CAP. IX - L'attacco
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LA VITA VAL CENTO CAMMELLI" (proverbio beduino)
Chiedevano di parlamentare e raggiunsero la tenda di Harith scortati da una dozzina di uomini di Rashid.
Inoltrandosi nel campo, passarono al galoppo davanti alla tenda della madre di Ibrahim.
Fatima, all'interno, li vide arrivare e li additò ad Alì, il minore dei figli di Alina.
"E' Amud!" disse in tono di apprensione e rammarico; donne e bambini erano raccolti tutti lì con un gruppo di giovani bene armati.
"Stai tranquilla. - provò a rincuorarla il fratello di suo marito - State tutte tranquille. - aggiunse con un sorriso rassicurante che gli distese il volto dai lineamenti da adolescente, che non aveva conosciuto ancora l'uso del rasoio - Rashid, il nostro rais, sistemerà le cose. La sua legge è la Legge di tutti, qui, ad Ar-Rimal ed è una buona Legge. Lui sistemerà le cose."
Fatima, però, non era affatto tranquilla e seguì con occhi preoccupati il drappello di cavalieri fino a che, smontati di sella, non li vide entrare, l'uno dopo l'altro, sotto la tenda dello sceicco Harith.
"As-salam 'alaykum!" (Pace su di voi!)
Salutarono entrando Amud, figlio dello sceicco Aws e Ben, figlio dello sceicco Kaza.
"Wa as-salam 'alaykum!"
Lo sceicco dei Kinda rispose al saluto ed invitò gli ospiti a prender posto intorno ad una stuoia su cui era posato un narghilè, la pipa ad acqua per fumare tabacco, che indicò loro con un gesto della mano.
Il giovane Ben, irruente ed irrequieto, per primo fece l'atto di prendere la parola; piccolo di statura, scuro di colorito ed una mal ricucita ferita lungo la guancia sinistra, il giovane mostrava chiari segni di impazienza.
Con un gesto imperioso ed autoritario della mano, però, Amud gli ingiuse il silenzio ed esordì egli stesso, rivolto verso Harith.
" La nostra non è una visita di cortesia, sceicco. Siamo qui per riportare a suo padre mia sorella Fatima, dopo l'onta del rifiuto!"
Secco e conciso, il giovane Amud, ma assai efficace, nella brevità del suo approccio; l'accento era assai duro.
Altrettanto secca la risposta di Harith, lo sceicco Kinda.
"Nessuna onta! Fatima è onorevolmente e felicemente sposata con Ibrahim ib Assan." precisò.
"Non erano quelle le condizioni del Trattato di Matrimonio della figlia dello sceicco degli Aws con lo sceicco dei Kinda. - replicò con accento stizzoso il giovane - E vogliamo conoscere subito la vostra decisione."
"Fatima resta qui a Sahab."
L'intervento nella discussione di Rashid, il rais, dirottò immediatamente l'attenzione su di lui; nessuno aveva nemmeno lanciato uno sguardo al narghilè.
"Allora non rimane che cedere la parola alle armi! - Amud scattò in piedi - Questo Concilio è concluso!"
"NO! - esordì Ben con accento assai contrariato; aveva seguito l'incalzare della disputa con sulla faccia un'espressione temporalesca - Questo Concilio sarà concluso solo quando anche i Kaza avranno avuto la loro attenzione." spiegò, lanciando uno sguardo di traverso ad Amud, che stava già guadagnando l'uscita.
"La risposta è no!" disse con calma Rashid.
"Il rais dei Kinda intende negare giustizia ai Kaza?" lo provocò l'altro; Rashid non accolse la provocazione e spiegò:
"Se Ibrahim ibn Assan dovrà rispondere di qualcosa, lo farà davanti al Gran Consiglio che si terrà fra venti giorni a partire da oggi ed a cui... - il rais fece seguire una pausa che riempì con silenzio pieno di significato, poi - ed a cui, Harith, sceicco dei Kinda, prega vivamente i Kaza quanto gli Asw, ad essere presenti." scandì con accento che non ammetteva replica.
Senza una parola, anche Ben si diresse verso l'uscita, seguito dalla sua scorta.
Un'ora!
Questo il tempo stabilito per permettere ai due ambasciatori di lasciare il campo e raggiungere le proprie postazioni ed agli uomini di Rashid di prepararsi all'attacco.
Sir Richard propose di mettere al riparo nel fortino donne e bambini, ma Zaira si oppose e lo stesso fecero Letizia e Jasmine, le quali si dissero pronte ad aiutare le donne incinte, una mezza dozzina con Fatima e i bambibi qualora ve ne fosse stato bisogno, preferendo restare tutte sotto la tenda di Alina; Jasmine e Letizia, inoltre, chiesero ed ottennero un fucile. Zaira, invece, sulle prime rifiutò, accennando alla tigre che le trotterellava accanto, ma poi anche lei chiese una carabina.
Nel consegnargliela, sir Richard le sfiorò teneramente la mano; la ragazzza fremette. Si sollevò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia. Il lord, però, sotto l'impeto di una passione troppo a lunga trattenuta, l'avvinghiò a sé con il braccio libero, l'altro reggeva un fucile pronto all'uso, la baciò appassionatamente.
"No!"
Zaira si sciolse all'abbraccio con espressione quasi terrorizzata in volto; il lord fece l'atto di replicare, ma una scarica violentissima di fuoco, all'esterno, proveniente dal limitare del campo, lo spinse di fuori e lo condusse, di corsa, oltre la Fontana del Fico e le palme che circondavano l'oasi.
Vi trovò Harith ed Ashraf, il fratello minore di Ibrahim con un gruppo di uomini appostati dietro fusti di palme e i ruderi del fortino.
"Al riparo. - gli gridò Harit - Al riparo, sir!"
Il lord cercò riparo dietro una palma.
"Che cosa è successo? - domandò - Il tempo stabilito per l'inizio delle ostilità era di un'ora e non è ancora trascorso."
"E' stato Ben. E' un uomo senza onore!" scandì a dentri stretti lo sceicco.
"Appena messo piede nella sabbia - interloquì Ashraf - quel serpente di un Kaza ha dato il segnale d'attacco ai suoi uomini appostati laggiù, nella speranza di coglierci impreparati."
Il giovane tese un braccio in direzione di un gruppo di cammellieri dagli svolazzanti mantelli color dattero. Avanzavano compatti, in una nuvola di polvere iridescente e nel frastuono assordante di una rabbiosa scarica di fucili. Sempre al galoppo coprirono i primi trecento metri del mezzo miglio che li separava dall'oasi.
"Dov'é Rashid? - domandò l'inglese puntando la sua carabina sul gruppo in movimento - Dove sono Rashid ed Ibrahim?"
Gli rispose, proveniente dalle spalle dei cammelli al trotto serrato, un urlo che gli gelò il sangue nelle vene: lo conosceva perfettamente, quell'aggliacciante suono , ma, come sempre, gli percorreva la schiena con un brivido incontrollato.
Era il grido d'attacco del grande predone di Ar-Rimal.
Chiedevano di parlamentare e raggiunsero la tenda di Harith scortati da una dozzina di uomini di Rashid.
Inoltrandosi nel campo, passarono al galoppo davanti alla tenda della madre di Ibrahim.
Fatima, all'interno, li vide arrivare e li additò ad Alì, il minore dei figli di Alina.
"E' Amud!" disse in tono di apprensione e rammarico; donne e bambini erano raccolti tutti lì con un gruppo di giovani bene armati.
"Stai tranquilla. - provò a rincuorarla il fratello di suo marito - State tutte tranquille. - aggiunse con un sorriso rassicurante che gli distese il volto dai lineamenti da adolescente, che non aveva conosciuto ancora l'uso del rasoio - Rashid, il nostro rais, sistemerà le cose. La sua legge è la Legge di tutti, qui, ad Ar-Rimal ed è una buona Legge. Lui sistemerà le cose."
Fatima, però, non era affatto tranquilla e seguì con occhi preoccupati il drappello di cavalieri fino a che, smontati di sella, non li vide entrare, l'uno dopo l'altro, sotto la tenda dello sceicco Harith.
"As-salam 'alaykum!" (Pace su di voi!)
Salutarono entrando Amud, figlio dello sceicco Aws e Ben, figlio dello sceicco Kaza.
"Wa as-salam 'alaykum!"
Lo sceicco dei Kinda rispose al saluto ed invitò gli ospiti a prender posto intorno ad una stuoia su cui era posato un narghilè, la pipa ad acqua per fumare tabacco, che indicò loro con un gesto della mano.
Il giovane Ben, irruente ed irrequieto, per primo fece l'atto di prendere la parola; piccolo di statura, scuro di colorito ed una mal ricucita ferita lungo la guancia sinistra, il giovane mostrava chiari segni di impazienza.
Con un gesto imperioso ed autoritario della mano, però, Amud gli ingiuse il silenzio ed esordì egli stesso, rivolto verso Harith.
" La nostra non è una visita di cortesia, sceicco. Siamo qui per riportare a suo padre mia sorella Fatima, dopo l'onta del rifiuto!"
Secco e conciso, il giovane Amud, ma assai efficace, nella brevità del suo approccio; l'accento era assai duro.
Altrettanto secca la risposta di Harith, lo sceicco Kinda.
"Nessuna onta! Fatima è onorevolmente e felicemente sposata con Ibrahim ib Assan." precisò.
"Non erano quelle le condizioni del Trattato di Matrimonio della figlia dello sceicco degli Aws con lo sceicco dei Kinda. - replicò con accento stizzoso il giovane - E vogliamo conoscere subito la vostra decisione."
"Fatima resta qui a Sahab."
L'intervento nella discussione di Rashid, il rais, dirottò immediatamente l'attenzione su di lui; nessuno aveva nemmeno lanciato uno sguardo al narghilè.
"Allora non rimane che cedere la parola alle armi! - Amud scattò in piedi - Questo Concilio è concluso!"
"NO! - esordì Ben con accento assai contrariato; aveva seguito l'incalzare della disputa con sulla faccia un'espressione temporalesca - Questo Concilio sarà concluso solo quando anche i Kaza avranno avuto la loro attenzione." spiegò, lanciando uno sguardo di traverso ad Amud, che stava già guadagnando l'uscita.
"La risposta è no!" disse con calma Rashid.
"Il rais dei Kinda intende negare giustizia ai Kaza?" lo provocò l'altro; Rashid non accolse la provocazione e spiegò:
"Se Ibrahim ibn Assan dovrà rispondere di qualcosa, lo farà davanti al Gran Consiglio che si terrà fra venti giorni a partire da oggi ed a cui... - il rais fece seguire una pausa che riempì con silenzio pieno di significato, poi - ed a cui, Harith, sceicco dei Kinda, prega vivamente i Kaza quanto gli Asw, ad essere presenti." scandì con accento che non ammetteva replica.
Senza una parola, anche Ben si diresse verso l'uscita, seguito dalla sua scorta.
Un'ora!
Questo il tempo stabilito per permettere ai due ambasciatori di lasciare il campo e raggiungere le proprie postazioni ed agli uomini di Rashid di prepararsi all'attacco.
Sir Richard propose di mettere al riparo nel fortino donne e bambini, ma Zaira si oppose e lo stesso fecero Letizia e Jasmine, le quali si dissero pronte ad aiutare le donne incinte, una mezza dozzina con Fatima e i bambibi qualora ve ne fosse stato bisogno, preferendo restare tutte sotto la tenda di Alina; Jasmine e Letizia, inoltre, chiesero ed ottennero un fucile. Zaira, invece, sulle prime rifiutò, accennando alla tigre che le trotterellava accanto, ma poi anche lei chiese una carabina.
Nel consegnargliela, sir Richard le sfiorò teneramente la mano; la ragazzza fremette. Si sollevò sulla punta dei piedi e lo baciò sulla guancia. Il lord, però, sotto l'impeto di una passione troppo a lunga trattenuta, l'avvinghiò a sé con il braccio libero, l'altro reggeva un fucile pronto all'uso, la baciò appassionatamente.
"No!"
Zaira si sciolse all'abbraccio con espressione quasi terrorizzata in volto; il lord fece l'atto di replicare, ma una scarica violentissima di fuoco, all'esterno, proveniente dal limitare del campo, lo spinse di fuori e lo condusse, di corsa, oltre la Fontana del Fico e le palme che circondavano l'oasi.
Vi trovò Harith ed Ashraf, il fratello minore di Ibrahim con un gruppo di uomini appostati dietro fusti di palme e i ruderi del fortino.
"Al riparo. - gli gridò Harit - Al riparo, sir!"
Il lord cercò riparo dietro una palma.
"Che cosa è successo? - domandò - Il tempo stabilito per l'inizio delle ostilità era di un'ora e non è ancora trascorso."
"E' stato Ben. E' un uomo senza onore!" scandì a dentri stretti lo sceicco.
"Appena messo piede nella sabbia - interloquì Ashraf - quel serpente di un Kaza ha dato il segnale d'attacco ai suoi uomini appostati laggiù, nella speranza di coglierci impreparati."
Il giovane tese un braccio in direzione di un gruppo di cammellieri dagli svolazzanti mantelli color dattero. Avanzavano compatti, in una nuvola di polvere iridescente e nel frastuono assordante di una rabbiosa scarica di fucili. Sempre al galoppo coprirono i primi trecento metri del mezzo miglio che li separava dall'oasi.
"Dov'é Rashid? - domandò l'inglese puntando la sua carabina sul gruppo in movimento - Dove sono Rashid ed Ibrahim?"
Gli rispose, proveniente dalle spalle dei cammelli al trotto serrato, un urlo che gli gelò il sangue nelle vene: lo conosceva perfettamente, quell'aggliacciante suono , ma, come sempre, gli percorreva la schiena con un brivido incontrollato.
Era il grido d'attacco del grande predone di Ar-Rimal.
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Rashid e i suoi uomini apparvero all'improvviso, sciamando lungo i viottoli che il vento continuava a incidere sulla superficie delle basse dune, come un esercito di termiti guerriere fuori del territorio. Erano più di cinquanta e piombarono con furia incalzante sugli uomini di Ben.
"Ecco dove sono! - esclamò il lord montando a cavallo e spronandolo sulla scia di Harth e Ashraf i quali si erano già lanciati in avanti - Ecco dov'é quel diavolo di un predone. Ah.ah.ah... - ghignò soddisfatto - Non smentisce per nulla la sua fama... il Leone del deserto. Quel povero Ben è una quaglia che finirà presto nel carniere del rais dei Kinda.. Oh! - di colpo si lasciò sfuggire un'esclamazione soffocata. - Oh! Amud!... Quello è il cavallo di Amud... E' imbizzarrito e sembra ferito.. Forse... forse è ferito anche Amud..."
C'era il cavallo di Amud ad una decina di metri da lui e correva all'impazzata.
Il lord s'avvide subito che il cavaliere era in difficoltà; pochi minuti e vide il cavallo trascinanrsi dietro, sul suolo sabbioso e ciottoloso, il corpo disarcionato del suo cavaliere.
Spronando il cavallo in quella direzione, l'inglese puntò la sua carabina e pum, pum, pum... fece tre volte fuoco: la staffa che teneva prigioniera la gamba del giovane figlio dello sceicco Aws cedette e Amud fermò la sua corsa.
Accerchiati dagli uomini di Rashid e da quelli di Harith, gli assalitori, intanto si erano arresi quasi tutti, eccetto un paio di uomini che continuavano ancora a sparare.
Raggiuntp il giovane Amud disteso per terra, sir Richard smontò di sella, lo sollevò e lo issò sul suo cavallo, poi montò dietro di lui; d'intorno, alcuni feriti gemevano e si trascinavano e i loro animali correvano lontano all'impazzata; un cammello quasi travolse il suo cavallo.
L'inglese evitò lo scontro, poi puntò in direzione dell'oasi e lanciò il cavallo al galoppo serrato.
Un fischio ed un lampo accecante davanti agli occhi, all'improvviso, cui seguì una sensazione dolorosa e inattesa nel cervello, poi il lord s'accasciò sul ferito, davanti a sé, e si lasciò trasportare dal cavallo. Amud uscì dalla disastrosa avventura solo con qualche ammaccatura ed un profondo senso di riconoscenza verso il lord inglese: con quei tre magistrali, infallibili colpi, sir Richard aveva salvato la vita a lui ed al suo cavallo e l'inglese sapeva benissimo quanto un beduino fosse legato al proprio cavallo.
In realtà, anche la sua ferita era solo di striscio e non destò alcuna preoccupazione. Se non in Zaira, la quale se ne sentiva la sola, vera responsabile a causa di quel bacio appassionato che lui le aveva rubato prima di affrontare il fuoco.
"Kalì! - andava ripetendo angosciata - E' stata Kalì a guidare la mano dell'uomo che gli ha sparato. Lei è implacabile! E' implacabile con chi osa sollevare anche solo lo sguardo su una creatura che le appartiene!"
Quella sera Zaira dormì di un sonno assai agitato; era rimasta a lungo sveglia pensando all'uomo che, pur senza volerlo ammettere, sapeva di amare. Pensava a lui con timore e trepidazione: lei conosceva Kalì e la sua implacabile natura.
Quando riuscì ad addormentarsi i suoi sogni furono tormentati e confusi e con la sensazione di trovarsi nel vortice del sam la cui furia l'aveva risparmiata nel deserto.
"Non allontanarti da me!"
Un tuono le scoppiò nel cervello ed una figura le comparve davanti, avvolta di fiamme, nelle sembianze della dea Kalì, dalle sei braccia e dalla dirompente energia.
"Il vincolo che ti lega a me non è ancora sciolto. Tu appartieni a Kalì ed a nessun mortale... a nessun mortale..."
Zaira si svegliò di soprassalto, tremante e fradicia di sudore gelido, rimanendo annichilita e rannicchiata nel suo angolo di terrore.
Nell'oscurità sentiva il respiro leggero di Jasmine stesa sulla stuoia accanto alla sua. Si alzò cercando di non far rumore per non svegliarla e sgusciò fuori della tenda che odorava ancora del profuno delle rose, delle ortensie e dei rampicanti con cui il giorno prima, Rashid l'aveva trasformata in "giardino" per Jasmine.
L'aria era fresca e lei si strinse nel mantello.
Nel cielo, nascosta da una nuvola di passaggio, la luna navigava lenta, ma tornò subito, chiara e argentea e illuminò una figura informe fra le ombre proiettate al suolo.
"Kalì!" balbettò spaventata.
La figura si mosse e Zaira chiuse gli occhi atterrita.
"Zaira... - era Akim e le andò vicino - Non dormi? Che cosa fai qui fuori?... Ma tu stai tremando." esclamò il piccolo mago tendendo le braccia in cui la ragazza corse a rifugiarsi.
Era cresciuto Akim e il fisico si era irrobustito e prometteva forza e vigore per l'età matura; anche la voce era mutata: più profonda.
"Che cosa ti è accaduto, Zaira, sorellina mia?" domandò.
"Kalì! - balbettò la ragazza - Kalì mi è venuta in sogno per rimproverarmi ed ho creduto che fosse ancora lei tra i cespugli del fico della fontana." aggiunse indicando le ombre che l'albero di fico spargeva per terra disegnando bizzarre figure.
"Rimproverarti per cosa?" domandò il ragazzo.
"Per aver dimenticato di essere una creatura che appartiene a Kalì." rispose.
"Una Kumari! - assentì in tono grave il ragazzo - Tu se una Kumari e lo spirito della dea Kalì dimora nel tuo cuore e nel tuo spirito."
"Ho permesso ad un mortale di entrare nel mio spirito." gemette lei.
"Sir Richard? - domandò Akim ed allo stupore di lei aggiunse - Non è un segreto per nessuno che il cuore dell'amico inglese batte per la figlia del saggio Mayrana."
"Ma questo non è bene! - tornò a gemere Zaira - Io temo per lui. Kalì gli ha già inviato un chiaro segno della sua collera. Io non posso appartenere a nessun mortale fino a quando Kalì non manifesterà con un segno divino la sua volontà di lasciarmi libera."
"Un modo c'é per sollecitare quel segno divino." la sorprese il ragazzo.
"E come?" domandò Zaira.
"Attraverso il Rito di Purificazione." rispose semplicemente Akim.
"Il Rito di Purificazione!" ripeté Zaira girandosi verso di lui e lasciandosi guidare verso la sua tenda come una bambina spaventata, ma fiduciosa e piena di speranze.
Capitolo X - Il Gran Consiglio
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"L'acqua è vita" - proverbio beduino Mio adorato! - Jasmine staccò le dita dalle corde del liuto e le posò sulla nuca di Rashid seduto ai suoi piedi su un cuscino - La mia musica ti rattrista?"
Quasi completamente ristabilita, la principessa Jasmine riusciva perfino a suonare il liuto se lo teneva poggiato sulle ginocchia.
Rashid era particolarmente affettuoso e lei si sentiva scompigliare il cervello da un turbinio di emozioni: tenerezza, amore, gelosia; una marea di luce che si irradiava dai suoi straordinari occhi verdi e richiamava alla coscienza del giovane sentimenti di vellutato piacere.
L'amore e la passione a quelle latitudini erano forti e roventi come la natura stessa e Rashid si sentiva sopraffatto da emozioni mai provate prima.
Jasmine avvertiva il suo trasporto: negli sguardi, nei silenzi, nelle carezze e per lei sembrava giunto quel momento magico, quel tempo unico in cui il sole di giorno e la luna di notte, parevano risplendere solo per lei. Con tutto l'animo, lei voleva che nulla, soprattutto la gelosia, offuscasse quella luce. Sentiva salire dentro sé, pian piano, dal più profondo del seno, dal più intimo del grembo, un fulgore così intenso e indomabile che la inclinava verso di lui e le imponeva di annullarsi in lui e di mettere a tacere quella vocina sottile sottile... Selima! Il suo Rashid, però, non mostrava alcun interesse per quella donna.
"Non è la tua musica, mia adorata. - Rashid sollevò il bel volto bruno e tuffò lo sguardo nero africano in quello stupefacentemente verde di lei, fugando l'ultimo brandello della sua gelosia - Sono imperdonabile, vero, a lasciarmi prendere dai miei pensieri, quando tu mi sei vicina?" sorrise.
"Perché? - fece lei con dolcezza - I tuoi pensieri non sono anche i miei? Lo sai, Rashid... io sono felice se tu sei felice e preoccupata se tu lo sei e so che adesso sei preoccupato."
"E' vero! Sono preoccupato per Ibrahim. L'accusa da cui deve difendersi è molto grave ed è il pretesto per rompere gli equilibri delle alleanze! Tea poche ore si stabiliranno le sorti di tutte le tribù! "
Rashid si alzò, staccò dalla parete l'affilatissima jatagan.
"Chi viene con te?" domandò lei, seguendo ogni suo gesto con sguardo innamorato.
"Harith e sir Richard." rispose il giovane, infilandosi la jatagan al fianco e la bianca keffiew in testa, poi si diresse a lunghi passi verso l'uscita; erano sotto la tenda che la principessa divideva con Zaira.
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Il Gran Consiglio delle tribù si tenne presso il pozzo di Rebek. Doveva il suo nome ad un fatto d'amore e morte: Rebek, la donna che per amore aveva scatenato una guerra fra due tribù e che alla fine s'era uccisa proprio ai piedi di quel pozzo.
Esauriti i convenevoli d'obbligo, lunghi ed elaborati come richiedeva la consuetudine, il primo a prendere la parola fu Rashid.
"Assalaam alaykum!" (la pace sia su di voi), salutò.
"Wa'alaykum salaam!" risposero al saluto.
"Allah prese l'aria e ne fece il beduino, - riprese, con enfasi, il grande rais - Prese del fango e ne fece l'asino, prese le feci del'asino e ne fece l'abitante sedentario della città, ma... - una pausa sapiente e ben studiata, poi - ... se Allah ha voluto fare dell'uomo che naviga il deserto il suo Figlio Prediletto, noi dobbiamo meritare la sua preferenza!... Siamo noi i soli Arab!"
Rashid, il rais dei Kinda, l'uomo più irruente del deserto, aveva parlato con voce pacata e calma, con le pause e le interruzioni giuste e tutti lo ascoltavano con rispetto reverenziale.
Il rispetto, che non è né scelta, ma neppure obbligo; il rispetto, che impoverisce chi non ne possiede.
Tutti: Harith abu Ben, sceicco dei Kinda, Afud abu Selim, sceicco dei Tamin, Feysal abu Amud, sceicco degli Aws, Faysal abu Selim, sceicco dei Qaahtan, Ben inb Kassan, sceicco dei Kaza e tutti gli altri. Nessuno dei capi mancava all'appuntamento; tutti seduti alla maniera araba: in circolo ed a gambe incrociate, per non mostrare le suole delle scarpe, il fucile stretto fra le braccia.
Indossavano tutti l'abayah, la pesante, tradizionale mantella che riparava dal caldo dell'estate e dal freddo dell'inverno.
Un po' più lontano, un gruppo di donne preparava il caffè.
"Siamo noi i soli Arab!" ripeterono tutti in coro.
"Il principe Harith è il più degno degli Arab! - Rashid riprese la parola; senza fretta. Senza il bisogno di spenderne più del necessario. Calmo e misurato. Allentando la stretta della dialettica oppure serrandola - Da quando è alla guida delle Tribù del Deserto, a nessuno è mancata pace e abbondanza e perché la pace e l'abbondanza non vengano a mancare, occorre che vi sia unità e rispetto fra le tribù e nessuno meglio del principe Harith dei Kinda, possiede la capacità di guidare gli Arab!"
Il lord inglese aveva seguito in silenzio le parole dell'amico. Sapeva bene che i beduini avevano in odio ogni forma di gerarchia e l'unica autorità riconosciuta e scelta... soprattutto scelta, era quella del rais ed egli conosceva bene la natura del suo amico rais.
Rashid era l'uomo giusto per quella gente: combattente nato ma con il talento della sopravvivenza e non della vocazione al sacrificio o dell'ultimo sangue.
Di lui non conosceva tutta la storia ma sapeva che aveva dovuto assicurarsi l'esistenza e la sopravvivenza con la tenacia e qualche volta anche la violenza ed era certo che l'avrebbe fatto anche per il bene della sua gente: i Kinda. I KInda, amava ripetergli Ibrahim con un certo orgoglio, non conoscevano l'umiliazione del tributo; i Kinda, diceva, orgogliosi e fieri, mai avrebbero chiesto protezione in cambio di mercede.
Ne era convinto, sir Rchaerd. Conosceva bene il principe Harith e la sua gente e se doveva esprimersi su di loro non avrebbe esitato ad affermare che primeggiavano per valore, si dimostravano leali nelle alleanz e tenaci nelle avversità.
Rashid tacque e nella breve pausa che seguì, ci fu il silenzio più assoluto, poi le ovazioni:
"Sia gloria al principe Harith!"
"Allah è con lui!"
"Sia egli nostro capo e guida."
Infervorato dalle parole e dalla dialettica del grande predone, tutti riconoscevano Harith come capo indiscusso.
Chiamato in causa, il giovane sceicco di Sahab posò la tazza di caffè appena svuotata, balzò in piedi e con gesto teatrale si liberò della kefiah, poi brandì il pugnale e lo sollevò in alto; forte, atletico, i muscoli guizzarono, potenti e ben distribuiti, sotto il mantello, che ricadde sulle atletiche, candido e in contrasto con il colorito bruno della pelle del torso nudo.
Suggestiva, la possente figura, stagliata contro l'orizzonte arido e di un intenso giallo-ocra.
"A capo scoperto! - scandì voce vibrante e solenne lo sceicco dei Kinda - Onde mi possiate guardare in faccia. Avete riconosciuto in me il vostro capo ed io riconosco la libertà di ognuno di voi, perché, prima di tutto, l'Arab è un uomo libero..."
E sapeva bene quel che diceva, il giovane sceicco Kinda: gli uomini di Sahab, orgogliosi ed intolleranti al comando, erano, però, capaci di scegliersi il capo giusto.
Guardandolo, sir Richard pensò agli antichi generali romani ed a quello che uno storico antico di cui non ricordava il nome, aveva detto in proposito: i soldati romani sapevano scegliersi un capo, essergli fedele ed ubbidirgli ciecamente.
"Tacito... si chiamava Tacito... - esclamò; Ibrahim al suo fianco si girò a guardarlo - Nulla! Nulla! Sto pensando a voce alta." disse con un sorriso e tornò a guardare in direzione dell'amico Harith.
"Dici bene, Harith ibn Assan! - una voce gli scrosciò alle spalle improvvisa e dagli acceti sgradevoli - Ogni Arab ama la propria libertà ed è per questo che io, figlio del deserto, non riconosco in te il capo appena acclamato."
Harith si girò di scatto e si trovò di fronte la faccia baldanzosa e provocatoria di Ben Hassad, figlio di Feysal, il defunto sceicco dei Kaza.
Sir Richard balzò in piedi e lo stesso fece Ibrahim e fu contro di loro che si appuntò l'indice accusatore del beduino.
"Questa mano - scandì con voce tagliente come la lama del pugnale che brandiva con la destra - esige giustizia e vendetta."
"Come osi interrompere questa riunione e lanciare accuse?"
la voce severa di Rashid fece convergere su di sé ogni sguardo, compreso quello dell'accusatore, che dopo un lieve esitazione proseguì:
"Ti chiamano tutti il "Leone di Ar-Rimal" e sei da tutti temuto ed io dovrei temerti, Rashid, rais dei Kinda, ma il dolore per la morte di mio padre, per mano di questo assassino, - Il giovane Ben puntò lindice accusatore in direzione di Ibrahim - ha cancellato ogni paura dal mio cuore... - una pausa, riempita da un respiro pesante e affannato, nel silenzio più totale, poi riprese - Sono venuto a reclamare giustizia presso gli Anziani della tribù dei Kinda, ma il loro rais mi ha rimandato al Gran Consiglio delle Tribù... E qui, io sono ed esigo il sangue dell'assassino in cambio di quello di mio padre, sceicco dei Kaza."
Il lord inglese lasciò il suo posto ed avanzò di un passo o due. Aveva avuto già avuto occasione, durante gli anni in cui aveva assolto al compito di Assistente di carovane per la "Compagnia d'Arabia" a nome della Graziosa Maestà, la regina Vittoria, di verificare la natura infida dei Kaza, sleali nelle alleanze e sempre pronti al tradimento. Gente perennemente in condizione di dipendenza da altre tribù, pronta all'ossequio, ma atta al tradimento.
"Falso e spergiuro! - irruppe, nell'empito di un furore incontenibile ed estraneo all'abituale flemma, attirando su di sé la generale attenzione - Tu sei il solo responsabile della morte di tuo padre... Tu soltanto!" scandì con durezza.
Un brusio si levò sull'assemblea.
"Mi accusi della morte di tuo padre ben sapendo che si tratta di una spregevole menzogna, Ben Hassad. - anche Ibrahim intervenne nel drammatico battibecco - Tu mi hai aggredito con il tuo pugnale, ospite sotto la tenda di tuo padre, lo sceicco Feysal... Sai bene, Ben Hassad, che quando tuo padre ha tentato di dividerci, è caduto sulla mia arma... Io ho un testimone." aggiunse, indicando il lord inglese.
"Ho un testimone anch'io! - replicò Ben, poi batté le mani e fece un nome - Nazir!".
Quasi completamente ristabilita, la principessa Jasmine riusciva perfino a suonare il liuto se lo teneva poggiato sulle ginocchia.
Rashid era particolarmente affettuoso e lei si sentiva scompigliare il cervello da un turbinio di emozioni: tenerezza, amore, gelosia; una marea di luce che si irradiava dai suoi straordinari occhi verdi e richiamava alla coscienza del giovane sentimenti di vellutato piacere.
L'amore e la passione a quelle latitudini erano forti e roventi come la natura stessa e Rashid si sentiva sopraffatto da emozioni mai provate prima.
Jasmine avvertiva il suo trasporto: negli sguardi, nei silenzi, nelle carezze e per lei sembrava giunto quel momento magico, quel tempo unico in cui il sole di giorno e la luna di notte, parevano risplendere solo per lei. Con tutto l'animo, lei voleva che nulla, soprattutto la gelosia, offuscasse quella luce. Sentiva salire dentro sé, pian piano, dal più profondo del seno, dal più intimo del grembo, un fulgore così intenso e indomabile che la inclinava verso di lui e le imponeva di annullarsi in lui e di mettere a tacere quella vocina sottile sottile... Selima! Il suo Rashid, però, non mostrava alcun interesse per quella donna.
"Non è la tua musica, mia adorata. - Rashid sollevò il bel volto bruno e tuffò lo sguardo nero africano in quello stupefacentemente verde di lei, fugando l'ultimo brandello della sua gelosia - Sono imperdonabile, vero, a lasciarmi prendere dai miei pensieri, quando tu mi sei vicina?" sorrise.
"Perché? - fece lei con dolcezza - I tuoi pensieri non sono anche i miei? Lo sai, Rashid... io sono felice se tu sei felice e preoccupata se tu lo sei e so che adesso sei preoccupato."
"E' vero! Sono preoccupato per Ibrahim. L'accusa da cui deve difendersi è molto grave ed è il pretesto per rompere gli equilibri delle alleanze! Tea poche ore si stabiliranno le sorti di tutte le tribù! "
Rashid si alzò, staccò dalla parete l'affilatissima jatagan.
"Chi viene con te?" domandò lei, seguendo ogni suo gesto con sguardo innamorato.
"Harith e sir Richard." rispose il giovane, infilandosi la jatagan al fianco e la bianca keffiew in testa, poi si diresse a lunghi passi verso l'uscita; erano sotto la tenda che la principessa divideva con Zaira.
***************************
Il Gran Consiglio delle tribù si tenne presso il pozzo di Rebek. Doveva il suo nome ad un fatto d'amore e morte: Rebek, la donna che per amore aveva scatenato una guerra fra due tribù e che alla fine s'era uccisa proprio ai piedi di quel pozzo.
Esauriti i convenevoli d'obbligo, lunghi ed elaborati come richiedeva la consuetudine, il primo a prendere la parola fu Rashid.
"Assalaam alaykum!" (la pace sia su di voi), salutò.
"Wa'alaykum salaam!" risposero al saluto.
"Allah prese l'aria e ne fece il beduino, - riprese, con enfasi, il grande rais - Prese del fango e ne fece l'asino, prese le feci del'asino e ne fece l'abitante sedentario della città, ma... - una pausa sapiente e ben studiata, poi - ... se Allah ha voluto fare dell'uomo che naviga il deserto il suo Figlio Prediletto, noi dobbiamo meritare la sua preferenza!... Siamo noi i soli Arab!"
Rashid, il rais dei Kinda, l'uomo più irruente del deserto, aveva parlato con voce pacata e calma, con le pause e le interruzioni giuste e tutti lo ascoltavano con rispetto reverenziale.
Il rispetto, che non è né scelta, ma neppure obbligo; il rispetto, che impoverisce chi non ne possiede.
Tutti: Harith abu Ben, sceicco dei Kinda, Afud abu Selim, sceicco dei Tamin, Feysal abu Amud, sceicco degli Aws, Faysal abu Selim, sceicco dei Qaahtan, Ben inb Kassan, sceicco dei Kaza e tutti gli altri. Nessuno dei capi mancava all'appuntamento; tutti seduti alla maniera araba: in circolo ed a gambe incrociate, per non mostrare le suole delle scarpe, il fucile stretto fra le braccia.
Indossavano tutti l'abayah, la pesante, tradizionale mantella che riparava dal caldo dell'estate e dal freddo dell'inverno.
Un po' più lontano, un gruppo di donne preparava il caffè.
"Siamo noi i soli Arab!" ripeterono tutti in coro.
"Il principe Harith è il più degno degli Arab! - Rashid riprese la parola; senza fretta. Senza il bisogno di spenderne più del necessario. Calmo e misurato. Allentando la stretta della dialettica oppure serrandola - Da quando è alla guida delle Tribù del Deserto, a nessuno è mancata pace e abbondanza e perché la pace e l'abbondanza non vengano a mancare, occorre che vi sia unità e rispetto fra le tribù e nessuno meglio del principe Harith dei Kinda, possiede la capacità di guidare gli Arab!"
Il lord inglese aveva seguito in silenzio le parole dell'amico. Sapeva bene che i beduini avevano in odio ogni forma di gerarchia e l'unica autorità riconosciuta e scelta... soprattutto scelta, era quella del rais ed egli conosceva bene la natura del suo amico rais.
Rashid era l'uomo giusto per quella gente: combattente nato ma con il talento della sopravvivenza e non della vocazione al sacrificio o dell'ultimo sangue.
Di lui non conosceva tutta la storia ma sapeva che aveva dovuto assicurarsi l'esistenza e la sopravvivenza con la tenacia e qualche volta anche la violenza ed era certo che l'avrebbe fatto anche per il bene della sua gente: i Kinda. I KInda, amava ripetergli Ibrahim con un certo orgoglio, non conoscevano l'umiliazione del tributo; i Kinda, diceva, orgogliosi e fieri, mai avrebbero chiesto protezione in cambio di mercede.
Ne era convinto, sir Rchaerd. Conosceva bene il principe Harith e la sua gente e se doveva esprimersi su di loro non avrebbe esitato ad affermare che primeggiavano per valore, si dimostravano leali nelle alleanz e tenaci nelle avversità.
Rashid tacque e nella breve pausa che seguì, ci fu il silenzio più assoluto, poi le ovazioni:
"Sia gloria al principe Harith!"
"Allah è con lui!"
"Sia egli nostro capo e guida."
Infervorato dalle parole e dalla dialettica del grande predone, tutti riconoscevano Harith come capo indiscusso.
Chiamato in causa, il giovane sceicco di Sahab posò la tazza di caffè appena svuotata, balzò in piedi e con gesto teatrale si liberò della kefiah, poi brandì il pugnale e lo sollevò in alto; forte, atletico, i muscoli guizzarono, potenti e ben distribuiti, sotto il mantello, che ricadde sulle atletiche, candido e in contrasto con il colorito bruno della pelle del torso nudo.
Suggestiva, la possente figura, stagliata contro l'orizzonte arido e di un intenso giallo-ocra.
"A capo scoperto! - scandì voce vibrante e solenne lo sceicco dei Kinda - Onde mi possiate guardare in faccia. Avete riconosciuto in me il vostro capo ed io riconosco la libertà di ognuno di voi, perché, prima di tutto, l'Arab è un uomo libero..."
E sapeva bene quel che diceva, il giovane sceicco Kinda: gli uomini di Sahab, orgogliosi ed intolleranti al comando, erano, però, capaci di scegliersi il capo giusto.
Guardandolo, sir Richard pensò agli antichi generali romani ed a quello che uno storico antico di cui non ricordava il nome, aveva detto in proposito: i soldati romani sapevano scegliersi un capo, essergli fedele ed ubbidirgli ciecamente.
"Tacito... si chiamava Tacito... - esclamò; Ibrahim al suo fianco si girò a guardarlo - Nulla! Nulla! Sto pensando a voce alta." disse con un sorriso e tornò a guardare in direzione dell'amico Harith.
"Dici bene, Harith ibn Assan! - una voce gli scrosciò alle spalle improvvisa e dagli acceti sgradevoli - Ogni Arab ama la propria libertà ed è per questo che io, figlio del deserto, non riconosco in te il capo appena acclamato."
Harith si girò di scatto e si trovò di fronte la faccia baldanzosa e provocatoria di Ben Hassad, figlio di Feysal, il defunto sceicco dei Kaza.
Sir Richard balzò in piedi e lo stesso fece Ibrahim e fu contro di loro che si appuntò l'indice accusatore del beduino.
"Questa mano - scandì con voce tagliente come la lama del pugnale che brandiva con la destra - esige giustizia e vendetta."
"Come osi interrompere questa riunione e lanciare accuse?"
la voce severa di Rashid fece convergere su di sé ogni sguardo, compreso quello dell'accusatore, che dopo un lieve esitazione proseguì:
"Ti chiamano tutti il "Leone di Ar-Rimal" e sei da tutti temuto ed io dovrei temerti, Rashid, rais dei Kinda, ma il dolore per la morte di mio padre, per mano di questo assassino, - Il giovane Ben puntò lindice accusatore in direzione di Ibrahim - ha cancellato ogni paura dal mio cuore... - una pausa, riempita da un respiro pesante e affannato, nel silenzio più totale, poi riprese - Sono venuto a reclamare giustizia presso gli Anziani della tribù dei Kinda, ma il loro rais mi ha rimandato al Gran Consiglio delle Tribù... E qui, io sono ed esigo il sangue dell'assassino in cambio di quello di mio padre, sceicco dei Kaza."
Il lord inglese lasciò il suo posto ed avanzò di un passo o due. Aveva avuto già avuto occasione, durante gli anni in cui aveva assolto al compito di Assistente di carovane per la "Compagnia d'Arabia" a nome della Graziosa Maestà, la regina Vittoria, di verificare la natura infida dei Kaza, sleali nelle alleanze e sempre pronti al tradimento. Gente perennemente in condizione di dipendenza da altre tribù, pronta all'ossequio, ma atta al tradimento.
"Falso e spergiuro! - irruppe, nell'empito di un furore incontenibile ed estraneo all'abituale flemma, attirando su di sé la generale attenzione - Tu sei il solo responsabile della morte di tuo padre... Tu soltanto!" scandì con durezza.
Un brusio si levò sull'assemblea.
"Mi accusi della morte di tuo padre ben sapendo che si tratta di una spregevole menzogna, Ben Hassad. - anche Ibrahim intervenne nel drammatico battibecco - Tu mi hai aggredito con il tuo pugnale, ospite sotto la tenda di tuo padre, lo sceicco Feysal... Sai bene, Ben Hassad, che quando tuo padre ha tentato di dividerci, è caduto sulla mia arma... Io ho un testimone." aggiunse, indicando il lord inglese.
"Ho un testimone anch'io! - replicò Ben, poi batté le mani e fece un nome - Nazir!".
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/4832385.jpg?330)
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Un uomo si fece avanti, un uomo sui quaranta anni. Non alto, smilzo, il mantello color tabacco un po' consunto, un ricurvo ganbiya infilato nella cintura; l'accompagnavano due giovani, certamente appartenenti alla sua gente.
L'uomo prese subito la parola.
"Chiamo Allah a testimone - cominciò, quasi in sordina - su quanto i miei occhi hanno veduto e le mie orecchio hanno udito... - s'interruppe, per lanciare un'occhiata tutt'intorno, poi riprese, un po' più baldanzosamente - In verità, ho visto quest'uomo - indicò Ibrahim - entrare sotto la tenda di Feysal, lo sceicco dei Kaza e minacciarlo."
"Tu menti! - l'apostrofò Rashid - Quali minacce hai udito dalla bocca di Ibrahim?"
"Egli diceva: se non paghi il tributo, ti sgozzo all'istante."
"Ma non è vero niente! Non è vero niente!" intervenne sdegnato sir Richard, ma l'altro continuò:
"Ho sentito che diceva a Feysal: tieniti pure tua figlia Kassida, perché io ho già la mia promessa e siccome Feysal insisteva che avrebbe pagato il tributo solo se avesse riparato al disonore fatto alla sua famiglia, egli ha tirato fuori il pugnale e l'ha colpito... Solo per intimorirlo, ha detto a suo figlio Ben Hassad, quando è accorso... ma Feysal era già morto."
Ibrahim era furibondo.
"Spergiuro! - urlò - Che cosa hai ottenuto in cambio di queste menzogne? Un Qaathn!.. Phua! - fece con disprezzo - Spergiuri ed ignavi! " aggiunse accompagnando le parole con un moto d'ira repressa.
Neppure sir Richard riuscì a frenare la propria collera e non seppe trattenere uno scatto d'ira. Conosceva bene la gente di quella tribù: ignavi, come aveva detto l'amico Ibrahim e feroci. I Qaathn non possedevano nulla all'infuori della propria persona: né beni, né animali. Non possedevano neppure tende, poiché il posto sotto cui si riparavano erano teloni retti da pali infissi nel suolo. Vivevano di razzie e di espedienti e la pace che lo sceicco dei Kinda e lo sceicco degli Aws, tanto faticosamente erano riusciti ad assicurare su tutto il territorio, a loro risultava sgradita e snervante.
L'uomo fece l'atto di replicare, ma qualcuno prese la parola al suo posto: uno degli anziani del Gran Consiglio.
"Il Giudizio di Allah!" propose, fissandolo in faccia con espressione tra il sospetto e la curiosità: insolita, nelle riunioni e negli incontri, la presenza di gente come i Qaathn, pareva pensare, gente priva di qualunque ideale od obiettivo.
Nazir impallidì.
"Dico la verità. - replicò - Perché sottopormi a Giudizio?"
"Hai paura?" insinuò il vecchio.
"Non sono colpevole... perché dovrei aver paura?" tornò a replicare l'altro con un fatuo sorriso sulle labbra.
"Allora vorrai sottoporti alla prova!"
"Ma perché? - il sorriso cominciava a trasformarsi in smorfia - Perché se dico il vero?"
"Per conoscere anche noi la verità!"
"Il Giudizio di Allah! - convenne Rashid - Decidano gli Anziani."
"Con la lingua ha sfidato l'Onnipotente, con la lingua provi la sua innocenza!" declamò l'anziano e Nazir divenne cereo: quella della lingua era una delle più tremende prove a cui si ricorreva per accertare la colpevolezza o l'innocenza di un accusato.
Si arroventava una lama e la si passava sulla lingua; se dopo il trattamento il malcapitato riusciva ancora a parlare, la sua innocenza era provata.
L'anziano porse il proprio pugnale ad un beduino ed accennò alla brace su cui le donne stava scaldando il caffè.
"Quale uso intendete fare con quel pugnale?" interloquì il lord inglese facendosi avanti.
"Toccherà la lingua di quello spergiuro - spiegò Harith con semplicità feroce - e rivelerà se ha detto il vero oppure ha mentito."
"Ma è una barbarie! - inorridì il lord - Non potete fargli una cosa così orribile!"
"Amico mio! Lascia che si punisca il colpevole come il Corano suggerisce." replicò lo sceicco.
"La vita val cento cammelli!" pensò l'inglese mentre seguiva lo stridore della lama sulla brace.
Così comandava il Corano e il rispetto delle leggi coraniche erano il rispetto delle tradizioni, pensava.
La tradizione era importante e rassicurante: era il rispetto del passato e il passato era tutto ciò che rimaneva a quella gente. Ecco perché la nahda, come lo chiamavano i suoi amici Rashid ed Harith, il Progetto di Rinascita, appariva così grandioso ai suoi occhi.
Gli pareva che da secoli quel mondo avesse vissuto ripiegato su se stesso con fatalismo e rassegnazione, senza capacità alcuna di ribellione. Ogni tentativo, pochi in verità a suo giudizio, era fallito in sul nascere perché specchio di personali ambizioni o rivendicazioni. Nulla di più.
Come era accaduto al padre di Rashid, aveva saputo.
Degrado sociale, culturale e politica, torpore delle coscienze, impedivano di vedere l'insaziabilità dei Sultani, le miserie del popolo: tutto normale per quella gente, si ripeteva di continuo. Per questo apprezzava ancora più l'anarchico anelito d libertà dei suoi due amici, che solo il deserto poteva concedere loro.
"Come volete! - capitolò, ma subito aggiunse, in tono fermo ed irremovibile - Io non mi sottoporrò mai a un tale giudizio. Dovrete credermi sulla parola oppure no!"
"Ti crediamo, si! - interloquì Rashid - Ecco perché desideriamo smascherare questo spergiuro."
"E' un modo disumano e inutile. - replicò scettico e contrario l'inglese - Innocente oppure no, quella lama gli essiccherà in ogni caso la lingua."
"Lo sentite? - urlò Ben Hassad, l'uomo che reclamava il diritto di vendetta - E' un cane infedele che non crede nell'infallibilità di Allah. Lo avete udito? Egli rifiuta il giudizio divino perchè ha paura... Nazir, invece, non teme... Vero, Nazir?"
Il malcapitato Nazir, però, fissava terrorizzato la lama arroventata che un uomo aveva appena staccato dal fuoco e con cui stava avvicinandosi; farfugliò qualcosa che voleva essere un assenso, ma quando vide l'uomo accostare alla sua faccia il pugnale incandescente, si mise ad urlare:
"No! No!... Ho mentito... - si ritrasse terrorizzato, avvicinandosi all'uomo che brandiva la lama arroventata e tentando di portargliela via - Lui mi ha promesso un cavallo se avessi detto quanto ho detto... - e l'indice della mano destra, puntava contro il figlio del morto Feysal, sceicco dei Kaza - Ho mentito... ho mentito..."
"Lo sapevo! - esclamò Rashid con sul bel volto una espressione di disgusto represso - Sei tu l'offeso, Ibrahim ed anche il nostro ospite, il lord inglese, sir Richard, lo è! - disse rivolto ai due amici, poi sentenziò - A voi due la decisione: che cosa intendete fare di questi due spergiuri?"
"Lasciateli andare. - disse l'inglese - Lasciate andare questi miserabili che soltanto la cupidigia ha reso audaci. Ci basta far sapere che non siamo assassini né mentitori... vero Ibrahim?"
Ibrahim assentì col capo e Rashid proseguì:
"Che la volontà degli offesi sia rispettata. - esclamò, poi, rivolto a Ben - Torna dalla tua gente e aspetta che il rais dei Kinda venga a prendere personalmente il tributo che la tribù dei Kaza deve allo sceicco dei Kinda... a meno che... - il grande predone fece convergere sulla figura di Amud, il figlio dello sceicco degli Aws - ... a meno che è ad altri che..."
Amud, il figlio dello sceicco degli Aws, non gli fece terminare la frase.
"La lealtà e l'onore sono alla base di ogni buona convivenza - disse - Quando si è perennemente alleati con qualcuno contro qualcun altro solo con la prospettiva del bottino delle razzie, si finisce per diventare ingordi e l'ingordigia è nemico del vero Arab!"
In fede sua, il figlio dello sceicco degli Aws, riconosceva che Ibrahim, cugino dello sceicco dei Kinda, non aveva proprio nulla da farsi perdonare, se non il fatto di aver ispirato amore in sua sorella Fatima e... tutto sommato, questa non era una cosa cattiva.
"Sagge parole! - sorrise soddisfatto il grande predone mentre guardava Ben Hassad allontanarsi in direzione del pozzo; nel cielo terso, un gruppo di nuvole viaggiavano veloci come falchi - La sposa di Ibrahim aspetta ancora la visita dei suoi parenti." continuò, dirottando lo sguardo verso il giovane Amud e mentre questi annuiva, Ben minacciava:
"Tu sei l'uomo più temuto del deserto, Rashid dei Kinda, ma... - proferì a denti stretti e con sguardo appannato da vivo rancore - ... neanche immagini quanto io possa nuocerti." e con queste parole sibilline, il giovane montò a cavallo e si allontanò al gran galoppo.
Un uomo si fece avanti, un uomo sui quaranta anni. Non alto, smilzo, il mantello color tabacco un po' consunto, un ricurvo ganbiya infilato nella cintura; l'accompagnavano due giovani, certamente appartenenti alla sua gente.
L'uomo prese subito la parola.
"Chiamo Allah a testimone - cominciò, quasi in sordina - su quanto i miei occhi hanno veduto e le mie orecchio hanno udito... - s'interruppe, per lanciare un'occhiata tutt'intorno, poi riprese, un po' più baldanzosamente - In verità, ho visto quest'uomo - indicò Ibrahim - entrare sotto la tenda di Feysal, lo sceicco dei Kaza e minacciarlo."
"Tu menti! - l'apostrofò Rashid - Quali minacce hai udito dalla bocca di Ibrahim?"
"Egli diceva: se non paghi il tributo, ti sgozzo all'istante."
"Ma non è vero niente! Non è vero niente!" intervenne sdegnato sir Richard, ma l'altro continuò:
"Ho sentito che diceva a Feysal: tieniti pure tua figlia Kassida, perché io ho già la mia promessa e siccome Feysal insisteva che avrebbe pagato il tributo solo se avesse riparato al disonore fatto alla sua famiglia, egli ha tirato fuori il pugnale e l'ha colpito... Solo per intimorirlo, ha detto a suo figlio Ben Hassad, quando è accorso... ma Feysal era già morto."
Ibrahim era furibondo.
"Spergiuro! - urlò - Che cosa hai ottenuto in cambio di queste menzogne? Un Qaathn!.. Phua! - fece con disprezzo - Spergiuri ed ignavi! " aggiunse accompagnando le parole con un moto d'ira repressa.
Neppure sir Richard riuscì a frenare la propria collera e non seppe trattenere uno scatto d'ira. Conosceva bene la gente di quella tribù: ignavi, come aveva detto l'amico Ibrahim e feroci. I Qaathn non possedevano nulla all'infuori della propria persona: né beni, né animali. Non possedevano neppure tende, poiché il posto sotto cui si riparavano erano teloni retti da pali infissi nel suolo. Vivevano di razzie e di espedienti e la pace che lo sceicco dei Kinda e lo sceicco degli Aws, tanto faticosamente erano riusciti ad assicurare su tutto il territorio, a loro risultava sgradita e snervante.
L'uomo fece l'atto di replicare, ma qualcuno prese la parola al suo posto: uno degli anziani del Gran Consiglio.
"Il Giudizio di Allah!" propose, fissandolo in faccia con espressione tra il sospetto e la curiosità: insolita, nelle riunioni e negli incontri, la presenza di gente come i Qaathn, pareva pensare, gente priva di qualunque ideale od obiettivo.
Nazir impallidì.
"Dico la verità. - replicò - Perché sottopormi a Giudizio?"
"Hai paura?" insinuò il vecchio.
"Non sono colpevole... perché dovrei aver paura?" tornò a replicare l'altro con un fatuo sorriso sulle labbra.
"Allora vorrai sottoporti alla prova!"
"Ma perché? - il sorriso cominciava a trasformarsi in smorfia - Perché se dico il vero?"
"Per conoscere anche noi la verità!"
"Il Giudizio di Allah! - convenne Rashid - Decidano gli Anziani."
"Con la lingua ha sfidato l'Onnipotente, con la lingua provi la sua innocenza!" declamò l'anziano e Nazir divenne cereo: quella della lingua era una delle più tremende prove a cui si ricorreva per accertare la colpevolezza o l'innocenza di un accusato.
Si arroventava una lama e la si passava sulla lingua; se dopo il trattamento il malcapitato riusciva ancora a parlare, la sua innocenza era provata.
L'anziano porse il proprio pugnale ad un beduino ed accennò alla brace su cui le donne stava scaldando il caffè.
"Quale uso intendete fare con quel pugnale?" interloquì il lord inglese facendosi avanti.
"Toccherà la lingua di quello spergiuro - spiegò Harith con semplicità feroce - e rivelerà se ha detto il vero oppure ha mentito."
"Ma è una barbarie! - inorridì il lord - Non potete fargli una cosa così orribile!"
"Amico mio! Lascia che si punisca il colpevole come il Corano suggerisce." replicò lo sceicco.
"La vita val cento cammelli!" pensò l'inglese mentre seguiva lo stridore della lama sulla brace.
Così comandava il Corano e il rispetto delle leggi coraniche erano il rispetto delle tradizioni, pensava.
La tradizione era importante e rassicurante: era il rispetto del passato e il passato era tutto ciò che rimaneva a quella gente. Ecco perché la nahda, come lo chiamavano i suoi amici Rashid ed Harith, il Progetto di Rinascita, appariva così grandioso ai suoi occhi.
Gli pareva che da secoli quel mondo avesse vissuto ripiegato su se stesso con fatalismo e rassegnazione, senza capacità alcuna di ribellione. Ogni tentativo, pochi in verità a suo giudizio, era fallito in sul nascere perché specchio di personali ambizioni o rivendicazioni. Nulla di più.
Come era accaduto al padre di Rashid, aveva saputo.
Degrado sociale, culturale e politica, torpore delle coscienze, impedivano di vedere l'insaziabilità dei Sultani, le miserie del popolo: tutto normale per quella gente, si ripeteva di continuo. Per questo apprezzava ancora più l'anarchico anelito d libertà dei suoi due amici, che solo il deserto poteva concedere loro.
"Come volete! - capitolò, ma subito aggiunse, in tono fermo ed irremovibile - Io non mi sottoporrò mai a un tale giudizio. Dovrete credermi sulla parola oppure no!"
"Ti crediamo, si! - interloquì Rashid - Ecco perché desideriamo smascherare questo spergiuro."
"E' un modo disumano e inutile. - replicò scettico e contrario l'inglese - Innocente oppure no, quella lama gli essiccherà in ogni caso la lingua."
"Lo sentite? - urlò Ben Hassad, l'uomo che reclamava il diritto di vendetta - E' un cane infedele che non crede nell'infallibilità di Allah. Lo avete udito? Egli rifiuta il giudizio divino perchè ha paura... Nazir, invece, non teme... Vero, Nazir?"
Il malcapitato Nazir, però, fissava terrorizzato la lama arroventata che un uomo aveva appena staccato dal fuoco e con cui stava avvicinandosi; farfugliò qualcosa che voleva essere un assenso, ma quando vide l'uomo accostare alla sua faccia il pugnale incandescente, si mise ad urlare:
"No! No!... Ho mentito... - si ritrasse terrorizzato, avvicinandosi all'uomo che brandiva la lama arroventata e tentando di portargliela via - Lui mi ha promesso un cavallo se avessi detto quanto ho detto... - e l'indice della mano destra, puntava contro il figlio del morto Feysal, sceicco dei Kaza - Ho mentito... ho mentito..."
"Lo sapevo! - esclamò Rashid con sul bel volto una espressione di disgusto represso - Sei tu l'offeso, Ibrahim ed anche il nostro ospite, il lord inglese, sir Richard, lo è! - disse rivolto ai due amici, poi sentenziò - A voi due la decisione: che cosa intendete fare di questi due spergiuri?"
"Lasciateli andare. - disse l'inglese - Lasciate andare questi miserabili che soltanto la cupidigia ha reso audaci. Ci basta far sapere che non siamo assassini né mentitori... vero Ibrahim?"
Ibrahim assentì col capo e Rashid proseguì:
"Che la volontà degli offesi sia rispettata. - esclamò, poi, rivolto a Ben - Torna dalla tua gente e aspetta che il rais dei Kinda venga a prendere personalmente il tributo che la tribù dei Kaza deve allo sceicco dei Kinda... a meno che... - il grande predone fece convergere sulla figura di Amud, il figlio dello sceicco degli Aws - ... a meno che è ad altri che..."
Amud, il figlio dello sceicco degli Aws, non gli fece terminare la frase.
"La lealtà e l'onore sono alla base di ogni buona convivenza - disse - Quando si è perennemente alleati con qualcuno contro qualcun altro solo con la prospettiva del bottino delle razzie, si finisce per diventare ingordi e l'ingordigia è nemico del vero Arab!"
In fede sua, il figlio dello sceicco degli Aws, riconosceva che Ibrahim, cugino dello sceicco dei Kinda, non aveva proprio nulla da farsi perdonare, se non il fatto di aver ispirato amore in sua sorella Fatima e... tutto sommato, questa non era una cosa cattiva.
"Sagge parole! - sorrise soddisfatto il grande predone mentre guardava Ben Hassad allontanarsi in direzione del pozzo; nel cielo terso, un gruppo di nuvole viaggiavano veloci come falchi - La sposa di Ibrahim aspetta ancora la visita dei suoi parenti." continuò, dirottando lo sguardo verso il giovane Amud e mentre questi annuiva, Ben minacciava:
"Tu sei l'uomo più temuto del deserto, Rashid dei Kinda, ma... - proferì a denti stretti e con sguardo appannato da vivo rancore - ... neanche immagini quanto io possa nuocerti." e con queste parole sibilline, il giovane montò a cavallo e si allontanò al gran galoppo.
Capitolo XI - Nozze di sangue
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Le nozze dello sceicco Harith con l'amatissima Letizia fu un evento che coinvolse, negli ultimi tempi, le donne dell'intera tribù.
Mancavano solo sette giorni all'avvenimento e i preparativi fervevano incessanti.
Erano tante le cose da fare e stabilire, perché Harith voleva che tutto fosse fatto nel rispetto delle tradizioni, ma anche dei desideri e delle aspettative della sposa, la quale veniva da un Paese lontano e con altre tradizioni.
In ciò, fondamentale fu l'apporto di sir Richard.
Il lord inglese si autonominò waly, ossia Tutore, di Letizia e nel ricoprire tale delicatissimo ruolo, si adoprò per curare al meglio gli interessi della sua "pupilla". A cominciare dalla dote da versare alla sposa, in favore della quale, in verità, lo sposo si mostrò enormemente generoso: abiti, gioielli, denaro, trucchi, cavalli ed altro ancora, che presto avrebbero fatto di Letizia una ricca ereditiera.
Il giorno atteso, alfine, giunse: "Il giorno della Sposa", che ebbe inizio con le prime luci dell'alba.
Le donne della tribù erano tutte con lei nel piano terra della residenza che il lord inglese aveva stabilito per sé nel Fortino ad est dell'oasi. Indossavano tutte gli abiti più belli e i gioielli più luccicanti e preziosi e le più giovani avevano portato alud e tandir, sulle cui note altre giovanissime si muovevano con grazia e un pizzico di malizia.
Letizia comparve avvolta in un ampio mantello bianco e tutte le corsero incontro, la circondarono, l'abbracciarono, la baciarono e poi tornarono ai loro posti a cantare, suonare, danzare e consumare dolcetti, pasticcini e datteri, accompagnando la dolce abbuffata con succhi di frutta e di melone che Alina, la madre di Ibrahim, continuava a portare, in splendide caraffe d'argento disposte su grossi vassoi. Avevano tutte preso posto su cuscini, tappeti e stuoie ed apparivano felici e soddisfatte.
Accanto alla sposa rimasero solamente in tre e la liberarono subito del mantello poi la fecero sedere su uno sgabello, non prima, però, di averla squadrata da capo a piedi ed espresso la loro approvazione, con gesti e commenti, circa i chili in più che avrebbe dovuto mettersi addosso per l'occasione, nelle ultime settimane.
"Bene, Letizia!... Bene!" finì per approvare una di loro, sciogliendole i lunghi capelli ed affidando il mantello ad Agar, l'ultimogenita di Alina; in verità, l'ansia dell'attesa aveva reso la figura della sposa morbidamente flessuosa e delicata.
Era la prima volta che qualcuno violava la sua intimità e il disagio della sposa era tutto rannicchiato nello sguardo sfuggente, nel rossore che le copriva il bellissimo volto e nel tentativo di sottrarsi agli sguardi indulgenti e divertiti delle donne.
"Sei bellissima! - le dicevano - I tuoi fianchi sono morbidi e tondi, le gambe sono slanciate e perfette e i seni... oh, i seni sono generosi e di bella forma... Faranno la gioia e la delizia del nostro sceicco.. ah.ah..." sorrideva affettuosamente la vecchia Alina.
Letizia non parlava e la lama del rasoio, che scivolava leggera sul corpo unto d'olio profumato, la distrasse da ogni riflessione.
Dopo la depilazione seguì il massaggio, cui la sposa si sottopose con vero piacere, sempre tra canti e suoni; infine la inondarono di profumi e la truccarono con l'henné; le furono laccate anche le unghia di mani e piedi.
Letizia lasciò fare, incuriosita da tutti quei segni che le coprivano le mani e di cui Alina le spiegava il significato e i simboli, infine, le donne passarono a frizionarle i capelli e tutte erano erano abbagliate dal loro splendore, dal contatto serico e dal loro profumo e delicatezza.
"Ti sei messa in testa una miniera d'oro." continuavano a dirle, ma, intanto, la giornata era, praticamente, quasi giunta alla fine e i vassoi erano quasi interamente svuotati e così il contenuto di brocche e teiere.
La sposa era finalmente pronta.
Due donne sollevarono i lembi dell'apertura della tenda e la figura della sposa si stagliò nel vano.
Era bellissima e misteriosa.
La veste bianca di lucente satin, stretta in vita da una cintura dorata, corpetto aderente e tempestato di perle e preziosi, era di chiaro stile vittoriano. Era stato il lord che l'aveva fatta arrivare direttamente dal suo Paese. Sotto l'ampio mantello senza maniche, la gonna era ampia ed impreziosita di splendidi arabeschi e ricami in oro. Il velo, trasparentissimo, era anch'esso tempestato di preziosi; le copriva il capo, scendendo fin sulle spalle, ma non riusciva a nascondere i bagliori degli splendidi capelli biondi che la principessa Jasmine aveva fatto cospargere di polvere dorata. Solo gli occhi, azzurro-cielo, lucidi e sapientemente truccati, erano scoperti: lo jasmac di sottilissima, trasparentissima mussola che le copriva il volto, ne accresceva fascino e mistero.
Un'ovazione accolse il suo apparire e tutti le si fecero incontro. Fu sir Richard, però, il Tutore della sposa, a farsi strada fra gli altri e raggiungerla. Reggeva le briglie di uno splendido cavallo di razza araba: bianco e lucido pelo raso, criniera intrecciata con nodi e passamanerie, preziosi finimenti ricchi e complessi. Una magnifica bestia. Era il cavallo di Harith.
Letizia fu fatta montare in sella e il corteo si mosse, preceduto da canti e suoni.
La folla festante l'accompagnò durante tutto il tragitto e il sole, giù basso nel cielo, si accomiatò languido: gli ultimi sprazzi di luce resistevano ancora, ostinatamente aggrappati alla sommità delle tende e delle palma piumate.
Finalmente la sposa raggiunse la casa dello sposo.
Consapevoli che l'attesa sarebbe stata lunga, amici e parenti dello sposo, tutti armati di fucili e carabine, avevano ingannato l'attesa in ogni modo: sparando, cavalcando e lanciando grida. Akim aveva raccolto un aquilotto fuori del nido e si stava occupando di lui quando la sposa arrivò, accolta da chiassose e festose scariche di fucili.
C'era Rashid ad attendere la sposa davanti alla tenda dello sposo, in sua compagnia.
Insieme i due giovani si accostarono al cavallo ed attesero che la sposa, aiutata dal Tutore, scendesse di sella.
Emozionato, ritto in piedi, lo sposo si mosse e andò incontro alla sposa; appena le fu accanto, l'avvolse in uno sguardo amoroso, poi recitò la frase di rito, per tre volte, come voleva la tradizione.
"Io Harith, prendo te, Letizia, per sposa!"
Letizia sollevò su di lui lo sguardo radioso: erano finalmente marito e moglie.
Anche il corteo, che appena raggiunta la tenda dello sposo aveva smesso il suo giubilo, per seguire le parole dello sposo, tornò a suonare ed a cantare: solo ripetendo per la terza volta la formula, i due giovani diventavano veramente marito e moglie. Se lo sposo non l'avesse fatto, la sposa sarebbe tornata alla sua casa.
Seduta su una sella ornata di fiori, ghirlande e preziose bardature, la sposa si accinse ad assistere allo svolgmento della festa.
Intorno a lei continuarono i canti e le danze delle donne e le fucilate e le acrobazie con le armi degli uomini e ogni tanto, il ruggito della pantera di Zaira, al guinzaglio della padrona, riempiva l'aria già satura di eccittazione.
C'era la principessa Jasmine con il suo liuto e c'era Rashid con il suo fucile e c'era Selima, ostaggio di una noia che tentava di affogare in lunghi sbadigli.
Le donne stesero le stuoie su cui posare il pranzo di nozze: cus-cus, frutta e carni allo spiedo, datteri e una quantità infinita di dolci.
Jasmine era insieme alle donne; la spalla non era più fasciata ed aveva lasciato il liuto; le ombre della sera, intanto, si facevano sempre più lunghe. Canti e fucili tacquero.
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/3083032.jpg?334)
Le donne raccoglievano in ciotoline cibo da offrire ai loro uomini.
Jasmine ne prese per Rashid: datteri e carne, un dolce messaggio carnale!
In piedi con la sua ciotola in mano, la principessa cercò nella marea di volti maschili, festanti e trasfigurati dall'eccitazione, quello di Rashid. L'aria fresca della sera calata sul deserto le aveva colorito le guance e acceso gli occhi.
"Chi andrà nel deserto non sarà più lo stesso." diceva un proverbio e lei si sentiva davvero molto diversa dalla pupilla del Sultano di Doha e desiderava soltanto una cosa: l'amore di Rashid.
Lo vide, da lontano, toccato dalla luce struggente dell'indolente momento del tramonto. Il sole era sceso, ma con il favore del riverbero del crepuscolo, si poteva ancora vedere chiaramente ogni cosa; presto, però, il deserto sarebbe stato iluminato dalla luna ed allora ogni ombra si sarebbe trasformata in mistero e suggestione.
Furono accesi tripodi, fiaccole e torce e le fiamme gettavano luci sulle ombre, rendendo ogni cosa surreale e magica.
Jasmine guardava la figura di Rashid immersa in tanta suggestione, affascinata e trepidante d'amore. Giovane, bello, irruente, l'aitante, indomita giovinezza, l'aspetto fiero da antico guerriero: di quelli che consumano l'inchiostro degli scrittori e il colore dei pittori.
Anche lui la guardava da lontano; come in attesa.
Lei avanzò, attirata dal richiamo di quello sguardo, come l'ape è attratta dal fiore; avanzò con la sua ciotola in mano e con lo sguardo di velluto carico di promesse, la pelle vibrante d'amore.
Ma ecco, proprio al culmine di tanta eccitazione, il suo spirito si trasformò in un campo di macerie; ecco l'improvvisa necessità di porre freno a tanta emozione: Selima aveva raggiunto Rashid e gli stava offrendo lo stesso cibo.
Jasmine rimase a guardarli mentre lei gli accostava alle labbra un boccone di carne con lo slancio di un gesto di passione; rimase a guardarli mentre lui l'accettava con un sorriso. Con gradimento.
Una fitta al cuore le dilatò le pupille: batteva così forte, che dovette toccarsi il petto per placarlo; sul bel volto comparvero smarrimento e sgomento e lasciò passare solo qualche attimo prima di voltare le spalle ed allontanarsi.
Si fermò soltanto quando sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e si accorse di piangere.
"A chi è destinato quel cibo?"
La voce di Rashid, tenera e gioiosa, la fece trasalire; era di spalle e lei non poteva vedere il suo volto e l'eccitazione dl suo sguardo fisso su di lei.
"A nessuno!" rispose e ripeté quel gesto che già tante volte lui le aveva impedito di fare: senza voltarsi chinò il capo e si calò il velo sul volto.
"Sai chi era Nessuno? - lui si chinò a sfiorarle la nuca con labbra - Era un grande guerriero di cui parlava sempre il professor Marco... si chiamava Ulisse, in realtà..." proseguì, facendole fare una piroeetta e attirando a sé la sua figuretta fluttuante di veli.
Rashid la strinse a sé quasi con impeto. Lei si irrigidì, ma non lo respinse. Lui la liberò del velo, poi serrò la stretta e si chinò a baciarla sulla guancia. Lei non reagì. Lui continuò e con la bocca cercò quella dolcissima curva tra la nuca e collo e vi affondò le labbra.
"Vieni." disse infine, allentando appena la stretta e guidandola in un posto appartato, dove risate, musica e canti, giungevano solo in sordina. Soli. Lontani dal mondo.
Pian piano Rashid scivolò a terra con lei, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto della ciotola, poi le sedette di fianco e guidò la mano di lei, che scomparve in quella di lui forte e grande, a rovistare all'interno della ciotola in cerca di un pezzo di carne che si portò alle bocca.
"Non sei ancora sazio? - fece lei con leggera, amara ironia, lasciandolo fare - Non ti é bastato il cibo che ti ha offerto Selima?"
"Ah.ah.ah..." scoppiò in una bella risata Rashid, con la bocca ancora piena, poi tornò a ripescare nella ciotola in cerca di un altro pezzo di carne che portò alla bocca di lei.
Si guardarono negli occhi, mentre mangiavano, e si scambiarono quello che era un messaggio di desiderio carnale.
Lui non staccava gli occhi da quelli di lei, sfavillanti del chiarore lunare.
"Oh, Jasmine...." proruppe infine, lasciando andare la ciotola, poi le circondò la vita con un braccio e l'attirò contro il proprio fianco e nell'incavo delle braccia. La imprigionò con tenerezza e le sciolse i capelli, per costringerla ad alzare la testa e lasciarsi baciare sulle palpebre abbassate, sulle guance e agli angoli della bocca. Passò poi ai lobi delle orecchie e scivolò sulla nuca per sostare con ghiotta piacere su quella curva morbida e tenera tra collo e nuca.
Jasmine si lasciò sfuggire un gemito di piacere, allungò un braccio per circondargli il collo e restituì il bacio sulla guancia ispida di barba, mentre le dita affondavano tremanti nella massa dei capelli di lui che, con le labbra semiaperte, scendeva giù dalla gola fino al seno.
Un fremito attraversò il corpo di Jasmine che fece l'atto di ritirarsi, felice ma spaventata.
Rashid la trattenne, ma anch'egli era spaventato. Spaventato e come indifeso al cospetto di tanta purezza ed innocenza: avvertiva il rossore delle sue guance contro la pelle eccitata del suo petto nudo sotto il mantello di cui si liberò con uno strattone.
La desiderava come non aveva desiderato mai altro nella vita e sapeva che anche in lei c'era lo stesso desiderio. Aveva colto lo splendore del suo sguardo quando i loro occhi si erano incontrati e quando i finchi si erno avvicinati. Aveva sentito il fremito della sua mano mentre gli accarezzava i capelli e della sua bocca mentre lo baciava, ma non voleva spaventarla.
Lui non era abituato al rifiuto e nessuna delle numerose donne da cui aveva avuto picere, aveva mai mostrato ritrosia, ma Jasmine era diversa e lui la voleva così com'era: quasi irraggiungibile. La voleva perché lei sola sapeva guardarlo in quel modo infinitamente appagante, come se lui soltanto esistesse al mondo; lei sola sapeva guardarlo con negli occhi qualcosa che gli faceva fremere la carne di languore tenero e sensuale; lei sola sapeva accendere il desiderio e farlo irrompere come lo straripare di un wady dopo la pioggia, incontenibile ed irresistibile.
Rashid fermò il proprio impulso, ma continuò a tenerla stretta a sé; le mani tornarono a cercare la pelle nuda della schiena sotto la tunica e la bocca tornò a saziarsi agli angoli di quella di lei, prima di sentirla aprirsi tra le sue, come un fiore appena sbocciato tra le mani.
Lei fremeva e lui le prese una mano e la guidò su di sé per insegnarle a riconoscerlo in ogni parte del corpo e il fremito della sua mano, piccola e delicata, divenne tremore. Lei non l'allontanò. Come un bimbo che esplora l'ignoto, la mano di lei continuava a percorrere il corpo di lui, timida ed eccitata insieme. Con la gioia febbrile di sentire i loro corpi aderire, di assaporare il piacere della bocca di lui premuta sulla sua, esigente e compiacente; di scoprire piaceri sconosciuti e sognati, indomabili... come l'istinto. L'istinto di amare. E lui captò, come in un lampo, in una saetta, il verde balenio dei suoi occhi fissi nei suoi: innocenti, innamorati e quasi supplici. E di colpo capì.
Di colpo Rashid capì. Capì che mille volte lei aveva sognato di fare l'amore con lui e si sentì quasi in colpa. In colpa per quel poco, quel nulla che aveva dato ad altre donne, quasi che quel poco e quel nulla, l'avesse sottratto a lei per darlo ad altre... compreso Selima. Capì la sua gelosia e non riusciva decidersi se farsi vincere dalla tenerezza o dalla passione.
Tornò ad affondare la bocca sulla carne norbida, vellutta ed eccitata tra gola e seno e mentre con un braccio la stringeva così forte da farla gemere, con l'altro si spinse giù, sui fianchi e sul grembo, fino quasi a raggiungere l'inguine.
Le dita di lei, di entrambe le mani, intorno al busto di lui si contrassero fin quasi a conficcargli le dita nella pelle, poi il contatto con la diversità di lui, così stupefacente, così terrificantemente eccitante... Jasmine gli si abbandonò totalmente, ma Rashid allentò la stretta e lo spasmo divenne carezza... tenerezza. Lei quasi se ne stupì.
Le braccia di lui, forti e dure come la roccia, la sollevarono; Rashid se la pose in grembo e i loro volti si sfiorarono e gli sguardi si fusero, l'uno dentro quello dell'altra e Jasmine comprese: comprese che Rashid non l'avrebbe mai trattata come una Favorita e gliene fu grata. Gli posò la testa sulla spalla in felice, fiducioso abbandono.
"Rashid.. io..." sussurrò, trattenendo gli ultimi brandelli di pudore, tutti rannicchiati nei luminosi occhi verdi.
"Lo so, amore mio. Lo so!... Non devi aver paura. Sarò molto delicato, mio tesoro. Non temere..."
Un brivido l'attraversò, mentre le labbra di lui tornavano a cercare la sua bocca e le mani la percorrevano e la spogliavano; un brivido così profondo da darle la sensazione di vacillare. Si accorse di essere distesa al suolo e Rashid era sopra di lei, a torso nudo; vedeva l'aria rilucere al chiarore della luna piena e vedeva il belvolto di lui trasfigurato dalla passione. Chiuse gli occhi e un'altalena di emozioni l'afferrò.
Un'altalena di emozioni afferrò entrambi, un groviglio di sensazioni, un intrecciarsi di respiri ora corti e ora lunghi. I respiri si fecero calmi, placidi. Il capo di lui fremeva contro la spalla di lei, il suo petto ansimava e le gambe erano avvinghiate a quelle di lei; le dita le accarezzavano dolcemente la schiena.
Ancora lui cercò la bocca di lei e quando le labbra la lasciarono per saziarsi altrove, Rashid la vide reclinare il capo dolcemente di lato, completemente abbandonata... completemente arresa... completamente rilassata. Rilassato il grembo... rilassata la pelle intorno all'inguine. Un dolore acuto la fece gemere, subito seguito da una sensazione di sconfinato piacere che la trasportò insieme a lui in una dimensione irreale e magica. Giacquero, infine, storditi, ma appagati e felici.
Rashid continuava ad accarezzarla, sempre stordito di voluttuoso piacere, poi, di colpo la sentì irrigidirsi fra le sue braccia ed esclamare, con voce alterata :
"Quell'uomo! Quell'uomo con Selima... Io lo conosco..."
Rashid quasi se ne stupì ed ebbe un moto di contrarietà.
"Che cosa dici?" proruppe.
"Conosco quell'uomo... l'uomo che è insieme a Selima... Io l'ho visto nei sotterranei del Tempio..."
"Di quale uomo stai parlando?... Chi c'é con Selima?" domandò lui, in tono assente, quasi indifferente, girandosi nella direzione indicata; in tempo per vedere Selima, a qualche decina di metri da loro, chinarsi per raccogliere qualcosa da terra.
"Di quale uomo parli? - tornò a domandare, sempre in tono leggermente contrariato - Non vedo nessun uomo insieme a Selima." fece osservare.
L'uomo era scomparso.
"C'era un uomo con lei, Rashid... e io l'ho visto nei sotterranei del Tempio... Stava parlando con Selima... come se si conoscessero... Devi credermi, Rashid... Devi credermi..."
Rashid la guardò con quella spolendida disinvoltura capace di coprirle di rossore il volto; le fece una tenera carezza e le sussurrò piano all'orecchio:
"Jasmine... Luce degli Occhi miei!... Io amo te e non potrei amare nessun'altra..."
"Ma..." tentò di replicare lei.
"E non temere. - proseguì lui - Non permetterò a nessuno di farti del male. A nessuno!... Hai capito?"
Con tenerezza, Rashid le sollevò il mento, ma lei lo respinse, con una fermezza che non le aveva mai visto prima, poi la vide alzarsi e in silenzi ricomporsi vesti e capelli.
Anche Rashid si alzò; le si avvicinò, protese nuovamente le braccia, ma nuovamente si vide respinto e finalmente lei, che si calava il velo, come per dire che i suoi liberi sguardi la offendevano, fece sentire la sua voce; quasi in un sussurro.
"Tu non mi credi, Rashid ed io non ho altra scelta: fuggire da quella gente oppure nascondersi, non serve... C'è un solo modo per spezzare la catena che mi lega a quella gente sanguinaria..." e con quelle parole lei gli voltò le spalle.
Conscio di averla ferita con le parole e l'atteggiamento, Rashid fece l'atto di seguirla, ma un grido d'allarme, proprio in quel mentre, la voce di Akim, lo fermò.
Corse come gli altri verso il ragazzino, che aveva Kasha, la pantera di Zaira, al guinzaglio.
Kasha stava scavando nel terreno, come faceva quando nascondeva del cibo, ma a riaffiorare dal terreno fu qualcosa d'altro.
"Ma... ma quello è il corsetto di Selima" esclamò Akim, reggendolo con la punta di un lungo ramo.
Rashid l'afferrò; la sua faccia si rabbuiò.
"E' sporco di sangue... - proruppe - Ecco perché Kasha l'ha dissepolto... ha sentito l'odore del sangue! Diceva il vero... La mia Jasmine diceva il vero: è stata Selima ad aggredirla e ferirla al Pozzo del Fico... Devo correre da lei." aggiunse, facendo l'atto di allontanarsi, ma la vocetta scomposta di Agar, l'ultimogenita di Alina, attirò tutti nuovamente verso il Pozzo: steso per terra c'era un uomo ed accanto a lui giaceva il mantello di Jasmine ed era macchiato di sangue.
Rashid si precipitò in quella direzione e si lasciò sfuggire un ruggito di dolore e di rabbia; raccolse da terra il mantello e se lo portò al petto e poi al volto.
Jasmine ne prese per Rashid: datteri e carne, un dolce messaggio carnale!
In piedi con la sua ciotola in mano, la principessa cercò nella marea di volti maschili, festanti e trasfigurati dall'eccitazione, quello di Rashid. L'aria fresca della sera calata sul deserto le aveva colorito le guance e acceso gli occhi.
"Chi andrà nel deserto non sarà più lo stesso." diceva un proverbio e lei si sentiva davvero molto diversa dalla pupilla del Sultano di Doha e desiderava soltanto una cosa: l'amore di Rashid.
Lo vide, da lontano, toccato dalla luce struggente dell'indolente momento del tramonto. Il sole era sceso, ma con il favore del riverbero del crepuscolo, si poteva ancora vedere chiaramente ogni cosa; presto, però, il deserto sarebbe stato iluminato dalla luna ed allora ogni ombra si sarebbe trasformata in mistero e suggestione.
Furono accesi tripodi, fiaccole e torce e le fiamme gettavano luci sulle ombre, rendendo ogni cosa surreale e magica.
Jasmine guardava la figura di Rashid immersa in tanta suggestione, affascinata e trepidante d'amore. Giovane, bello, irruente, l'aitante, indomita giovinezza, l'aspetto fiero da antico guerriero: di quelli che consumano l'inchiostro degli scrittori e il colore dei pittori.
Anche lui la guardava da lontano; come in attesa.
Lei avanzò, attirata dal richiamo di quello sguardo, come l'ape è attratta dal fiore; avanzò con la sua ciotola in mano e con lo sguardo di velluto carico di promesse, la pelle vibrante d'amore.
Ma ecco, proprio al culmine di tanta eccitazione, il suo spirito si trasformò in un campo di macerie; ecco l'improvvisa necessità di porre freno a tanta emozione: Selima aveva raggiunto Rashid e gli stava offrendo lo stesso cibo.
Jasmine rimase a guardarli mentre lei gli accostava alle labbra un boccone di carne con lo slancio di un gesto di passione; rimase a guardarli mentre lui l'accettava con un sorriso. Con gradimento.
Una fitta al cuore le dilatò le pupille: batteva così forte, che dovette toccarsi il petto per placarlo; sul bel volto comparvero smarrimento e sgomento e lasciò passare solo qualche attimo prima di voltare le spalle ed allontanarsi.
Si fermò soltanto quando sentì le lacrime scorrerle lungo le guance e si accorse di piangere.
"A chi è destinato quel cibo?"
La voce di Rashid, tenera e gioiosa, la fece trasalire; era di spalle e lei non poteva vedere il suo volto e l'eccitazione dl suo sguardo fisso su di lei.
"A nessuno!" rispose e ripeté quel gesto che già tante volte lui le aveva impedito di fare: senza voltarsi chinò il capo e si calò il velo sul volto.
"Sai chi era Nessuno? - lui si chinò a sfiorarle la nuca con labbra - Era un grande guerriero di cui parlava sempre il professor Marco... si chiamava Ulisse, in realtà..." proseguì, facendole fare una piroeetta e attirando a sé la sua figuretta fluttuante di veli.
Rashid la strinse a sé quasi con impeto. Lei si irrigidì, ma non lo respinse. Lui la liberò del velo, poi serrò la stretta e si chinò a baciarla sulla guancia. Lei non reagì. Lui continuò e con la bocca cercò quella dolcissima curva tra la nuca e collo e vi affondò le labbra.
"Vieni." disse infine, allentando appena la stretta e guidandola in un posto appartato, dove risate, musica e canti, giungevano solo in sordina. Soli. Lontani dal mondo.
Pian piano Rashid scivolò a terra con lei, facendo attenzione a non rovesciare il contenuto della ciotola, poi le sedette di fianco e guidò la mano di lei, che scomparve in quella di lui forte e grande, a rovistare all'interno della ciotola in cerca di un pezzo di carne che si portò alle bocca.
"Non sei ancora sazio? - fece lei con leggera, amara ironia, lasciandolo fare - Non ti é bastato il cibo che ti ha offerto Selima?"
"Ah.ah.ah..." scoppiò in una bella risata Rashid, con la bocca ancora piena, poi tornò a ripescare nella ciotola in cerca di un altro pezzo di carne che portò alla bocca di lei.
Si guardarono negli occhi, mentre mangiavano, e si scambiarono quello che era un messaggio di desiderio carnale.
Lui non staccava gli occhi da quelli di lei, sfavillanti del chiarore lunare.
"Oh, Jasmine...." proruppe infine, lasciando andare la ciotola, poi le circondò la vita con un braccio e l'attirò contro il proprio fianco e nell'incavo delle braccia. La imprigionò con tenerezza e le sciolse i capelli, per costringerla ad alzare la testa e lasciarsi baciare sulle palpebre abbassate, sulle guance e agli angoli della bocca. Passò poi ai lobi delle orecchie e scivolò sulla nuca per sostare con ghiotta piacere su quella curva morbida e tenera tra collo e nuca.
Jasmine si lasciò sfuggire un gemito di piacere, allungò un braccio per circondargli il collo e restituì il bacio sulla guancia ispida di barba, mentre le dita affondavano tremanti nella massa dei capelli di lui che, con le labbra semiaperte, scendeva giù dalla gola fino al seno.
Un fremito attraversò il corpo di Jasmine che fece l'atto di ritirarsi, felice ma spaventata.
Rashid la trattenne, ma anch'egli era spaventato. Spaventato e come indifeso al cospetto di tanta purezza ed innocenza: avvertiva il rossore delle sue guance contro la pelle eccitata del suo petto nudo sotto il mantello di cui si liberò con uno strattone.
La desiderava come non aveva desiderato mai altro nella vita e sapeva che anche in lei c'era lo stesso desiderio. Aveva colto lo splendore del suo sguardo quando i loro occhi si erano incontrati e quando i finchi si erno avvicinati. Aveva sentito il fremito della sua mano mentre gli accarezzava i capelli e della sua bocca mentre lo baciava, ma non voleva spaventarla.
Lui non era abituato al rifiuto e nessuna delle numerose donne da cui aveva avuto picere, aveva mai mostrato ritrosia, ma Jasmine era diversa e lui la voleva così com'era: quasi irraggiungibile. La voleva perché lei sola sapeva guardarlo in quel modo infinitamente appagante, come se lui soltanto esistesse al mondo; lei sola sapeva guardarlo con negli occhi qualcosa che gli faceva fremere la carne di languore tenero e sensuale; lei sola sapeva accendere il desiderio e farlo irrompere come lo straripare di un wady dopo la pioggia, incontenibile ed irresistibile.
Rashid fermò il proprio impulso, ma continuò a tenerla stretta a sé; le mani tornarono a cercare la pelle nuda della schiena sotto la tunica e la bocca tornò a saziarsi agli angoli di quella di lei, prima di sentirla aprirsi tra le sue, come un fiore appena sbocciato tra le mani.
Lei fremeva e lui le prese una mano e la guidò su di sé per insegnarle a riconoscerlo in ogni parte del corpo e il fremito della sua mano, piccola e delicata, divenne tremore. Lei non l'allontanò. Come un bimbo che esplora l'ignoto, la mano di lei continuava a percorrere il corpo di lui, timida ed eccitata insieme. Con la gioia febbrile di sentire i loro corpi aderire, di assaporare il piacere della bocca di lui premuta sulla sua, esigente e compiacente; di scoprire piaceri sconosciuti e sognati, indomabili... come l'istinto. L'istinto di amare. E lui captò, come in un lampo, in una saetta, il verde balenio dei suoi occhi fissi nei suoi: innocenti, innamorati e quasi supplici. E di colpo capì.
Di colpo Rashid capì. Capì che mille volte lei aveva sognato di fare l'amore con lui e si sentì quasi in colpa. In colpa per quel poco, quel nulla che aveva dato ad altre donne, quasi che quel poco e quel nulla, l'avesse sottratto a lei per darlo ad altre... compreso Selima. Capì la sua gelosia e non riusciva decidersi se farsi vincere dalla tenerezza o dalla passione.
Tornò ad affondare la bocca sulla carne norbida, vellutta ed eccitata tra gola e seno e mentre con un braccio la stringeva così forte da farla gemere, con l'altro si spinse giù, sui fianchi e sul grembo, fino quasi a raggiungere l'inguine.
Le dita di lei, di entrambe le mani, intorno al busto di lui si contrassero fin quasi a conficcargli le dita nella pelle, poi il contatto con la diversità di lui, così stupefacente, così terrificantemente eccitante... Jasmine gli si abbandonò totalmente, ma Rashid allentò la stretta e lo spasmo divenne carezza... tenerezza. Lei quasi se ne stupì.
Le braccia di lui, forti e dure come la roccia, la sollevarono; Rashid se la pose in grembo e i loro volti si sfiorarono e gli sguardi si fusero, l'uno dentro quello dell'altra e Jasmine comprese: comprese che Rashid non l'avrebbe mai trattata come una Favorita e gliene fu grata. Gli posò la testa sulla spalla in felice, fiducioso abbandono.
"Rashid.. io..." sussurrò, trattenendo gli ultimi brandelli di pudore, tutti rannicchiati nei luminosi occhi verdi.
"Lo so, amore mio. Lo so!... Non devi aver paura. Sarò molto delicato, mio tesoro. Non temere..."
Un brivido l'attraversò, mentre le labbra di lui tornavano a cercare la sua bocca e le mani la percorrevano e la spogliavano; un brivido così profondo da darle la sensazione di vacillare. Si accorse di essere distesa al suolo e Rashid era sopra di lei, a torso nudo; vedeva l'aria rilucere al chiarore della luna piena e vedeva il belvolto di lui trasfigurato dalla passione. Chiuse gli occhi e un'altalena di emozioni l'afferrò.
Un'altalena di emozioni afferrò entrambi, un groviglio di sensazioni, un intrecciarsi di respiri ora corti e ora lunghi. I respiri si fecero calmi, placidi. Il capo di lui fremeva contro la spalla di lei, il suo petto ansimava e le gambe erano avvinghiate a quelle di lei; le dita le accarezzavano dolcemente la schiena.
Ancora lui cercò la bocca di lei e quando le labbra la lasciarono per saziarsi altrove, Rashid la vide reclinare il capo dolcemente di lato, completemente abbandonata... completemente arresa... completamente rilassata. Rilassato il grembo... rilassata la pelle intorno all'inguine. Un dolore acuto la fece gemere, subito seguito da una sensazione di sconfinato piacere che la trasportò insieme a lui in una dimensione irreale e magica. Giacquero, infine, storditi, ma appagati e felici.
Rashid continuava ad accarezzarla, sempre stordito di voluttuoso piacere, poi, di colpo la sentì irrigidirsi fra le sue braccia ed esclamare, con voce alterata :
"Quell'uomo! Quell'uomo con Selima... Io lo conosco..."
Rashid quasi se ne stupì ed ebbe un moto di contrarietà.
"Che cosa dici?" proruppe.
"Conosco quell'uomo... l'uomo che è insieme a Selima... Io l'ho visto nei sotterranei del Tempio..."
"Di quale uomo stai parlando?... Chi c'é con Selima?" domandò lui, in tono assente, quasi indifferente, girandosi nella direzione indicata; in tempo per vedere Selima, a qualche decina di metri da loro, chinarsi per raccogliere qualcosa da terra.
"Di quale uomo parli? - tornò a domandare, sempre in tono leggermente contrariato - Non vedo nessun uomo insieme a Selima." fece osservare.
L'uomo era scomparso.
"C'era un uomo con lei, Rashid... e io l'ho visto nei sotterranei del Tempio... Stava parlando con Selima... come se si conoscessero... Devi credermi, Rashid... Devi credermi..."
Rashid la guardò con quella spolendida disinvoltura capace di coprirle di rossore il volto; le fece una tenera carezza e le sussurrò piano all'orecchio:
"Jasmine... Luce degli Occhi miei!... Io amo te e non potrei amare nessun'altra..."
"Ma..." tentò di replicare lei.
"E non temere. - proseguì lui - Non permetterò a nessuno di farti del male. A nessuno!... Hai capito?"
Con tenerezza, Rashid le sollevò il mento, ma lei lo respinse, con una fermezza che non le aveva mai visto prima, poi la vide alzarsi e in silenzi ricomporsi vesti e capelli.
Anche Rashid si alzò; le si avvicinò, protese nuovamente le braccia, ma nuovamente si vide respinto e finalmente lei, che si calava il velo, come per dire che i suoi liberi sguardi la offendevano, fece sentire la sua voce; quasi in un sussurro.
"Tu non mi credi, Rashid ed io non ho altra scelta: fuggire da quella gente oppure nascondersi, non serve... C'è un solo modo per spezzare la catena che mi lega a quella gente sanguinaria..." e con quelle parole lei gli voltò le spalle.
Conscio di averla ferita con le parole e l'atteggiamento, Rashid fece l'atto di seguirla, ma un grido d'allarme, proprio in quel mentre, la voce di Akim, lo fermò.
Corse come gli altri verso il ragazzino, che aveva Kasha, la pantera di Zaira, al guinzaglio.
Kasha stava scavando nel terreno, come faceva quando nascondeva del cibo, ma a riaffiorare dal terreno fu qualcosa d'altro.
"Ma... ma quello è il corsetto di Selima" esclamò Akim, reggendolo con la punta di un lungo ramo.
Rashid l'afferrò; la sua faccia si rabbuiò.
"E' sporco di sangue... - proruppe - Ecco perché Kasha l'ha dissepolto... ha sentito l'odore del sangue! Diceva il vero... La mia Jasmine diceva il vero: è stata Selima ad aggredirla e ferirla al Pozzo del Fico... Devo correre da lei." aggiunse, facendo l'atto di allontanarsi, ma la vocetta scomposta di Agar, l'ultimogenita di Alina, attirò tutti nuovamente verso il Pozzo: steso per terra c'era un uomo ed accanto a lui giaceva il mantello di Jasmine ed era macchiato di sangue.
Rashid si precipitò in quella direzione e si lasciò sfuggire un ruggito di dolore e di rabbia; raccolse da terra il mantello e se lo portò al petto e poi al volto.
Capitolo XI - Il rapimento
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Erano accorsi anche tutti gli altri, Harith, Ibrahim, sir Richard, Ashraf, che si chinò sul morto per girarne il corpo: sul petto portava inciso un tatuaggio che conoscevano tutti molto bene.
"E' uno do loro! E' un uomo della Setta di Hakam. - confermò il lord - Ma che cosa sarà successo qui? Chi lo ha ucciso?" domandò.
Brevi, concitate parole e Rashid mise gli amici al corrente degli ultimi fatti e delle accuse di Jasmine nei confronti di colei che era stata la sua Favorita.
"Per la Sacra Trimurti! - proruppe Zaira al fianco di sir Richard - Ero convinta che Selima e la cara Jasmine fossero diventate amiche."
"Evidentemente non era così!" proferì il lord.
"Maledizione! - imprecò Ibrahim - Possibile che nessuno abbia visto niente?"
"La dea Kalì ha turato le nostre orecchie e velato i nostri occhi." singhiozzava Akim.
"No! - intervenne cupo Rashid - E' colpa mia! C'era aria di festa ed ognuno aveva il diritto di festeggiare. Io... io dovevo vigilare su di lei... Io.... io soltanto sono colpevole! Io... che non ho dato ascolto al suo grido d'aiuto... che ho ignorato le sue giuste accuse... Selima... Trovate Selima e portatela subito al mio cospetto... La voglio qui immediatamente!" ordinò, poi, di corsa si precipitò verso la sua tenda, nella speranza che Jasmine si fosse rifugiata proprio lì.
Nel vedere il mantello insanguinato, però, Fatma, la più anziana delle donne, cominciò a piangere, disperarsi ed a fare segni di scongiuro.
Fu chiaro a tutti che Jasmine era scomparsa, ma anche di Selima non v'erano tracce, né dei pastori Kaza.
Rashid chiese agli amici di essere lasciato da solo per qualche minuto; lentamente ed a capo chino, si allontanò verso il limitare dell'oasi.
La possente figura, nella notte illuminata da una luna piena ed abbagliante, stagliata contro l'orizzonte frastagliato di rocce e palmizi, pareva quella di una cima montuosa scossa da venti turbinosi.
La luce lunare ne gettava l'ombra alle spalle e il vento agitava il bianco mantello ed asciugava il pianto irrefrenabile che gli bagnava il bel volto.
Rashid piangeva. Il grande predone, l'uomo il cui solo nome incuteva rispetto e timore, piangeva; l'ululato di uno sciacallo, come un lamentoso singhiozzo, riverberò da lontano, quasi eco del suo pianto. Gli occhi scrutavano avanti a sé, accecati dal pianto: era la prima volta che piangeva. Non l'aveva fatto nemmeno quando aveva creduto di assistere alla morte della sua Jasmine; non l'aveva fatto quando, ancora ragazzo, gli avevano massacrato la famiglia.
I fantasmi del passato, però, avevano l'abitudine di lasciare le loro dimore e tornare a sollevare la polvere che il tempo pietosamente vi distendeva sopra. Il loro ricordo aveva sempre il gusto del sangue, il sapore amaro del desiderio della vendetta: l'odio e il rancore, però, non hanno bisogno di lacrime, poiché si alimentano da sé. Il desiderio di annientare il suo nemico, Sajed Alì, artefice del massacro della sua famiglia, era alimentato dall'odio medesimo e dal rancore. Così anche il bisogno di distruggere Hakam, responsabile delle disgrazie della sua Jasmine
Non il rimorso, però! Nulla poteva placare il suo rimorso.
L'amore è il più potente dei sentimenti, l'odio é, forse, il più devastante e l'indifferenza è il più distruttivo, ma il rimorso è il sentimento più corrosivo e Rashid era in preda al più cocente rimorso, mentre la luna continuava a navigare indifferente sopra le palme piumate che limitavano l'oasi.
"Jasmine..." riusciva solo a gemere.
Gli sembrava di aver vissuto metà della propria vita in quella sola notte... anzi, in quei pochi momenti vissuti così intensamente con lei.
Che cosa l'attirava di lei così tanto? La sua bellezza? Sì, la sua bellezza incantava, ma altre donne erano ugualmente belle! La sua virtù? Altre donne erano virtuose! Solo lei, però, riuusciva a comunicargli con uno sguardo quello stordimento pieno di passione.
Jasmine era come una musica delicata e soave, appena un sussurro, che diventava sinfonia quando lui...
"C'é un solo modo per spezzare la catena che mi lega a quella gente sanguinaria..."
Le parole gli irruperò di colpo e senza preavviso dietro la fronte con il fragore di mille tuoni... Jasmine aveva detto proprio così! Lui non ci aveva nemmeno fatto caso quando Jasmine le aveva pronunciate... non era stato nemmeno ad ascoltarle... Che cosa intendeva dire? Jasmine voleva affrontare da sola Hakam? Consegnarsi a quella belva sanguinaria?
In preda ad una nuova ansia spasmodica, il giovane si scosse, si voltò e tornò dagli amici, immobili ad aspettarlo. Riferì loro i suoi dubbi e le sue nuove paure. Il lord, però, si disse convinto che la principessa fosse stata rapita e non che si fosse allontanata di sua volontà: lo testimoniava il mantello insanguinato e abbandonato per terra.
Di questo si convinsero tutti. Lo stesso Rashid, cui aumentarono inquietudini ed angosce.
Con la scomparsa di Selima e dei pastori Kaza, furono chiare anche le minacce che Ben Hassad aveva fatto durante il Consiglio e la sua partecipazione a quell'atto delittuoso. Un interrogativo, però, restava aperto: la morte di quell'uomo sconosciuto, di quel settario. Chi gli aveva tolto la vita? E perché?
Lo sceicco Harith, però, pratico e pragmatico quel era, suggerì di volgere altrove l'attenzione.
"Adesso sono chiare le minacce di Ben Hassad. - disse - Egli ha spedito qui le sue spie. Partiamo subito per il campo dei Kaza." propose.
"No! - replicò Rashid - Partiremo noi per il campo dei Kaza, amico mio. Tu resterai qui al fianco della tua sposa per asciugarle le lacrime: questo doveva essere il più bel giorno della sua vita, ma tutte queste disgrazie l'hanno irrimediabilmente macchiato di sangue... Letizia ha bisogno di te, adesso. - Ibrahim tentò di replicare, ma il grande predone continuò - Resterai qui a proteggere le donne. - poi aggiunse, in tono cupo- Non ti mancherà, amico mio, l'occasione per mostrare il tuo valore: non daremo tregua a quella gente fino a quando non li avremo sterminati tutti... fino all'ultimo e..."
"No! - la voce di Letizia alle spalle di Rashid lo fece volgere - Jasmine è una sorella per me. Andate e riportatela a casa... Noi, donne di Sahab, siamo tutte in grado di difenderci e difendere anziani e bambini!"
Harith le si avvicinò, la prese tra le braccia, poi sollevò il capo e lo sguardo in direzione del suo rais:
"Hai sentito? - disse con malcelato orgoglio, accarezzando il capo ancora velato della sposa - Le donne di Sahab hanno parlato pee bocca della sposa del capo! E tu, amore mio... - lo sceicco si allontanò di qualche passo con lei - Ti ricompenserò di tanto sacrificio, amore mio." esclamò con enfasi; Letizia sorrideva; le giunse anche la voce di Rashid, rotta d'emozione.
"Letizia... io..."
"Riportate presto la principessa Jasmine a casa!" sorrise e si sciolse dall'abbraccio del suo sposo.
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L'alba.
Nonostante il sole non si fosse ancora levato, il primo chiarore del giorno era apparso all'orizzonte. Dopo il clamore della festa, tutto era avvolta nel silenzio.
Quattro cavalieri armati fino ai denti si staccarono dall'oasi di Sahab. Erano Rashid, sir Richard, Harith e Ibrahim. Raggiunsero il pozzo di Rebek prima di sera e piombarono sul campo dei Kaza con l'impeto del sam.
Le tende erano vuote. I beduini erano riuniti al centro del campo per la cerrimonia funebre del vecchio Feysal.
Dall'alto della sella del suo scalpitante cavallo Rashid tuonò, con voce terribile:
"Dov'é Ben Hassad?"
Nel profondo silenzio che ne seguì, più profondo del silenzio stesso del deserto, un vecchio si staccò dal gruppo e si fece avanti.
"Ben Hassad non è più qui. - disse - E' stato scacciato perché ha violato le leggi, causando la morte di suo padre, Feysal. Il cady non ha voluto metterlo a morte, ma lo ha espulso dalla società."
"Dov'é andato?" domandò Rashid.
Il vecchio allargò le braccia.
"Il deserto è grande. - esclamò con fatalismo - Gli abbiamo dato un cammello, acqua e provviste. Si unirà a qualche gruppo di pastori."
"Qualcuno è con lui?" domandò ancora Rashid.
"Lo hanno seguito due fratelli... nessun altro ha voluto farlo." precisò.
"Si sarà unito al vecchio Abul. - Rashid si girò in direzione di Harith, al suo fianco, poi nuovamente verso il vecchio - Noi crediamo che possa unirsi al gruppo di pastori ch avete già espulso."
"Con Ben Hassad è la prima volta che noi Kaza cacciamo qualcuno dalla tribù." disse l'altro.
"Stai mentendo?" s'incupì il rais.
"Non oserei mai farlo." esclamò l'altro con espressione preoccupata.
"Solo venti giorni fa un gruppo di pastori si è presentato a Sahab asserendo di essere stati scacciati dalla vostra tribù."
"Ripeto che nessuno, all'infuori di Ben, è stato mai mandato via dalla tribù dei Kaza."
"Quei pastori hanno rapito la mia donna." proruppe cupo Rashid.
"Son certo che Ben ne sia estraneo. - ribadì l'altro - Ha molte colpe, ma non questa."
Uno sguardo d'intesa corse tra Rashid e sir Richard.
"Credo che questo vecchio sia in buona fede. - interloquì sir Richard; neppure lui era sceso di sella - Ora sappiamo che quei pastori erano spie di Hakam... - una pausa per guardarsi intorno, poi proseguì - Quell'avvoltoio deve essere venuto a conoscenza dell'alleanza che Ben Hassad voleva stringere con i Qaathan ed ha cercato di sfruttare la situazione."
"Che cosa facciamo, adesso?" domandò Ashraf, alle loro spalle.
"Inseguiremo i rapitori." rispose Rashid senza girarsi.
"Il deserto è così grande. - replicò Ashraf - Quale pista prenderemo?"
"Ci sono solo due piste. - replicò il rais - Una porta a Doha e l'altra alla costa, a Ru'ays. Prenderemo quella per Ru'ays, che è la più corta e che sarà quella che certamente hanno preso anche loro."
Rashid aveva ragione ed a confermarlo fu un gruppo di pastori al primo bivacco che incontrarono poco prima del tramonto.
Erano un decina di uomini e una dozzina o poco più, fra donne e bambini. Altri sette o otto, sedevano sulla sabbia giocando a conchiglie; chiusi nei mantelli bianchi, le lunghe dita adunche, nere e sottili si muovevano solerti nelle buche, sette file per quattro, in ciascuna delle quali c'erano delle conchiglie.
Uno di loro si alzò all'arrivo dei cavalieri.
"Allah sia con voi!" salutò Rashid.
"Sia anche con voi. - rispose quello - Se volete accettare il nostro caffè, siete i benvenuti."
"Ve ne saremo grati."
Rashid, subito imitato di compagni, smontò di sella, legò il cavallo ad un piolo della tenda e sedette accanto ai giocatori.
Una ragazza, completamente sepolta in un burqa, si avvicinò con del caffé ed il rais fu subito attirato dal bracciale che questa portava al polso del braccio sinistro e l'afferrò per il braccio.
La ragazza si ritrasse spaventata.
"Chi ti ha dato questo bracciale?" domandò Rashid trattenendola con la sua morsa d'acciaio.
"Me lo ha donato una ragazza." mormorò quella, atterrita dal tono e dal gesto.
"Quale ragazza? - ruggì Rashid - Parla, o, per Allah!... Rispondi."
"Non lo so. - rispose quella - Era molto gentile..."
"Straniero - s'intromise a questo punto l'uomo in piedi - Stai mal ripagando la nostra ospitalità."
"Stiamo inseguendo un gruppo di uomini che hanno rapito una ragazza della nostra tribù. - interloquì sir Richard - Questo bracciale appartiene a lei."
"Una ragazza con gli occhi verdi?" domandò l'uomo.
"E' lei! - proruppe il rais - Parlate. Ditemi, vi prego, quello che sapete di lei e della gente che era con lei."
"Erano in cinque... un vecchio e quattro giovani. - spiegò il beduino - Si sono fermati con noi poi hanno ripreso la pista."
"La pista per Ru'ays?" domandò Rashid; l'altro assentì col capo, parco nelle parole come in ogni altra cosa, come tutta la gente del deserto.
"Hanno su di noi un vantaggio di poche ore." osservò il lord.
Bevuto il caffé gli uomini di Sahab si alzarono, pronti a riprendere il cammino. Prima di staccarsi dai suoi ospiti, Rashid trasse da sotto il candido mantello un sacchetto tintinnante di monete che, dall'alto dello scalpitante cavallo, gettò nelle mani dell'uomo.
"La tua ricompensa." disse semplicemente, girando il cavallo per allontanarsi.
"Non ho fatto nulla che potesse meritare questo oro." disse l'uomo e sir Richard, rimontato anch'egli in sella, prima di spronare il cavallo lo salutò:
"Hai fatto molto, invece: hai aiutato l'uomo che chiamano il Leone del deserto."
"Lui... Lui è Rashid, il rais dei Kinda?" l'altro sgranò gli occhi.
"E' Rashid dei Kinda!" e l'inglese si allontanò seguito dallo sguardo stupito di quella gente orgogliosa di aver offerto una tazza di caffé all'uomo più potente di Ar-Rimal.
Nonostante il sole non si fosse ancora levato, il primo chiarore del giorno era apparso all'orizzonte. Dopo il clamore della festa, tutto era avvolta nel silenzio.
Quattro cavalieri armati fino ai denti si staccarono dall'oasi di Sahab. Erano Rashid, sir Richard, Harith e Ibrahim. Raggiunsero il pozzo di Rebek prima di sera e piombarono sul campo dei Kaza con l'impeto del sam.
Le tende erano vuote. I beduini erano riuniti al centro del campo per la cerrimonia funebre del vecchio Feysal.
Dall'alto della sella del suo scalpitante cavallo Rashid tuonò, con voce terribile:
"Dov'é Ben Hassad?"
Nel profondo silenzio che ne seguì, più profondo del silenzio stesso del deserto, un vecchio si staccò dal gruppo e si fece avanti.
"Ben Hassad non è più qui. - disse - E' stato scacciato perché ha violato le leggi, causando la morte di suo padre, Feysal. Il cady non ha voluto metterlo a morte, ma lo ha espulso dalla società."
"Dov'é andato?" domandò Rashid.
Il vecchio allargò le braccia.
"Il deserto è grande. - esclamò con fatalismo - Gli abbiamo dato un cammello, acqua e provviste. Si unirà a qualche gruppo di pastori."
"Qualcuno è con lui?" domandò ancora Rashid.
"Lo hanno seguito due fratelli... nessun altro ha voluto farlo." precisò.
"Si sarà unito al vecchio Abul. - Rashid si girò in direzione di Harith, al suo fianco, poi nuovamente verso il vecchio - Noi crediamo che possa unirsi al gruppo di pastori ch avete già espulso."
"Con Ben Hassad è la prima volta che noi Kaza cacciamo qualcuno dalla tribù." disse l'altro.
"Stai mentendo?" s'incupì il rais.
"Non oserei mai farlo." esclamò l'altro con espressione preoccupata.
"Solo venti giorni fa un gruppo di pastori si è presentato a Sahab asserendo di essere stati scacciati dalla vostra tribù."
"Ripeto che nessuno, all'infuori di Ben, è stato mai mandato via dalla tribù dei Kaza."
"Quei pastori hanno rapito la mia donna." proruppe cupo Rashid.
"Son certo che Ben ne sia estraneo. - ribadì l'altro - Ha molte colpe, ma non questa."
Uno sguardo d'intesa corse tra Rashid e sir Richard.
"Credo che questo vecchio sia in buona fede. - interloquì sir Richard; neppure lui era sceso di sella - Ora sappiamo che quei pastori erano spie di Hakam... - una pausa per guardarsi intorno, poi proseguì - Quell'avvoltoio deve essere venuto a conoscenza dell'alleanza che Ben Hassad voleva stringere con i Qaathan ed ha cercato di sfruttare la situazione."
"Che cosa facciamo, adesso?" domandò Ashraf, alle loro spalle.
"Inseguiremo i rapitori." rispose Rashid senza girarsi.
"Il deserto è così grande. - replicò Ashraf - Quale pista prenderemo?"
"Ci sono solo due piste. - replicò il rais - Una porta a Doha e l'altra alla costa, a Ru'ays. Prenderemo quella per Ru'ays, che è la più corta e che sarà quella che certamente hanno preso anche loro."
Rashid aveva ragione ed a confermarlo fu un gruppo di pastori al primo bivacco che incontrarono poco prima del tramonto.
Erano un decina di uomini e una dozzina o poco più, fra donne e bambini. Altri sette o otto, sedevano sulla sabbia giocando a conchiglie; chiusi nei mantelli bianchi, le lunghe dita adunche, nere e sottili si muovevano solerti nelle buche, sette file per quattro, in ciascuna delle quali c'erano delle conchiglie.
Uno di loro si alzò all'arrivo dei cavalieri.
"Allah sia con voi!" salutò Rashid.
"Sia anche con voi. - rispose quello - Se volete accettare il nostro caffè, siete i benvenuti."
"Ve ne saremo grati."
Rashid, subito imitato di compagni, smontò di sella, legò il cavallo ad un piolo della tenda e sedette accanto ai giocatori.
Una ragazza, completamente sepolta in un burqa, si avvicinò con del caffé ed il rais fu subito attirato dal bracciale che questa portava al polso del braccio sinistro e l'afferrò per il braccio.
La ragazza si ritrasse spaventata.
"Chi ti ha dato questo bracciale?" domandò Rashid trattenendola con la sua morsa d'acciaio.
"Me lo ha donato una ragazza." mormorò quella, atterrita dal tono e dal gesto.
"Quale ragazza? - ruggì Rashid - Parla, o, per Allah!... Rispondi."
"Non lo so. - rispose quella - Era molto gentile..."
"Straniero - s'intromise a questo punto l'uomo in piedi - Stai mal ripagando la nostra ospitalità."
"Stiamo inseguendo un gruppo di uomini che hanno rapito una ragazza della nostra tribù. - interloquì sir Richard - Questo bracciale appartiene a lei."
"Una ragazza con gli occhi verdi?" domandò l'uomo.
"E' lei! - proruppe il rais - Parlate. Ditemi, vi prego, quello che sapete di lei e della gente che era con lei."
"Erano in cinque... un vecchio e quattro giovani. - spiegò il beduino - Si sono fermati con noi poi hanno ripreso la pista."
"La pista per Ru'ays?" domandò Rashid; l'altro assentì col capo, parco nelle parole come in ogni altra cosa, come tutta la gente del deserto.
"Hanno su di noi un vantaggio di poche ore." osservò il lord.
Bevuto il caffé gli uomini di Sahab si alzarono, pronti a riprendere il cammino. Prima di staccarsi dai suoi ospiti, Rashid trasse da sotto il candido mantello un sacchetto tintinnante di monete che, dall'alto dello scalpitante cavallo, gettò nelle mani dell'uomo.
"La tua ricompensa." disse semplicemente, girando il cavallo per allontanarsi.
"Non ho fatto nulla che potesse meritare questo oro." disse l'uomo e sir Richard, rimontato anch'egli in sella, prima di spronare il cavallo lo salutò:
"Hai fatto molto, invece: hai aiutato l'uomo che chiamano il Leone del deserto."
"Lui... Lui è Rashid, il rais dei Kinda?" l'altro sgranò gli occhi.
"E' Rashid dei Kinda!" e l'inglese si allontanò seguito dallo sguardo stupito di quella gente orgogliosa di aver offerto una tazza di caffé all'uomo più potente di Ar-Rimal.
Titolo XII L'Inseguimento
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Dopo un serrato galoppo i quattro si fermarono presso uno wady asciutto per pernottare. Legarono i cavalli al tronco di un tamarisco e stesero ai suoi piedi le coperte.
Passò la notte; a turno avevano montato la guardia. Si alzarono col primo biancore apparso all'orizzonte. La rugiada aveva ricoperto i rami e il tronco del tamarisco con un meraviglioso mantello iridescent su cui i primi raggi di sole disegnarono bizzarre ed effimere figure scintillanti: duravano solo un soffio e scomparivano con l'evaporazione delle gocce.
L'aurora li trovò già al galoppo e li investì con i suoi meravigliosi chiarori che dal vermiglio violaceo andarono velocemente digradando in uno stupefacente arancio dorato.
Lì, nel deserto, il sorgere del sole é prepotente come ogni altra forza della vita e le prime luci dell'alba non sono mai pallide né scialbe, ma luminose ed accecanti.
I quattro amici galopparono per due ore e più, accorciando le distanze. Il paeaggio delle sabbie rossastre di Ar-Rimal andò digradando sempre più in un giallo dai riflessi sanguigni, interrotto qua e là da isolati cespugli stepposi.
"Guardate là. - Ashraf indicò un uomo che avanzava barcollando sulla sabbia - Chi sarà quel solitario?"
"La figura mi è familiare." esclamò l'inglese, spronando il cavallo; fu subito imitato dagli altri e poco dopo raggiunsero il naufrago.
"Per la Barba del Profeta! - esclamò Harith - Ma costui è una delle spie mandate da Hakam?"
Era proprio uno dei falsi pastori Kaza e sotto il copricapo, la faccia era emaciata e ispida di barba impolverata; gli occhi erano lucidi di febbre.
Smontato di sella, Rashid l'agguantò per le spalle, strattonandolo violentemente.
L'altro barcollò e per non cadere si aggrappò ad un suo braccio.
"Dov'é la principessa Jasmine? Parla. - proferì Rashid - E' ferita? Perché il suo mantello era macchiato di sangue? E... e non tentare di ingannarmi." aggiunse con voce cupa, sotto l'empito di una collera violenta.
"Pa..parlerò... - balbettò l'altro con affanno - Dirò tutto... quel sangue non è della principessa Jasmine."
"Bada a quello che dici, sterco di cammello! - Rashid continuava a strattonarlo furiosamente -E' proprio vero che la principessa non è ferita? Bada a te... se menti..."
"Sto dicendo la verità. - insisteva quello sempre più spaventato - Quella donna... l'altra..."
"Quale donna? - lo interruppe il rais - Di quale altra donna stai parlando?" scandì Rashid facendo convergedire sulla propria persona lo sguardo sempre più preoccupato del beduino.
"Selima, la chiamava l'uomo che era con lei... "
"Ben... Ben Hassad! Deve trattrsi proprio di Ben Hassad, della tribù dei Kaza - interloquì Ibrahim facendosi avanti - Li ho visti insieme, lui e Selima, quando è venuto a Sahab a reclamare i suoi diritti su di me, prima che il Gran Consiglio si riunisse."
"Che cosa dicevi di quell'altra donna? - l'attenzione di Rashid tornò al settario - Che cosa ne sai? Parla, o Per Allah!... la mia faccia sarà l'ultima cosa che vedrai da vivo."
"E' stata lei... quella donna, a pugnalare Kahy..."
"Chi è questo Kahy? " domandò il rais.
"E' l'uomo che avete trovato cadavere." spiegò l'altro, ma il lord gli tolse la parola.
"Apparteneva a quella setta di fanatici a cui appartieni anche tu? - domandò - E' questo che vuoi dire? E perché mai Selima lo avrebbe ucciso?"
"Quella donna non voleva consegnargli la principessa." fu la stupefacente risposta che fece dire ai quattro amici, in coro:
"Che coooosa?"
"Quella donna e gli uomi Kaza avevano altri progetti sulla Dea-Vivente..."
"Prova a chiamarla ancora con quel nome - ruggì Rashid afferrandolo nuovamente per il collo in una morsa di ferro - ed io ti farò maledire il giorno in cui sei venuto al mondo e il nome della donna che ti ha aiutato a farlo, maledetto sterco d'asino!"
Rashid era davvero fuori di sé; la collera gli incupiva le pupille.
L'uomo respirava con affanno e lo fissava tremante; il timore, negli occhi fuori dalle orbite, precipitò presto nel terrore e gli coprì il volto di cereo pallore; barcollò, sotto l'inesorale stretta.
"Parla! - Rashid allentò la stretta - Di quali progetti stai parlando?"
"Que... quella donna... - l'uomo parlava a fatica, tossiva e si teneva la gola - Quella donna voleva togliere la vita alla principessa..."
"Che cosa?"
"Ma quell'uomo... quel Ben Hassad aveva... aveva altri progetti per lei. Voleva portarla ad Al Khawr. "
Ad Al Khawr c'era il più fiorente mercato di schiave destinate agli harem di sultani e sceicchi.
Rashid si lasciò sfuggire un ruggito.
"Maledetto!... Ed è lì che sono diretti?"
"No! Kahi si è opposto... Kahi non voleva disubbidire al comando del suo Gran Sacerdote, che era quello di rapire la principessa e.. e quella donna gli ha conficcato il pugnale nel petto e lo ha lasciato ad agonizzare... il mantello della principessa si è macchiato di sangue quando lei si è chinata sul moribondo... ed è rimasto lì... a terra..."
"Maledizione! - Rashid non riusciva a darsi pace - A due passi da me... sotto i miei occhi..."
"... sono accorsi i miei fratelli. - riprese l'uomo - Loro hanno portato via la principessa... Abbiamo ingaggiato una lotta furibonda con i Kaza... Vedi... io sono stato ferito... abbiamo messo in fuga quella donna e gli altri, ma... io sono stato lasciato qui e loro porteranno la principessa Jasmine a Dishasir."
"Dishasir? - fece Rashid - Perché a Dishasir?"
"E' lì che aspetta il nostro Gran Sacerdote."
"Un momento! - lo interruppe il lord - E se costui mentisse per metterci su una falsa pista? Se ogni cosa fosse stata calcolata ed organizzata per..."
"Mentire? - fu l'uomo ad interrompere lui - Perché dovrei farlo? Per proteggere chi mi ha abbandonato qui, nel deserto, perché ero d'impaccio?"
"A Dishasir, hai detto?" fece il lord, scuotendo il capo.
"Fra qualche giorno un battello li condurrà a Ru'ays." spiegò l'uomo.
"Stai mentendo! - lo apostrofò con durezza il lord - Quella città non esiste più. I pirati l'hanno distrutta da tempo."
"Certo! - assentì l'uomo - E' proprio tra le sue rovine che il Gran Sacerdote ha ricostruito il Sacro Altare e il Trono dell'Incarnazione della Dea-Vivente."
"Che topo di fogna!" non riuscì a trattenersi l'inglese, accompagnando le parole con una smorfia di disgusto.
"Questa volta non ci sfuggirà. Hakam non ci sfuggirà! - Rashid appariva risoluto come non mai - Tu, Ibrahim, tornerai a Sahab e ci raggiungerai con gli uomini a Dishasir. - il grande rais fece seguire una pausa carica di tensione - Per quella gente questa volta non ci sarà davvero scampo." proferì. "Farò così! - rispose il suo vice - Ma di questo sterco di cammello che cosa ne facciamo?... Gli trafiggo il cuore?"
"No! - scosse il capo Rashid - Portalo con te a Sahab e fallo curare... Si sappia che Rasid è generoso anche con i nemici, ma... uccidilo senza pietà, se scopri che ci ha ingannati. Vai! Ci rivedremo a Dishasir."
Si separarono, dopo un caloroso abbraccio e presero strade diverse.
F I N E
SEGUIRA' TERZA PARTE DAL TITOLO: IL RAIS - Il VASCELLO FANTASMA
Passò la notte; a turno avevano montato la guardia. Si alzarono col primo biancore apparso all'orizzonte. La rugiada aveva ricoperto i rami e il tronco del tamarisco con un meraviglioso mantello iridescent su cui i primi raggi di sole disegnarono bizzarre ed effimere figure scintillanti: duravano solo un soffio e scomparivano con l'evaporazione delle gocce.
L'aurora li trovò già al galoppo e li investì con i suoi meravigliosi chiarori che dal vermiglio violaceo andarono velocemente digradando in uno stupefacente arancio dorato.
Lì, nel deserto, il sorgere del sole é prepotente come ogni altra forza della vita e le prime luci dell'alba non sono mai pallide né scialbe, ma luminose ed accecanti.
I quattro amici galopparono per due ore e più, accorciando le distanze. Il paeaggio delle sabbie rossastre di Ar-Rimal andò digradando sempre più in un giallo dai riflessi sanguigni, interrotto qua e là da isolati cespugli stepposi.
"Guardate là. - Ashraf indicò un uomo che avanzava barcollando sulla sabbia - Chi sarà quel solitario?"
"La figura mi è familiare." esclamò l'inglese, spronando il cavallo; fu subito imitato dagli altri e poco dopo raggiunsero il naufrago.
"Per la Barba del Profeta! - esclamò Harith - Ma costui è una delle spie mandate da Hakam?"
Era proprio uno dei falsi pastori Kaza e sotto il copricapo, la faccia era emaciata e ispida di barba impolverata; gli occhi erano lucidi di febbre.
Smontato di sella, Rashid l'agguantò per le spalle, strattonandolo violentemente.
L'altro barcollò e per non cadere si aggrappò ad un suo braccio.
"Dov'é la principessa Jasmine? Parla. - proferì Rashid - E' ferita? Perché il suo mantello era macchiato di sangue? E... e non tentare di ingannarmi." aggiunse con voce cupa, sotto l'empito di una collera violenta.
"Pa..parlerò... - balbettò l'altro con affanno - Dirò tutto... quel sangue non è della principessa Jasmine."
"Bada a quello che dici, sterco di cammello! - Rashid continuava a strattonarlo furiosamente -E' proprio vero che la principessa non è ferita? Bada a te... se menti..."
"Sto dicendo la verità. - insisteva quello sempre più spaventato - Quella donna... l'altra..."
"Quale donna? - lo interruppe il rais - Di quale altra donna stai parlando?" scandì Rashid facendo convergedire sulla propria persona lo sguardo sempre più preoccupato del beduino.
"Selima, la chiamava l'uomo che era con lei... "
"Ben... Ben Hassad! Deve trattrsi proprio di Ben Hassad, della tribù dei Kaza - interloquì Ibrahim facendosi avanti - Li ho visti insieme, lui e Selima, quando è venuto a Sahab a reclamare i suoi diritti su di me, prima che il Gran Consiglio si riunisse."
"Che cosa dicevi di quell'altra donna? - l'attenzione di Rashid tornò al settario - Che cosa ne sai? Parla, o Per Allah!... la mia faccia sarà l'ultima cosa che vedrai da vivo."
"E' stata lei... quella donna, a pugnalare Kahy..."
"Chi è questo Kahy? " domandò il rais.
"E' l'uomo che avete trovato cadavere." spiegò l'altro, ma il lord gli tolse la parola.
"Apparteneva a quella setta di fanatici a cui appartieni anche tu? - domandò - E' questo che vuoi dire? E perché mai Selima lo avrebbe ucciso?"
"Quella donna non voleva consegnargli la principessa." fu la stupefacente risposta che fece dire ai quattro amici, in coro:
"Che coooosa?"
"Quella donna e gli uomi Kaza avevano altri progetti sulla Dea-Vivente..."
"Prova a chiamarla ancora con quel nome - ruggì Rashid afferrandolo nuovamente per il collo in una morsa di ferro - ed io ti farò maledire il giorno in cui sei venuto al mondo e il nome della donna che ti ha aiutato a farlo, maledetto sterco d'asino!"
Rashid era davvero fuori di sé; la collera gli incupiva le pupille.
L'uomo respirava con affanno e lo fissava tremante; il timore, negli occhi fuori dalle orbite, precipitò presto nel terrore e gli coprì il volto di cereo pallore; barcollò, sotto l'inesorale stretta.
"Parla! - Rashid allentò la stretta - Di quali progetti stai parlando?"
"Que... quella donna... - l'uomo parlava a fatica, tossiva e si teneva la gola - Quella donna voleva togliere la vita alla principessa..."
"Che cosa?"
"Ma quell'uomo... quel Ben Hassad aveva... aveva altri progetti per lei. Voleva portarla ad Al Khawr. "
Ad Al Khawr c'era il più fiorente mercato di schiave destinate agli harem di sultani e sceicchi.
Rashid si lasciò sfuggire un ruggito.
"Maledetto!... Ed è lì che sono diretti?"
"No! Kahi si è opposto... Kahi non voleva disubbidire al comando del suo Gran Sacerdote, che era quello di rapire la principessa e.. e quella donna gli ha conficcato il pugnale nel petto e lo ha lasciato ad agonizzare... il mantello della principessa si è macchiato di sangue quando lei si è chinata sul moribondo... ed è rimasto lì... a terra..."
"Maledizione! - Rashid non riusciva a darsi pace - A due passi da me... sotto i miei occhi..."
"... sono accorsi i miei fratelli. - riprese l'uomo - Loro hanno portato via la principessa... Abbiamo ingaggiato una lotta furibonda con i Kaza... Vedi... io sono stato ferito... abbiamo messo in fuga quella donna e gli altri, ma... io sono stato lasciato qui e loro porteranno la principessa Jasmine a Dishasir."
"Dishasir? - fece Rashid - Perché a Dishasir?"
"E' lì che aspetta il nostro Gran Sacerdote."
"Un momento! - lo interruppe il lord - E se costui mentisse per metterci su una falsa pista? Se ogni cosa fosse stata calcolata ed organizzata per..."
"Mentire? - fu l'uomo ad interrompere lui - Perché dovrei farlo? Per proteggere chi mi ha abbandonato qui, nel deserto, perché ero d'impaccio?"
"A Dishasir, hai detto?" fece il lord, scuotendo il capo.
"Fra qualche giorno un battello li condurrà a Ru'ays." spiegò l'uomo.
"Stai mentendo! - lo apostrofò con durezza il lord - Quella città non esiste più. I pirati l'hanno distrutta da tempo."
"Certo! - assentì l'uomo - E' proprio tra le sue rovine che il Gran Sacerdote ha ricostruito il Sacro Altare e il Trono dell'Incarnazione della Dea-Vivente."
"Che topo di fogna!" non riuscì a trattenersi l'inglese, accompagnando le parole con una smorfia di disgusto.
"Questa volta non ci sfuggirà. Hakam non ci sfuggirà! - Rashid appariva risoluto come non mai - Tu, Ibrahim, tornerai a Sahab e ci raggiungerai con gli uomini a Dishasir. - il grande rais fece seguire una pausa carica di tensione - Per quella gente questa volta non ci sarà davvero scampo." proferì. "Farò così! - rispose il suo vice - Ma di questo sterco di cammello che cosa ne facciamo?... Gli trafiggo il cuore?"
"No! - scosse il capo Rashid - Portalo con te a Sahab e fallo curare... Si sappia che Rasid è generoso anche con i nemici, ma... uccidilo senza pietà, se scopri che ci ha ingannati. Vai! Ci rivedremo a Dishasir."
Si separarono, dopo un caloroso abbraccio e presero strade diverse.
F I N E
SEGUIRA' TERZA PARTE DAL TITOLO: IL RAIS - Il VASCELLO FANTASMA