilaniato dagli artigli delle pantere." insisteva Akim e Marco rispose:
"No. Non era il mio corpo."
"Ma...quei poveri resti.. la vostra casacca insanguinata..."
"Una macabra messa in scena.- spiegò il professore- Hakam, il capo di questi criminali, mi voleva priogioniero, per recuperare un tesoro. Una città sepolta... Io sono archeologo." spiegò.
"Lo sappiamo.- Rashid pareva un po’ dubbioso- Ma perché ci avete assaliti?"
"Vi credevo dei loro. Un’infelice sta per essere uccisa..."
"Siamo qui per impedire che questo accada." fece cupo il rais.
"Aspettate! Costoro sono belve spietate e ..."
"E voi - lo interruppe Rashid - come contavate di poterli affrontare?"
"Aspettando il momento buono."
"No!- ruggì il predone- Un pugno di fanatici sanguinari non potranno fermare il rais dei Kinda, per Allah!"
"Il rais dei Kinda?" stupì l'archeologo ed Akim gli spiegò:
"Lui non è il mercante Ben. Lui è il rais dei Kinda e lui… - Akim indicò Harith - lui è lo sceicco dei Kinda."
"...e nessuno ci fermerà!" ruggì ancora Rashid.
"Aspettate! Aspettate! Allah è con voi, certo! - insisté Marco -Ma la vostra audacia potrebbe nuocere a qualcuno. Non è uno solo, il sacrificio che questi mostri si accingono a compiere. Molte ragazze saranno sacrificate. Udite...- il canto si faceva sempre più vicino - Sono quelle infelici. Le hanno inebriate di droga e vanno a morire cantando..."
"Misericordia di Dio!" sir Richard non seppe trattenere l'orrore, ma erano tutti impietriti .
"Sono tutti raccolti nella Sala del Conclave -riprese il giovane -e presto saranno tutti in preda all'ebbrezza."
"Kalì li sprofondi tutti negli abissi di ombre!-esclamò Akim- Per compiere i loro orrendi misfatti hanno bisogno di drogarsi!"
"Sarà più facile sorprenderli!" fece eco l'inglese.
"Se Dio sarà con noi!- esclamò Marco- Siamo solo in cinque."
"Non è così! La nostra gente aspetta il segnale per invadere questa grotta maledetta." spiegò lo sceicco .
"Orsù!- sollecitò Rashid- Cosa aspettiamo? Guidateci voi, Marco. Conoscete questo posto."
Ripresero a sgusciare tra le viscere della terra.
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![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/516313.jpg?339)
La Sala dell'Avator o della Reincarnazione della Dea, come spiegò Marco, si trovava al piano sottostante. Una sala ampia, disuguale, opera incessante di qualche fiume sotterraneo, circoscritta da due tunnel che si congiungevano ai piedi di una breve gradinata.
Le pareti erano interamente ricoperte di graffiti in calce bianca: graffiti preistorici raffiguranti animali selvaggi e scene di sacrifici umani in onore di una Divinità dalle fattezze familiari.
“Quella è Manat, la loro sanguinaria Dea dalla eterna giovinezza. – spiegò l’archeologo ad Harith che lo seguiva di un passo – E’ a lei che sacrificano sangue umano.” aggiunse.
Due pantere, incatenate ed accucciate ai piedi di un altare, ringhiavano annusando l'aria.
Il gruppo di amici non le degnò neppure di uno sguardo e proseguì.
I gradini dell’altare, quattro o cinque, luccicavano d'oro e pietre preziose. Eppure, il bagliore di quelle pietre era poca cosa al confronto dello scintillio prodotto dalla statua che troneggiava su quel podio. Ai piedi dell'idolo c'era un enorme braciere in cui una donna, seminascosta dai veli e dal bagliore delle fiamme, bruciava incenso; la nebbia, che dal braciere saliva insieme alle fiamme, lambiva il volto dell'idolo.
"Guardate quella statua. - disse Marco - Guardate la dolcezza del suo volto. Chi lo direbbe il volto di una divinità tanto feroce e sanguinaria!"
"E' mostruoso!" esclamò Harith.
"E' mostruoso!- ripeté con angoscia Rashid - E' mostruoso che quell'idolo porti il volto di colei che adoro."
"Ma quell'idolo...-anche Akim appariva vivamente impressionato- Quell'idolo ha il volto della principessa Jasmine!"
"E' la dea Manat." spiegò nuovamente il professore.
"Per la Trimurti! La nostra principessa sarebbe l'incarnazione di questa Dea assetata di sangue?"
"Uhhh!..." ruggì Rashid e per un attimo temettero che fosse stato sentito, poiché la donna si era voltata. Ma, ad attirare la sua attenzione, non era stato Rashid, bensì una processione partorita, improvvisa, da uno squarcio nella parete.
Erano sei figure nascoste in lunghe tonache nere, capo scoperto, capelli divisi sulla fronte, un orecchino al lobo destro. Seguiva il Gran Sacerdote, ammantato come gli altri, ma riconoscibile dal grande scarabeo ricamato sul petto; alle sue spalle avanzava un baldacchino su cui giaceva una figura di giovane donna avvolta in candidi veli.
I lunghi capelli neri della ragazza cadevano sulle spalle dei portantini e le mani, piccole e brune, pendevano sui fianchi della lettiga. Era immobile. Pareva morta.
Il corteo si accostò all'idolo e si fermò ai suoi piedi.
Il Gran Sacerdote raggiunse l’altare. Con gesto fermo portò via il drappo che nascondeva un trono, anche questo scintillante di preziosi e con quel drappo coprì la ragazza.
Di lei rimasero visibili solo i capelli, che dondolavano al passo dei portantini.
"E' il Mistero dell'Incarnazione.- spiegò ancora il professore - Quando Hakam solleverà il drappo, sul trono apparirà la Dea reincarnata. Uno spettacolo che si ripete ogni cinque anni da chissà quanti secoli."
Numerose porte, intanto, andavano aprendosi lungo il tunnel per lasciar uscire gente che pareva sbucare come api da un alveare; sedettero tutti per terra, compostamente, ai piedi del trono.
"Guardateli! -esclamò il professore- Sono stravolti dalla droga. Guardate il tremito dei loro corpi. Stanno per iniziare una delle loro orge spaventose... Ma… non capisco!" aggiunse.
"Che cosa non capite!" domandò sir Richard.
"Il trono. E' vuoto. Dov'è la Dea reincarnata?"
Un'ombra alle spalle di Akim; il ragazzo si voltò; respirò di sollievo.
"Assan, prediletto di Shiva.- disse il ragazzo - Sei qui!"
"Come vedi! Neppure la tua Kalì me lo avrebbe impedito."
"Sei qui!- anche Harith appariva sollevato- Ibrahim è con te?"
"Attende il segnale."
"Se Allah mi consentirà di uscire vivo da qui, andrò pellegrino alla Mecca." disse Rashid.
La macabra cerimonia ebbe inizio.
Depositata la lettiga ai piedi del trono, i portantini discesero i gradini. Rimase Hakam, ritto in piedi e nel silenzio profondo, avvolto nella sua aria di mistero, egli tuonò:
"Disgrazia su di noi! - resa ancor più cupa dalle profondità della caverna ,la sua voce impressionò non poco i beduini - Manat è in collera con noi e la causa ha un nome: Rashid, il rais dei Kinda, e il suo sceicco, il principe Harith."
Harith e il suo rais si scambiarono un’occhiata.
Un brusio tra i fanatici adoratori di Manat, poi un grido:
"Morte a Rashid! Morte ad Harith!"
"Il trono è vuoto.- gridò ancora Hakam - Manat è adirata, fratelli. Vuole sangue...molto sangue." tuonò e un pugnale, affilatissimo e luccicante, apparve fra le sue mani mentre sollevava il drappo e scopriva il volto della principessa Jasmine immersa nel mondo incosciente della droga.
"A te, Dea immortale! A te offriamo questo sangue..."
Un urlo si levò dal fondo della sala, disperato e spaventoso. Tutti si volsero e nel silenzio atterrito guardarono la figura terribile del grande predone che si lanciava in avanti; quell'urlo dovette giungere anche nel mondo incosciente della sventurata ragazza ai piedi dell'idolo, poiché si sollevò, faticosamente.
Troppo tardi. Il suo petto palpitante andò incontro alla lama brandita dal braccio assassino di Hakam che, passato l'attimo di stupore per l'inaspettata presenza di Rashid, ve lo affondò con gesto rabbioso.
Per la seconda volta si udì l'urlo di Rashid, poi il giovane raggiunse la principessa, ricaduta sul catafalco, tra veli che andavano tingendosi di rosso e raccolse le sue ultime, incomprensibili parole:
"Almos...protezione...Kaji..." poi le palpebre si chiusero su uno sguardo di un nero intenso e il capo reclinò.