IL MONDO delle FIABE
INDICE
- L'ASTRONAVE MAGICA
- NEPER... IL GENIO del GRANO
- I GENIETTI VERDI
- IL MIO AMICO DARRIX
- LA NOTTE DI NATALE
- LA BAMBOLA
- LA COLLANA DI SCHEGGE DI PIETRA
- IL PONY
- IL CUCCHIAINO D'ARGENTO
- LA CIOCCA RIBELLE
- LE FATE
- NEPER... IL GENIO del GRANO
- I GENIETTI VERDI
- IL MIO AMICO DARRIX
- LA NOTTE DI NATALE
- LA BAMBOLA
- LA COLLANA DI SCHEGGE DI PIETRA
- IL PONY
- IL CUCCHIAINO D'ARGENTO
- LA CIOCCA RIBELLE
- LE FATE
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Dario era un bellissimo bambino di cinque anni; occhi azzurri, capelli scuri e un carattere allegro e sognatore. Da grande voleva fare l'ingegnere aero-spaziale perché amava il cielo, gli astri, gli aerei, ma soprattutto le astronavi.
Inventiva ed intelligenza non gli mancavano e neppure una bella dose di fantasia.
Nei suoi giochi c'era sempre un tocco di estro ed originalità, come la volta in cui costruì nel garage del suo papà un "Vulcano" seguendo le azzardate spiegazioni di un programma televisivo.
Tutto ciò, se da una parte li inorgogliva, dall'altra preoccupava tanto i suoi genitori.
"Questo figliolo - soleva ripetere la mamma - Un giorno o l'altro si caccerà nei guai."
"Ma no! - la rassicurava il babbo - Quand'anche gli accadesse qualcosa, Dario saprebbe trarsene d'impaggio... ad ogni modo, speriamo non gli succeda mai niente."
Natale era passato e la Befana era già salita sulla sua magica scopa per portare ai bimbi doni e carbone. Le strade della città erano vestite a festa e così le vetrine e gli alberi, piccoli e grandi, sulle piazze, nei giardini e sui balconi.
Come in tutte le case, anche in quella di Dario si parlava di regali; soprattutto della scelta.
Per Dario, però, era facile: non c'erano dubbi sui suoi gusti.
"Voglio fargli una bella sorpresa." aveva detto il babbo e la mamma aveva subito capito. Anche Dario, però, aveva capito ed era riuscito perfino a scovare il posto dove il dono era stato nascosto nell'attesa della Befana: la soffitta. Un buon nascondiglio, per mamma e babbo, ma non sufficientemente segreto per il nostro piccolo segugio.
Appena scoperta quella nuova presenza in soffitta, quell'enorme pacco più alto di lui, Dario si dette da fare per scoprirne il contenuto.
In verità, quello non era il solo pacco custodito lassù; ve n'era un altro, alto poco più di mezzo metro, ricoperto di carta luccicante e nastri colorati, ma Dario lo ignorò, preferendo l'altro, privo di ornamenti, ma gigantesco.
Se lo aspettava, ma ne restò ugualmente meravigliato: era proprio un'astronave, di latta, argentata con luci rosse ed alta due metri e più.
C'era un'apertura; Dario l'aprì ed entrò. Si poteva stare in piedi.
Il piccolo si guardò intorno incuriosito. Sulla parete di fronte c'era un'infinità di leve e pulsanti. Tirò subito quella che doveva essere la leva di comando, poiché assomigliava a quella del suo modellino di reattore ricevuto in regalo per il compleanno.
Con un sibilo acuto, l'astronave si mosse, si alzò e, sfondando il tetto di casa, decollò verso l'alto.
"Povero me!... Che cosa ho combinato! - si preoccupò - Che cosa dirà il babbo quando si accorgerà di questo grosso guaio?... Per un mese non mi farà giocare con l'astronave.... Oh! Che meraviglia!... - esclamò infine - Ma... ma dove sono finito?"
Si trovava in cielo sopra le nuvole e in mezzo alle stelle che si facevano sempre più luminose e dimenticò ben presto il guaio combinato al tetto di casa.
Una stella gli passò vicino.
Era piccola, luminosa e tutta d'oro; intorno a sé aveva un alone di luce e si trascinava dietro una stupenfa coda dai colori iridescenti e brillanti, come non li avrebbe nemmeno immaginati.
Al contrario delle altre, questa si accostava alla Terra invece che starsene lontana.
Dario pensò di inseguirla e solo quando si accorse di sorvolare il deserto, capì che quella era la Stella Cometa con il compito di guidare i tre Magi alla capanna del Bambin Gesù.
Guardò di sotto e li vide. Vide tre cammelli sontuosaente bardati e un corteo di gente ed animali salire e scendere lungo dune sabbiose.
Quand'ecco accadere qualcosa di veramente inatteso: la Cometa stava, come suol dirsi, perdendo la rotta.
"Ma no! Che cosa fai? - gridò - Quella non è la strada per Betlemme... Ma dove stai andando? Dove stai portando i Re Magi?... Così non arriveranno mai a destinazione! Oh!... Che cosa posso fare?"
Il piccolo era davvero preoccupato. Ma lo restò solo per un attimo. Glielo ripetevano tutti che era un pozzo di immaginazione. Quello era, dunque, il momento di usarla.
Un'idea, infatti, gli brillò in testa.
"Potrei imitare la scia che gli aerei supersonici lasciano dietro di loro quando solcano il cielo." pensò e facendo seguire l'atto alle parole, schiacciò tutte le leve e tutti i pulsanti che aveva davanti a sé nel quadro di comando.
L'astronave si impennò come un cavallo, si alzò, si abbassò, partì, tornò, rallentò, accelerò.
"Accidenti! - gridava Dario ad ogni urto - Ma quale sarà quello giusto?"
Infine, un sibilo acuto precedette la calma che ne seguì e bel buio del cielo stellato, la sua astronave, con la bella coda luminosa, sembrava davvero la Stella Cometa.
Dario si abbassò di quota, fino a poche centinaia di metri dal suolo, proprio sulla testa della lunga carovana, che guidò, sana e salva, fino a Betlemme.
Assolto il compito, ebbe un sospiro:
"Oh! Devo tornare a casa, adesso. La mamma mi starà cercando. Sta per scoccar la mezzanotte ed a casa stanno per aprire i doni... Oh! - tornò a sospirare - Il babbo non mi punirà per quanto ho cobinato al tetto di casa, quando saprà che sono stato io a guidare i Magi alla capanna di Betlemme."
Con un po' di rammarico il piccolo puntò decisamente verso terra e in men che non si dica,
l'astronave lo riportò nella soffitta di casa.
La mezzanotte stava per scoccare e i genitori erano davvero alla sua ricerca.
Lo trovarono in soffitta sdraiato per terra ed addormentato; tra le braccia stringeva il pacco ricoperto di nastri colorati e carta luccicante.
"Il mio piccino! - la mamma lo sollevò da terra - E' ancora debole e frastornato... la caduta dalla bicicletta ha fatto una brutta bua al mio tesoro, che ora è tanto, tanto stanco."
"Sai che cosa c'é qui dentro?" domandò il babbo, facendogli una carezza.
"Certo che lo so! - rispose Dario - C'è un'astronave d'argento... un'astronave magica."
"Ma che bravo! Come hai fatto ad indovinare?" gli sorrisero, mamma e babbo.
Dario si guardò intorno alla ricerca dell'astronave, quella che lo aveva condotto a Betlemme.
Non c'era.
"Lo so! - rispose - Perché con quella ho guidato i Magi alla capanna di Betlemme." spiegò.
Mamma e babbo si scambiarono un'occhiata.
"Scotta. - disse la mamma - Ha la febbre alta e sta delirando."
"Non mi punirai per il tetto... Vero, babbo? - disse Dario -Senza la mia astronave d'argento con le luci rosse, i Magi chissà dove sarebbero, adesso... io li ho guidati fino a Betlemme e... - alzò gli occhi verso il soffitto - Ma hai già fatto riparare il tetto, babbo?" domandò.
Il padre l'assecondò con un gesto del capo, poi:
"Adesso la mamma ti porta nel tuo lettino. Apriremo più tardi i regali. - indi, rivolta alla moglie - Come avrà fatto ad indovinare che nel pacco c'era proprio un'astronave di latta d'argento con guarnizioni rosse? ... La confezione è intatta."
"Non loso! Questo bambino è un prodigio di intuizione!"
Dario chiuse gli occhi. Era davvero stanco, ma più tardi avrebbe raccontato la sua meravigliosa avventura... adesso aveva solo voglia di dormire.
NEPER... il Genio del Grano
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NEPER – il Genio del Grano
Con queste parole, la cima del Signore della Foresta-del-Tempo, cominciò pian piano a piegarsi in avanti; Djoser rimase a guardarlo, poi dirottò l’attenzione averso il proprio piede. Non era gonfio e pareva intatto. Provò a rimettersi in piedi. Le gambe erano irrigidite. Naturale, si disse; alle sue spalle, intanto, la cima dell’immensa quercia stava quasi per toccare il suolo.
“In fondo non fa così male e il bruciore passerà presto.” provò a consolarsi, facendo un passo in avanti. Un altro e un altro ancora, poi si fermò, con l’improvvisa coscienza che un mutamento era in corso dentro di sè. Non sofferenza o dolore fisico, ma una sensazione già nota. Un senso di distacco e di perdita.
Comprese che un’altra delle sue Identità lo stava lasciando: il Ba, la più intima e profonda delle forze dello spirito. Carattere e volontà, risiedevano in esso. Nobiltà e sfavillio. Conoscenza ed intelligenza. Integrità e moralità. Per questo, lo prese una gran tristezza. Quella “partenza” era davvero una gran perdita. Nulla di buono poteva accadere adesso al suo Ka, lasciato solo indifeso e ferito. Il Ren era rimasto in custodia dei Guardiani del Ro-Stau, l’Ib vagava nel Labirinto e la Shut si era fermata ai margini del Lago di Fuoco. E adesso il Ba. Quale sorte sarebbe toccata alla sua Anima? Non quella di Sikty, sperava.
Nome e Ombra, Cuore e Anima erano stati con lui per sedici anni. Lo avevano accompagnato e protetto, difeso e incoraggiato. Sarebbero ritornati a lui? Senza di loro si sentiva abbandonato e perso. Non sapeva cosa fare. Si sentiva come quel marinaio in mezzo al mare, di notte, con il cielo coperto e privo di orientamento. Improvvisamente si sentì chiamare:
“Djoser, Colui-che-è-uscito-dal-Papiro! Guarda verso di me.”
Era una vocetta gentile e soave, dolce e suadente. Djoser si girò e lo vide, proprio dietro di lui. Gli arrivava appena alla cintola.
Era un bambino. Il bambino più strano e incredibile che avesse mai visto in vita sua. La pelle era verde e verde erano anche i capelli lunghi, lisci e simili a spighette di grano non ancora maturo. In fondo alle braccia ed alle caviglie, mani e piedi terminavano in lunghe dita a germoglio. Il volto, parve Djoser, assomigliava a quello del suo amico Sikty, ma il sembiante era
di una dolcezza toccante.
“Chi sei?” fu la prima cosa che a Djoser venne in mente di chiedergli, sicuro che non fosse lì per nuocere a lui; quello sorrise, tendendo verso di lui il braccio dai verdi germogli.
“Non mi riconosci? Sono la Guida del tuo Ba.”
“La Guida del mio Ba? – Djoser restò qualche attimo a fissarlo con espressione incredula – Ma sei così piccolo!”
“Sto crescendo. Sto crescendo insieme a te. Alla fine del tuo viaggio, sarò cresciuto e maturo.”
“Vuoi guidarmi? E dove vuoi portarmi?”
“Non è il tuo Ka che voglio guidare. Lui deve percorrere da solo le vie della Duat. Io voglio guidare il tuo Ba.”
“Ma Tu… tu… Ho capito chi sei! – proruppe Djoser - Tu sei Neper, la Guida delle Anime-Ba.”
Era proprio Neper, il Grano-Divinizzato. Era il Genio Benevolo che conduceva l’Anima-Ba attraverso l’Aldilà, nell’attesa di ricongiungersi al Ka, di ritorno, Giustificato e Glorificato, dal Giudizio di Osiride.
Così come la vita vegetale si rigenerava attraverso la semina, l’apparente scomparsa sotterranea, anche
l’Anima poteva sperare nella propria rigenerazione e salvezza.
Il piccolo Genio sorrise e sollevò verso l’alto il braccino dai lunghi germogli. Solo in quel momento Djoser parve accorgersi che l’airone azzurro stava frollando sul suo capo e scoprì che la sua testa era umana e la faccia era la sua: quell’airone era il suo Ba e stava per volare lontano, guidato dal Genio del Grano.
Indefinibile, la sensazione che provò nel vederli allontanarsi. Molto simile, pensò, a quella che deve provare una pianta divelta dal suolo o un frutto staccato da un ramo. Lui si sentiva assai simile a quel ramo ed a quella pianta.
(continua)
brano tratto dal libro di Maria Pace:
"DJOSER e lo Scettro di Anubi"
edito da Editrice MONTECOVELLO
I genietti verdi
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Forse a causa di un’improvvisa stanchezza che gli rallentava il passo, forse per una vertigine, d’un tratto inciampò in un groviglio di radici disposte in così mirabile complessità, così strettamente intrecciate, da sembrare un nido.
Scelse la più grossa di quelle radici per fermarsi a riposare un po’. Era stanco e il braccio escoriato bruciava come fuoco. Sedette e recitò:
“Oh, Thot, che hai a cuore la protezione delle ferite,
proteggi Djoser; che non sia trascinato per le braccia.
Che non gli sia fatta violenza e possa procedere salvo e…”
Un sibilo lungo e regolare, come di un profondo respiro, interruppe la sua litania. Tese l’orecchio per ascoltare meglio.
“Psss…zzz… Psss…zzz.” sembrava proprio il respiro pesante di qualcuno che stava dormendo.
“Qualcuno sta russando… Deve esserci qualcuno beatamente addormentato. Chi sarà mai? Forse qualche Anima-Akh sulla strada degli Hotep-Jaru… Non vedo bagliori: le Anime Gloriose non emettono luce?” si chiese guardandosi intorno.
Scoprì che la grossa radice su cui stava seduto era proprio la sporgenza di un nido. Era sistemato all’interno di una larga buca e circondato dalle radici di un grosso albero.
Adagiato su un letto di morbido fogliame, qualcuno, raggomitolato su se stesso, era placidamente addormentato.
Si arrampicò sulle radici per guardare meglio e vide un ragazzo. Un adolescente. Poteva avere dieci o undici anni. Dormiva a braccia conserte e ginocchia raccolte. Il petto si gonfiava ritmicamente al respiro e dalle labbra semiaperte usciva quel sibilo quasi musicale che aveva attirato la sua attenzione.
Era tutto verde. Dai capelli ai piedi. Le ciglia socchiuse, verdi anche quelle, si muovevano al ritmo del respiro; le piccole narici fremevano e il sembiante era tutto un sorriso, come se il Deforme-Bes avesse messo dietro la sua fronte, sogni allegri e vivaci.
“Neper! – esclamò, riconoscendolo alla prima occhiata – Ma è il piccolo Neper che dorme nella sua culla.”
Era proprio Neper ed era cresciuto dal loro ultimo incontro. Somigliava sempre più a quella piccola canaglia del suo amico Mosè… a parte il colore della pelle.
Continuò a fissarlo, dall’alto di quel groviglio di rovi, sterpi e radici, seguendo con sguardo quasi d’affetto ogni più impercettibile movimento attraverso cui il fanciullo emetteva sfolgorii e verdi bagliori.
Come richiamato dal suo sguardo, il Genio del Grano, aprì gli occhi e gettò intorno una rapido sguardo fangoso ed annebbiato, poi li richiuse. Li riaprì immediatamente dopo, però, balzando a sedere; non pareva essersi ancora accorto della presenza di Djoser.
“Ohhh! – sbadigliò stendendo le braccia ed aprendo le mani e le dita affusolate, da cui spuntavano verdi germogli – Che sonno! Non è ancora tempo… Cosa può avermi svegliato?”
“Sono stato io. Sei cresciuto dall’ultima volta.” esordì Djoser.
“E tu chi sei? Ahhh!...” tornò a sbadigliare il piccolo Genio del grano, scattando in piedi.
“Sei cresciuto dall’ultima volta.” ripetè Djoser.
”E tu chi sei?” Neper rifece la domanda stiracchiandosi e mostrandosi in tutta la persona. Era diventato alto quanto lui, pensò Djoser, e forse anche di più, ma il fisico era rimasto quello svelto e scattante di un adolescente.
“Djoser? – il tono gioioso di Neper-adolescente, spezzò le sue considerazioni – Sei proprio Djoser!”
“Sono proprio Djoser, Colui-che-esce…”
“No! No! – l’interruppe l’altro scrollando il capo; i capelli verdi, arruffati come erba cipollina, sembravano un nido di passeri; dagli occhi partì un bagliore turchese che riempì l’aria di sfolgorii – Non bisogna pronunciare mai invano il proprio nome segreto. So bene chi sei. Mi ricordo di te. Qualcun altro, con malevoli intenzioni, potrebbe anch’egli ricordarsi di te.”
“Davvero? Non ho visto nessuno qui intorno da quando vi ho messo piede, all’infuori di Neper, che ho lasciato fanciullo e ritrovo ragazzo.”
Djoser gli sfiorò la spalla sinistra, su cui era venuto a posarsi un piccolo di airone dal piumaggio grigio-argento. Quella vista gli riportò alla mente l’airone azzurro, la forma assunta dalla sua Anima-Ba e Neper-fanciullo che la prendeva in custodia per attraversare il Mondo-di-Sotto. Stava proprio per chiedergli di quell’airone, ma l’altro lo prevenne:
“Occhi ed orecchie sono nascosti dentro ogni calice, dietro foglie, rami e radici, pronti a portarti via il tuo nome-ren.” lo informò, con quella stessa espressione che anche il piccolo amico Mosè amava assumere per le sue confidenze.
“Chi mai potrebbe avere questa intenzione? – replicò Djoser con un sorriso – Non ho veduto nemmeno l’ombra di un’anima defunta, da quando sono arrivato qui, come dicevo prima e…”
“Ne sei davvero sicuro?” sorrise Neper, amabilmente e con un pizzico di malizia, scuotendo il capo e facendo oscillare lo stelo di papiro che gli tratteneva i capelli sulla fronte.
“Non capisco.” insistette Djoser.
Neper allora sollevò il ramo d’ulivo che stringeva nella destra e tracciò nell’aria la sagoma di una nuvola dai riflessi dorati. Djoser credette di vedere abbaglianti lumicini aprirsi e richiudersi in rapida successione al suo interno: un attimo dopo era circondato da una folla di minuscole creature verdi che gli svolazzavano intorno.
Buffi e bizzarri, avevano teste enormi e vaporosi capelli da cui spuntavano fiorellini, foglie e radici.
“Chi… Che cosa sono queste creature?”
Rumorose, vicaci ed anche un po’ impertinenti, le piccole creature gli giravano intorno vorticosamente tenendosi per mano in un allegro girotondo. Agitavano germogli di grano e qualcuna osava addirittura avvicinarsi così tanto al suo naso da stuzzicarlo fino a farlo starnutire, come quando, nella stagione della Germinazione, l’aria si riempiva di pulviscolo di fiori.
“Chi sono queste piccole creature?” domandò ancora il ragazzo, incapace di controllarne l’incontenibile vivacità. Quando cercava di afferrarne qualcuna, eccole sparire tutte, perfettamente mimetizzate nell’ambiente, ma ricomparivano subito dopo più vispe e vivaci ancora. Gli occhietti tondi e luccicanti, fissi su di lui, parevano torce accese e le faccette verdi, si confondevano nell’erba.
“Sono i Genietti del grano e della vegetazione.” spiegò Neper.
“Non capisco.” continuava a ripetere il ragazzo.
“Non capisci? Come fai a non capire? Sono i Genietti del grano e della vegetazione. – sottolineò Neper - Vivono nascosti tra petali di fiori, foglie di grano, muschio e licheni… Guarda. Guarda, Djoser.. arrivano da ogni parte.”
Arrivavano a decine, svolazzando nell’aria o spuntando dal suolo o staccandosi da qualche radice; qualcuno arrivò perfino cavalcando piccole, coloratissime farfalle.
“Sono i Genietti dei germogli di grano. Sono loro che al momento della germinazione danno la spinta al chicco che si sveglia dal lungo dormire e spunta di sopra, nella pelle rugosa del generoso Geb, Signore della Terra. Ognuno di quei germogli metterà una spiga che darà agli uomini tanti chicchi.”
E prima che Djoser si riavesse dalla meraviglia:
“Chicolino, dove sei?” – cominciò a canticchiare -
Sotto terra, non lo sai?
E là sotto, non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.”
A questo punto gli occhi di Djoser sfavillarono. Quella filastrocca gliela recitava sempre sua madre.
“Dormi sempre, ma perché?”
“Voglio crescere come te.” gli fece eco il verde amichetto.
“E se tanto dormirai, chiccolino, che farai?”
“Una spiga metterò e tanti chicchi ti darò.”
“Oh!” gioì Djoser, al colmo di una meraviglia che Neper, però, smorzò subito, ordinando ai folletti di tornare nelle loro culle.
“Non è ancora giunto il mio tempo. – spiegò con un sorriso quasi di scusa – Se cominciassi a spingere i germogli fuori della pelle di Geb prima del tempo consentito, quelle che i contadini mieterebbero, sarebbero spighe gracili e vuote. Devo tornare alla mia occupazione che… ah.ah.ah… è quella di dormire nella mia culla.”
“Capisco!” assentì malinconicamente Djoser.
“E tu devi continuare il tuo percorso. La Settima Ora è davvero vicina.” l’avvertì Neper portandosi una mano sul sopracciglio e aguzzando la vista per fissare i rossi vapori che si staccavano dall’orizzonte; Djoser fece un cenno affermativo del capo.
”Fai attenzione: non sono tutte gradevoli, le creature che transitano da queste parti.” e con quelle parole, già pronto al letargo, il Genio del Grano si accinse a rientrare nel nido. (continua)
brano tratto dal libro di Maria Pace
"DJOSER e i Libri di Thot"
di prossima pubblicazione
Scelse la più grossa di quelle radici per fermarsi a riposare un po’. Era stanco e il braccio escoriato bruciava come fuoco. Sedette e recitò:
“Oh, Thot, che hai a cuore la protezione delle ferite,
proteggi Djoser; che non sia trascinato per le braccia.
Che non gli sia fatta violenza e possa procedere salvo e…”
Un sibilo lungo e regolare, come di un profondo respiro, interruppe la sua litania. Tese l’orecchio per ascoltare meglio.
“Psss…zzz… Psss…zzz.” sembrava proprio il respiro pesante di qualcuno che stava dormendo.
“Qualcuno sta russando… Deve esserci qualcuno beatamente addormentato. Chi sarà mai? Forse qualche Anima-Akh sulla strada degli Hotep-Jaru… Non vedo bagliori: le Anime Gloriose non emettono luce?” si chiese guardandosi intorno.
Scoprì che la grossa radice su cui stava seduto era proprio la sporgenza di un nido. Era sistemato all’interno di una larga buca e circondato dalle radici di un grosso albero.
Adagiato su un letto di morbido fogliame, qualcuno, raggomitolato su se stesso, era placidamente addormentato.
Si arrampicò sulle radici per guardare meglio e vide un ragazzo. Un adolescente. Poteva avere dieci o undici anni. Dormiva a braccia conserte e ginocchia raccolte. Il petto si gonfiava ritmicamente al respiro e dalle labbra semiaperte usciva quel sibilo quasi musicale che aveva attirato la sua attenzione.
Era tutto verde. Dai capelli ai piedi. Le ciglia socchiuse, verdi anche quelle, si muovevano al ritmo del respiro; le piccole narici fremevano e il sembiante era tutto un sorriso, come se il Deforme-Bes avesse messo dietro la sua fronte, sogni allegri e vivaci.
“Neper! – esclamò, riconoscendolo alla prima occhiata – Ma è il piccolo Neper che dorme nella sua culla.”
Era proprio Neper ed era cresciuto dal loro ultimo incontro. Somigliava sempre più a quella piccola canaglia del suo amico Mosè… a parte il colore della pelle.
Continuò a fissarlo, dall’alto di quel groviglio di rovi, sterpi e radici, seguendo con sguardo quasi d’affetto ogni più impercettibile movimento attraverso cui il fanciullo emetteva sfolgorii e verdi bagliori.
Come richiamato dal suo sguardo, il Genio del Grano, aprì gli occhi e gettò intorno una rapido sguardo fangoso ed annebbiato, poi li richiuse. Li riaprì immediatamente dopo, però, balzando a sedere; non pareva essersi ancora accorto della presenza di Djoser.
“Ohhh! – sbadigliò stendendo le braccia ed aprendo le mani e le dita affusolate, da cui spuntavano verdi germogli – Che sonno! Non è ancora tempo… Cosa può avermi svegliato?”
“Sono stato io. Sei cresciuto dall’ultima volta.” esordì Djoser.
“E tu chi sei? Ahhh!...” tornò a sbadigliare il piccolo Genio del grano, scattando in piedi.
“Sei cresciuto dall’ultima volta.” ripetè Djoser.
”E tu chi sei?” Neper rifece la domanda stiracchiandosi e mostrandosi in tutta la persona. Era diventato alto quanto lui, pensò Djoser, e forse anche di più, ma il fisico era rimasto quello svelto e scattante di un adolescente.
“Djoser? – il tono gioioso di Neper-adolescente, spezzò le sue considerazioni – Sei proprio Djoser!”
“Sono proprio Djoser, Colui-che-esce…”
“No! No! – l’interruppe l’altro scrollando il capo; i capelli verdi, arruffati come erba cipollina, sembravano un nido di passeri; dagli occhi partì un bagliore turchese che riempì l’aria di sfolgorii – Non bisogna pronunciare mai invano il proprio nome segreto. So bene chi sei. Mi ricordo di te. Qualcun altro, con malevoli intenzioni, potrebbe anch’egli ricordarsi di te.”
“Davvero? Non ho visto nessuno qui intorno da quando vi ho messo piede, all’infuori di Neper, che ho lasciato fanciullo e ritrovo ragazzo.”
Djoser gli sfiorò la spalla sinistra, su cui era venuto a posarsi un piccolo di airone dal piumaggio grigio-argento. Quella vista gli riportò alla mente l’airone azzurro, la forma assunta dalla sua Anima-Ba e Neper-fanciullo che la prendeva in custodia per attraversare il Mondo-di-Sotto. Stava proprio per chiedergli di quell’airone, ma l’altro lo prevenne:
“Occhi ed orecchie sono nascosti dentro ogni calice, dietro foglie, rami e radici, pronti a portarti via il tuo nome-ren.” lo informò, con quella stessa espressione che anche il piccolo amico Mosè amava assumere per le sue confidenze.
“Chi mai potrebbe avere questa intenzione? – replicò Djoser con un sorriso – Non ho veduto nemmeno l’ombra di un’anima defunta, da quando sono arrivato qui, come dicevo prima e…”
“Ne sei davvero sicuro?” sorrise Neper, amabilmente e con un pizzico di malizia, scuotendo il capo e facendo oscillare lo stelo di papiro che gli tratteneva i capelli sulla fronte.
“Non capisco.” insistette Djoser.
Neper allora sollevò il ramo d’ulivo che stringeva nella destra e tracciò nell’aria la sagoma di una nuvola dai riflessi dorati. Djoser credette di vedere abbaglianti lumicini aprirsi e richiudersi in rapida successione al suo interno: un attimo dopo era circondato da una folla di minuscole creature verdi che gli svolazzavano intorno.
Buffi e bizzarri, avevano teste enormi e vaporosi capelli da cui spuntavano fiorellini, foglie e radici.
“Chi… Che cosa sono queste creature?”
Rumorose, vicaci ed anche un po’ impertinenti, le piccole creature gli giravano intorno vorticosamente tenendosi per mano in un allegro girotondo. Agitavano germogli di grano e qualcuna osava addirittura avvicinarsi così tanto al suo naso da stuzzicarlo fino a farlo starnutire, come quando, nella stagione della Germinazione, l’aria si riempiva di pulviscolo di fiori.
“Chi sono queste piccole creature?” domandò ancora il ragazzo, incapace di controllarne l’incontenibile vivacità. Quando cercava di afferrarne qualcuna, eccole sparire tutte, perfettamente mimetizzate nell’ambiente, ma ricomparivano subito dopo più vispe e vivaci ancora. Gli occhietti tondi e luccicanti, fissi su di lui, parevano torce accese e le faccette verdi, si confondevano nell’erba.
“Sono i Genietti del grano e della vegetazione.” spiegò Neper.
“Non capisco.” continuava a ripetere il ragazzo.
“Non capisci? Come fai a non capire? Sono i Genietti del grano e della vegetazione. – sottolineò Neper - Vivono nascosti tra petali di fiori, foglie di grano, muschio e licheni… Guarda. Guarda, Djoser.. arrivano da ogni parte.”
Arrivavano a decine, svolazzando nell’aria o spuntando dal suolo o staccandosi da qualche radice; qualcuno arrivò perfino cavalcando piccole, coloratissime farfalle.
“Sono i Genietti dei germogli di grano. Sono loro che al momento della germinazione danno la spinta al chicco che si sveglia dal lungo dormire e spunta di sopra, nella pelle rugosa del generoso Geb, Signore della Terra. Ognuno di quei germogli metterà una spiga che darà agli uomini tanti chicchi.”
E prima che Djoser si riavesse dalla meraviglia:
“Chicolino, dove sei?” – cominciò a canticchiare -
Sotto terra, non lo sai?
E là sotto, non fai nulla?
Dormo dentro la mia culla.”
A questo punto gli occhi di Djoser sfavillarono. Quella filastrocca gliela recitava sempre sua madre.
“Dormi sempre, ma perché?”
“Voglio crescere come te.” gli fece eco il verde amichetto.
“E se tanto dormirai, chiccolino, che farai?”
“Una spiga metterò e tanti chicchi ti darò.”
“Oh!” gioì Djoser, al colmo di una meraviglia che Neper, però, smorzò subito, ordinando ai folletti di tornare nelle loro culle.
“Non è ancora giunto il mio tempo. – spiegò con un sorriso quasi di scusa – Se cominciassi a spingere i germogli fuori della pelle di Geb prima del tempo consentito, quelle che i contadini mieterebbero, sarebbero spighe gracili e vuote. Devo tornare alla mia occupazione che… ah.ah.ah… è quella di dormire nella mia culla.”
“Capisco!” assentì malinconicamente Djoser.
“E tu devi continuare il tuo percorso. La Settima Ora è davvero vicina.” l’avvertì Neper portandosi una mano sul sopracciglio e aguzzando la vista per fissare i rossi vapori che si staccavano dall’orizzonte; Djoser fece un cenno affermativo del capo.
”Fai attenzione: non sono tutte gradevoli, le creature che transitano da queste parti.” e con quelle parole, già pronto al letargo, il Genio del Grano si accinse a rientrare nel nido. (continua)
brano tratto dal libro di Maria Pace
"DJOSER e i Libri di Thot"
di prossima pubblicazione
LA COLLANA di SCHEGGE di PIETRA
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Mosè si staccò dal collo una collanina di schegge di pietra.
"Vuoi vedere come trasformo questa collana di pietre in una catena d'oro?" disse al compagno, che lo guardava divertito e scettico.
"Vuoi farmi conoscere qualcuno dei tuoi trucchetti segreti?"
"A te? Oh no! Tu non hai bisogno di trucchetti, amico. – sorrise l'altro - Ma resta a guardare."
"Ah,ah,ah! Voglio proprio vedere come farai."
Il ragazzino si guardò intorno fino a quando i suoi occhi rapaci non puntarono un uomo accovacciato per terra a gambe incrociate, che offriva le sue ceste di grano e legumi.
"Ecco il mio uomo. E’ quel contadino laggiù. - disse prendendo l’amico per un braccio - Vieni.”
"Hai preso un colpo in testa? Non vedi quanto è grande e grosso?”
"Resta a guardare! - replicò Mosè, puntando deciso in direzione del contadino, poi - Ehi, tu!” lo apostrofò in tono deciso quando gli fu vicino. Questi sollevò subito la testa.
"Cerchi della farina per farne focaccine dolci e pane profumato, bel ragazzo? Qui puoi trovarla e la puoi portare a tua madre."
"Sì. Cerco proprio della farina da portare a mia madre. - rispose prontamente il Ratto - Come l'hai capito?”
Seguì una pausa breve e studiata, durante la quale l’uomo tentò di prendere la parola. Mosè non gliene dette il tempo.
“Oh! E’ chiaro! - riprese - Il tuo sguardo intelligente sa leggere dietro la mia fronte. Certo... Sì. Mia madre sarà contenta quando le porterò la farina. Mi chiederà: come hai capito che volevo della farina? Le risponderò che è stato un giovane assai intelligente a
capirlo per me. Sì! Mia madre ne sarà proprio contenta."
"Ma..." tentò ancora quello, alzandosi in piedi e sovrastandolo con l’imponente statura; Djoser, alle loro spalle, seguiva con espressione divertita il monologo dell'amico.
"Eccoti la mia collana da scambiare con la tua farina. Ascoltami bene, però. Ognuna di queste pietre solleva da un malanno. Osserva questa lunga e stretta: protegge dal male alla gola. Quest'altra, protegge dal male alla pancia. Prendila e provala su te stesso."
L'uomo prese la collana. La rigirò tra le mani, spostando lo sguardo dai grani di pietra alla faccia seriosa del piccolo lestofante che domandava:
"Dimmi... senti male alla pancia?"
Il contadino scosse il capo.
"Hai forse male alla gola?"
L'altro scosse ancora il capo.
"Ai denti?"
"No."
"Forse hai male alla testa?"
L’altro scosse il capo per l'ennesima volta.
"Hai visto? Stai bene perché hai nelle mani la mia collana."
Il contadino provò a muovere qualche riserva, ma la piccola canaglia prima lo rabbonì con le promesse poi lo sconfisse con le minacce:
"Portando questa al collo - scandì - vivrai senza malanno alcuno. Questi non sono grani di pietra comune, ma frammenti di pietra divina. Sono schegge di pietra di dimore divine. Se la rifiutassi, rifiuteresti la protezione e,... testa, gola, denti…”
"Ma io la prendo." lo interruppe l'altro, convinto e spaventato.
"Non ne dubitavo. - esclamò il ragazzo con estrema faccia tosta - La tua intelligenza è davvero assai evidente."
"Vieni. Vieni." Djoser lo prese per un braccio e lo trascinò via con una smorfia di divertito rimprovero per tanta sfrontatezza.
Il Ratto lo seguì con la grossa cesta di farina sulle spalle; il suo volto aveva la placidità della superficie di uno stagno.
"Guarda laggiù." disse subito dopo; il suo sguardo aveva già colpito il secondo bersaglio: un venditore di sandali.
Stava seduto davanti alla sua bottega; una delle tante. In bella vista, fuori degli usci, erano esposti prodotti d’ogni genere e forma: sandali, fibule, vasi, cinture. I bottegai si davano gran da fare per attirare l’attenzione dei passanti.
I due ragazzi si avvicinarono e Mosè cominciò la sua sceneggiata. Toccava gli oggetti con fare da intenditore. Li girava e rigirava tra le mani; scuoteva la testa o faceva gesti di gradimento.
Il mercante abboccò immediatamente e si fermò alle loro spalle.
“Una sacca per i tuoi viaggi? – domandò - Una cintura o…”
"Sono solidi i tuoi sandali?" domandò il ragazzo.
"Metteranno le ali ai tuoi piedi e ti porteranno dove varrai."
E qui, l'impareggiabile piccola canaglia mise in atto lo straordinario talento acquisito durante la sua pur breve vita randagia: la capacità di confondere il prossimo.
"Mi piacerebbe raggiungere la mia meta." cominciò.
"Ecco i sandali adatti.- rispose gongolante il mercante, convinto di averlo fatto abboccare all'amo del desiderio – Sono di solida corda di canapa, mio signore." aggiunse passando alla lode.
"Hhhhuuu..." il Ratto rispose con un incomprensibile verso.
"Chiunque li vedrà ai tuoi piedi desidererà averli ai propri."
"Devo prima liberarmi del mio peso." Mosè accennò alla cesta.
"Di quella posso liberarti io." insisteva l’altro.
"Sarebbe un buon affare per te, mercante, ma non per me. Questa farina viene dai magazzini reali. E' cibo per signori... ma io non ho bisogno di cibo. Io ho bisogno di sandali."
"E sandali, io voglio darti." abboccò l'altro.
"Così sia! Anche se con questa farina potrei comprare stoffe di lino pregiato, io la cedo a te per questi sandali."
Mosè lasciò la farina e prese i sandali; prima che il mercante potesse rifarsi i conti, si allontanò veloce.
Fu subito fermato da un venditore di profumi; un caldeo a giudicare dai suoi discorsi.
"Tendete il naso, gente. Neanche il profumo che attirò Ishtar verso l’altare, al Tempio di Babilonia, era così dolce."
Il Ratto si fermò; tese il naso verso l'ampolla.
"Oh! - recitò - Quello che dici è vero. A che mi serve andare fino a Babilonia con questi sandali per comprare profumi ed unguenti alla mia bella, se quel dolce profumo è già qui?”
“Tu sì, che hai naso, o giovane signore.” fece l’altro.
“Allora prendi, mercante. Questi sandali serviranno a te per tornare alla tua casa lontana. A me il profumo."
Lo scambio fu presto fatto.
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Prima che il mercante si riavesse dallo sconcerto, Mosè afferrò Djoser, non meno sconcertato, per un braccio e lo trascinò via con sé.
Si fermò subito, preso tra due fuochi: un venditore di canne e una venditrice di ventagli. Tentato dalla bellezza della ragazza e dalla sua voce suadente, che decantava il bel ventaglio di piume di pavone e lo stesso pavone, il Ratto, però, finì a contrattare la canna da passeggio.
Un'ampolla di profumo per una canna da passeggio dall'impugnatura d’argento finemente scolpita: un non facile scambio!
"Scegliete tra queste canne per le vostre passeggiate sul Nilo." gridava il mercante.
"E' un bell'oggetto!" L'attacco ebbe inizio.
"Tu sei fine intenditore, bel ragazzo.” disse il mercante.
"Sì... Ma... Hhhh!..." il piccolo tossì, sospirò, squadrò la sua "vittima" da capo a piedi, poi lanciò uno sguardo alle canne bene allineate per terra. Il mercante abboccò.
"Non sai deciderti, eh? Sono tutte belle. Vero?" gongolò, precipitando nella rete con un sorriso compiaciuto.
"Belle. Sì! Senti questo profumo. – Mosè gli mise l'ampolla sotto il naso - Occorre andare fino a Babilonia per trovare simile fragranza. Le tue canne, invece, a decine, si possono trovare nel quartiere dei fabbricanti di mobili. Oh! Per due o forse tre canne, potrei cederti questa divina essenza, Non vedo la mia bella da tempo e questo profumo la getterà nelle mie braccia."
Lo sguardo del giovane mercante, un po’ vanitoso ed esibizionista, mostrò immediato interesse per l’ampolla.
"Dici che questo profumo potrebbe spingere una ragazza nelle braccia di un giovanotto?"
"Credi che sia io a dirlo? Certo che è così!"
"Si potrebbe fare lo scambio con due canne. Dammi la fragranza e prendi due canne."
Il Ratto prese due canne e cedette il profumo.
"Ecco due canne a cui potrete appoggiarvi quando passeggerete con la vostra bella nei boschetti di Men-ank o di Get-Sut. Le ragazze che vi vedranno passeggiare diranno: come vorrei appoggiarmi a quelle canne e sospirare nei boschetti." prese a gridare; qualcuno guardò, ammirò, contrattò, ma Mosè aveva già scelto il malcapitato su cui porre gli occhi rapaci: un gioielliere.
"Se fossi una ragazza impazzirei di gioia di fronte a queste meraviglie." esclamò, fingendosi estasiato davanti a spille, anelli, collane; al suo fianco Djoser seguiva muto la scenetta.
"Non sei una ragazza, ma avrai una sorella, una madre o un'amica a cui donare una di queste gioie." esordì il mercante, ignaro della trappola di parole in cui si stava per cacciare.
"La mia promessa mi aspetta nella casa di suo padre, dove sto per farle visita. Non ho avuto ancora il piacere di conoscerla. Siamo ancora troppo giovani, io e la mia bella."
"Quale occasione migliore per presentarsi a lei con un gioiello.” "Un paio di orecchini d'oro... forse."
"Un paio di orecchini d'oro." ripeté sorridendo l'altro.
"Per ora ho comprato due canne da passeggio per suo padre."
"Due canne per il padre e niente per la figlia?"
"Sono talmente belle che vorrò tenerle tutte e due. Potrei cederne una per un paio di orecchini, ma non vedo orecchini degni dello scambio. Le mie canne sono troppo preziose."
"Non vedi orecchini degni di scambio? - ripeté il mercante un po' indispettito dall’incompetenza del suo interlocutore - Queste due gocce di corniola imprigionate in un cerchio d'oro non ti sembrano degne di ornare il lobo della tua bella?... E questi due turchesi? Non sono più luminosi della Celeste Nut? Non potrebbero degnamente ornare le orecchie di una graziosa ragazza, mio giovane signore?" continuava il mercante, ormai in trappola.
"Le due gocce di corniola." disse il ragazzo.
"Così sia! - si arrese l'altro - Due orecchini per una canna."
"E' il miglior affare della tua giornata, mercante, ma il mio è il cuore di un innamorato." Sospirò Mosè prendendo gli orecchini e tendendo una delle canne, poi si allontanò rapido.
"Adesso cerchiamo una collana d'oro."
"Pensi per davvero di scambiare quegli orecchini con una collana?”
"Certo! Cerchiamo qualche ladruncolo."
Ladri in azione e spacciatori di refurtiva non mancavano mai nei mercati, nonostante le guardie e le loro attivissime verghe. Mosè individuò immediatamente in quella marea di gente un esemplare appartenente alla sua stessa specie. Era un giovane sui venti anni, alto, magro e coperto di stracci. La mano destra era chiusa ad artiglio intorno ad un nodoso bastone coperto di polvere; anche i sandali, di ruvida corda intrecciata, che non portava ai piedi, ma attaccati al bastone, erano impolverati e
così gli stracci e perfino la testa.
"Guarda quel merit. Guarda l'oggetto che ha in mano e che sta mostrando in giro con tanta circospezione."
"E' una collana e mi pare molto preziosa."
"Credi che nelle campagne da dove è arrivato, le donne portino al collo collane come quella?"
"Certo che no!"
"Quel bifolco darà a me quella collana."
Il Ratto si fece avanti deciso. Giuntogli alle spalle, lo prese saldamente per un braccio; il contadino ebbe un sussulto.
"Mostrami la tua collana." ordinò perentorio il piccolo Mosè.
"La collana? Quale collana?"
"Quella che tu stai nascondendo dentro la tua manaccia."
Vistosi scoperto, il contadino tentò la fuga, ma senza fortuna.
"L'hai rubata? A chi l'hai rubata?" domandò Djoser.
"Non l'ho rubata."
"Stai mentendo. Chiama la guardia, Mosè… subito…"
"Non l'ho rubata, vi dico. – si spaventò quello - L'ho trovata. L’ho trovata per terra. Lo giuro nel nome di tutti gli Dei."
"Basta così. Ti crediamo." si convinse Djoser e Mosè ne approfittò per mettere in atto i suoi propositi.
"Non ti dispiacerà cederla, allora, a me in cambio di questi orecchini. Faranno la gioia della tua bella e ti eviteranno la verga della guardia.”
"Prendila e dammi i tuoi orecchini."
"Adesso sì, che hai fatto un buon guadagno. E anche lecito! - Mosè prese la collana e cedette gli orecchini, poi a Djoser - Andiamo. Il ronzio di tutte queste voci è molestia per le mie orecchie."
Lasciarono il mercato; il Ratto sogghignava soddisfatto.
"Hai visto, amico, come si trasforma una collana di pietre in una
collana d'oro?" esclamò, agitando tutto orgoglioso anche la canna che gli era avanzata dallo scambio.
"Sì, ma tu hai approfittato dell’ingenuità di quella gente!"
"Ingenuità? La loro é stupidità ed ignoranza. - replicò convinto l'amico - Tanta stupidità ed ignoranza non deve andare sprecata, se può essere di qualche utilità a qualcuno."
"A te? Non capisci che quello che dici non è giusto nè onesto!"
"Davvero? Se questa collana fosse rimasta nelle mani di quel contadino, quello l’avrebbe venduta per una ciambella a qualcuno più furbo di lui! In questo modo, sono felici tutti: il contadino che, quando avrà mal di capo o di pancia per il troppo sole o troppo cibo, crederà che a farglielo passare saranno state le pietre della mia collana. Il venditore di sandali, quando si sazierà con del buon pane bianco ben cotto e il mercante di profumi, che tornerà a casa con un paio di sandali nuovi ai piedi. Sarà felice anche l'uomo delle canne, quando la fragranza di Babilonia gli guadagnerà le grazie della sua bella e così l'amata di quel merit, quando potrà ornarsi con orecchini degni di una regina... E sarà felice la tua principessa, quando le donerai questa collana."
"La mia principessa?" stupì Djoser, che aveva seguito quel fiume di
(continua)
brano tratto dal libro di Maria PACE
"DJOSER e lo Scettro di Anubi"
edito da Editrice MONTECOVELLO
presso tutte le librerie o direttamente alla Casa Editrice
Si fermò subito, preso tra due fuochi: un venditore di canne e una venditrice di ventagli. Tentato dalla bellezza della ragazza e dalla sua voce suadente, che decantava il bel ventaglio di piume di pavone e lo stesso pavone, il Ratto, però, finì a contrattare la canna da passeggio.
Un'ampolla di profumo per una canna da passeggio dall'impugnatura d’argento finemente scolpita: un non facile scambio!
"Scegliete tra queste canne per le vostre passeggiate sul Nilo." gridava il mercante.
"E' un bell'oggetto!" L'attacco ebbe inizio.
"Tu sei fine intenditore, bel ragazzo.” disse il mercante.
"Sì... Ma... Hhhh!..." il piccolo tossì, sospirò, squadrò la sua "vittima" da capo a piedi, poi lanciò uno sguardo alle canne bene allineate per terra. Il mercante abboccò.
"Non sai deciderti, eh? Sono tutte belle. Vero?" gongolò, precipitando nella rete con un sorriso compiaciuto.
"Belle. Sì! Senti questo profumo. – Mosè gli mise l'ampolla sotto il naso - Occorre andare fino a Babilonia per trovare simile fragranza. Le tue canne, invece, a decine, si possono trovare nel quartiere dei fabbricanti di mobili. Oh! Per due o forse tre canne, potrei cederti questa divina essenza, Non vedo la mia bella da tempo e questo profumo la getterà nelle mie braccia."
Lo sguardo del giovane mercante, un po’ vanitoso ed esibizionista, mostrò immediato interesse per l’ampolla.
"Dici che questo profumo potrebbe spingere una ragazza nelle braccia di un giovanotto?"
"Credi che sia io a dirlo? Certo che è così!"
"Si potrebbe fare lo scambio con due canne. Dammi la fragranza e prendi due canne."
Il Ratto prese due canne e cedette il profumo.
"Ecco due canne a cui potrete appoggiarvi quando passeggerete con la vostra bella nei boschetti di Men-ank o di Get-Sut. Le ragazze che vi vedranno passeggiare diranno: come vorrei appoggiarmi a quelle canne e sospirare nei boschetti." prese a gridare; qualcuno guardò, ammirò, contrattò, ma Mosè aveva già scelto il malcapitato su cui porre gli occhi rapaci: un gioielliere.
"Se fossi una ragazza impazzirei di gioia di fronte a queste meraviglie." esclamò, fingendosi estasiato davanti a spille, anelli, collane; al suo fianco Djoser seguiva muto la scenetta.
"Non sei una ragazza, ma avrai una sorella, una madre o un'amica a cui donare una di queste gioie." esordì il mercante, ignaro della trappola di parole in cui si stava per cacciare.
"La mia promessa mi aspetta nella casa di suo padre, dove sto per farle visita. Non ho avuto ancora il piacere di conoscerla. Siamo ancora troppo giovani, io e la mia bella."
"Quale occasione migliore per presentarsi a lei con un gioiello.” "Un paio di orecchini d'oro... forse."
"Un paio di orecchini d'oro." ripeté sorridendo l'altro.
"Per ora ho comprato due canne da passeggio per suo padre."
"Due canne per il padre e niente per la figlia?"
"Sono talmente belle che vorrò tenerle tutte e due. Potrei cederne una per un paio di orecchini, ma non vedo orecchini degni dello scambio. Le mie canne sono troppo preziose."
"Non vedi orecchini degni di scambio? - ripeté il mercante un po' indispettito dall’incompetenza del suo interlocutore - Queste due gocce di corniola imprigionate in un cerchio d'oro non ti sembrano degne di ornare il lobo della tua bella?... E questi due turchesi? Non sono più luminosi della Celeste Nut? Non potrebbero degnamente ornare le orecchie di una graziosa ragazza, mio giovane signore?" continuava il mercante, ormai in trappola.
"Le due gocce di corniola." disse il ragazzo.
"Così sia! - si arrese l'altro - Due orecchini per una canna."
"E' il miglior affare della tua giornata, mercante, ma il mio è il cuore di un innamorato." Sospirò Mosè prendendo gli orecchini e tendendo una delle canne, poi si allontanò rapido.
"Adesso cerchiamo una collana d'oro."
"Pensi per davvero di scambiare quegli orecchini con una collana?”
"Certo! Cerchiamo qualche ladruncolo."
Ladri in azione e spacciatori di refurtiva non mancavano mai nei mercati, nonostante le guardie e le loro attivissime verghe. Mosè individuò immediatamente in quella marea di gente un esemplare appartenente alla sua stessa specie. Era un giovane sui venti anni, alto, magro e coperto di stracci. La mano destra era chiusa ad artiglio intorno ad un nodoso bastone coperto di polvere; anche i sandali, di ruvida corda intrecciata, che non portava ai piedi, ma attaccati al bastone, erano impolverati e
così gli stracci e perfino la testa.
"Guarda quel merit. Guarda l'oggetto che ha in mano e che sta mostrando in giro con tanta circospezione."
"E' una collana e mi pare molto preziosa."
"Credi che nelle campagne da dove è arrivato, le donne portino al collo collane come quella?"
"Certo che no!"
"Quel bifolco darà a me quella collana."
Il Ratto si fece avanti deciso. Giuntogli alle spalle, lo prese saldamente per un braccio; il contadino ebbe un sussulto.
"Mostrami la tua collana." ordinò perentorio il piccolo Mosè.
"La collana? Quale collana?"
"Quella che tu stai nascondendo dentro la tua manaccia."
Vistosi scoperto, il contadino tentò la fuga, ma senza fortuna.
"L'hai rubata? A chi l'hai rubata?" domandò Djoser.
"Non l'ho rubata."
"Stai mentendo. Chiama la guardia, Mosè… subito…"
"Non l'ho rubata, vi dico. – si spaventò quello - L'ho trovata. L’ho trovata per terra. Lo giuro nel nome di tutti gli Dei."
"Basta così. Ti crediamo." si convinse Djoser e Mosè ne approfittò per mettere in atto i suoi propositi.
"Non ti dispiacerà cederla, allora, a me in cambio di questi orecchini. Faranno la gioia della tua bella e ti eviteranno la verga della guardia.”
"Prendila e dammi i tuoi orecchini."
"Adesso sì, che hai fatto un buon guadagno. E anche lecito! - Mosè prese la collana e cedette gli orecchini, poi a Djoser - Andiamo. Il ronzio di tutte queste voci è molestia per le mie orecchie."
Lasciarono il mercato; il Ratto sogghignava soddisfatto.
"Hai visto, amico, come si trasforma una collana di pietre in una
collana d'oro?" esclamò, agitando tutto orgoglioso anche la canna che gli era avanzata dallo scambio.
"Sì, ma tu hai approfittato dell’ingenuità di quella gente!"
"Ingenuità? La loro é stupidità ed ignoranza. - replicò convinto l'amico - Tanta stupidità ed ignoranza non deve andare sprecata, se può essere di qualche utilità a qualcuno."
"A te? Non capisci che quello che dici non è giusto nè onesto!"
"Davvero? Se questa collana fosse rimasta nelle mani di quel contadino, quello l’avrebbe venduta per una ciambella a qualcuno più furbo di lui! In questo modo, sono felici tutti: il contadino che, quando avrà mal di capo o di pancia per il troppo sole o troppo cibo, crederà che a farglielo passare saranno state le pietre della mia collana. Il venditore di sandali, quando si sazierà con del buon pane bianco ben cotto e il mercante di profumi, che tornerà a casa con un paio di sandali nuovi ai piedi. Sarà felice anche l'uomo delle canne, quando la fragranza di Babilonia gli guadagnerà le grazie della sua bella e così l'amata di quel merit, quando potrà ornarsi con orecchini degni di una regina... E sarà felice la tua principessa, quando le donerai questa collana."
"La mia principessa?" stupì Djoser, che aveva seguito quel fiume di
(continua)
brano tratto dal libro di Maria PACE
"DJOSER e lo Scettro di Anubi"
edito da Editrice MONTECOVELLO
presso tutte le librerie o direttamente alla Casa Editrice
LE FATE
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INTRODUZIONE
Boschi, sorgenti, ruscelli, insenature; imbocco di grotte, screpolatura di rocce, anfratto di scogliere… è qui che si incontrano le prodigiose creature della fantasia e della mitologia.
E’ qui che vivono Fate e Folletti, Ninfe e Sirene, ma anche Maghi e Streghe, Gorgoni e Moire.
E’ qui che si incontrano, dove non passa orma, non s’ode suono, voce o respiro umano: spazi invisibili, mondi celati e sconosciuti, i cui magici battenti sono aperti solo alla fantasia ed al sogno.
E’ l’universo del Fantastico: Fiaba e Fantasia. Leggende e racconti che si tramandano a voce per generazione o che si scoprono o… “riscoprono” aprendo le pagine di un libro polveroso dimenticato in soffitta.
La letteratura fantastica, in realtà, ha una lunga, lunghissima tradizione. Si sviluppa nella seconda metà dell’800, ma affonda le radici in un passato assai più lontano.
Nasce dal mito, dalla metafora, dalla magia e dal surreale e l’elemento dominante è la meraviglia, lo stupore e perfino la paura.
C’è differenza, infatti, tra il genere Fantasy e il genere Fiabesco.
Il primo sollecita paura, angoscia ed inquietudine e lo fa attraverso la scelta delle ambientazioni: cimiteri, sotterranei, castelli medievali, cripte, i quali sono percepiti come reali, verificabili e possibili.
Nella fiaba, invece, i personaggi e le ambientazioni appaiono subito come irreali e impossibili… teoricamente… in realtà, orchi e lupi cattivi hanno piacevolissimamente terrorizzato la nostra infanzia.
La tradizione fantastica europea ha radici soprattutto nel mondo celtico, eppure, questa non esisterebbe, se non alla luce della mitologia classica: fate e streghe, folletti e gnomi, sono l’eco di ninfe e maghe, geni e satiri che le culture successive e soprattutto la Chiesa Cristiana, ha ridotto a dimensione di favole. (dal momento che non poteva completamente cancellarla)
Tutti i popoli, di tutte le epoche, annoverano nel proprio patrimonio culturale la presenza di bellissime fanciulle dotate di poteri magici e sovrannaturali.
Fanciulle pronte ad elargire favori, ma anche a spargere disgrazie.
Sono stati dati loro nomi diversi e attribuite loro diverse funzioni, ma il concetto e sempre stato il medesimo: Fata – Strega – Ninfa – Furia… Sirena.
Boschi, sorgenti, ruscelli, insenature; imbocco di grotte, screpolatura di rocce, anfratto di scogliere… è qui che si incontrano le prodigiose creature della fantasia e della mitologia.
E’ qui che vivono Fate e Folletti, Ninfe e Sirene, ma anche Maghi e Streghe, Gorgoni e Moire.
E’ qui che si incontrano, dove non passa orma, non s’ode suono, voce o respiro umano: spazi invisibili, mondi celati e sconosciuti, i cui magici battenti sono aperti solo alla fantasia ed al sogno.
E’ l’universo del Fantastico: Fiaba e Fantasia. Leggende e racconti che si tramandano a voce per generazione o che si scoprono o… “riscoprono” aprendo le pagine di un libro polveroso dimenticato in soffitta.
La letteratura fantastica, in realtà, ha una lunga, lunghissima tradizione. Si sviluppa nella seconda metà dell’800, ma affonda le radici in un passato assai più lontano.
Nasce dal mito, dalla metafora, dalla magia e dal surreale e l’elemento dominante è la meraviglia, lo stupore e perfino la paura.
C’è differenza, infatti, tra il genere Fantasy e il genere Fiabesco.
Il primo sollecita paura, angoscia ed inquietudine e lo fa attraverso la scelta delle ambientazioni: cimiteri, sotterranei, castelli medievali, cripte, i quali sono percepiti come reali, verificabili e possibili.
Nella fiaba, invece, i personaggi e le ambientazioni appaiono subito come irreali e impossibili… teoricamente… in realtà, orchi e lupi cattivi hanno piacevolissimamente terrorizzato la nostra infanzia.
La tradizione fantastica europea ha radici soprattutto nel mondo celtico, eppure, questa non esisterebbe, se non alla luce della mitologia classica: fate e streghe, folletti e gnomi, sono l’eco di ninfe e maghe, geni e satiri che le culture successive e soprattutto la Chiesa Cristiana, ha ridotto a dimensione di favole. (dal momento che non poteva completamente cancellarla)
Tutti i popoli, di tutte le epoche, annoverano nel proprio patrimonio culturale la presenza di bellissime fanciulle dotate di poteri magici e sovrannaturali.
Fanciulle pronte ad elargire favori, ma anche a spargere disgrazie.
Sono stati dati loro nomi diversi e attribuite loro diverse funzioni, ma il concetto e sempre stato il medesimo: Fata – Strega – Ninfa – Furia… Sirena.
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Ma… un modo c’è per recuperare quel magico splendore?
Se si possiede un pizzico di magia, un briciolo di fantasia, non si avranno difficoltà a varcare la Magica Soglia di un mondo meravigliosamente inatteso.
A chi si sveglia dal sonno e continua a sognare o a sentire intorno a sé brusii, fruscii e ronzii… ebbene, ha ottime possibilità di fare straordinari “incontri del terzo tipo”… ad una condizione, però, che sappia “guardare” con gli occhi di un bambino.
Quali, di queste prodigiose creature potrebbero farsi avanti per prime?… Forse una Fata?
Se si possiede un pizzico di magia, un briciolo di fantasia, non si avranno difficoltà a varcare la Magica Soglia di un mondo meravigliosamente inatteso.
A chi si sveglia dal sonno e continua a sognare o a sentire intorno a sé brusii, fruscii e ronzii… ebbene, ha ottime possibilità di fare straordinari “incontri del terzo tipo”… ad una condizione, però, che sappia “guardare” con gli occhi di un bambino.
Quali, di queste prodigiose creature potrebbero farsi avanti per prime?… Forse una Fata?
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LE FATE
Fatoa, per latini, greci e romani, era il nome del Genio Femminile dotato di poteri sovrannaturali, capace di operare meraviglie.
Nella cultura celtica le Fatuoe erano le compagne degli gnomi, anche queste dotate di particolari poteri, tra cui quello di predire il futuro.
Tutte, però, avevano il potere di trasformare qualcosa in qualunque altra cosa. (basti ricordare la maga Circe e la sua abitudine di trasformare gli uomini in animali).
Le leggende medievali, infine, grondano di magia, artifici ed incantesimi.
Proprio nel Medio Evo, i racconti di miti della cultura del Nord, tramandati a voce, conobbero il momento di maggior diffusione.
I miti, però, non sono solamente e semplicemente favole. Da sempre costituiscono lo strumento con cui l’uomo da voce e forma a tutte quelle esigenze che esulano dalla sua razionalità: il mito non fornisce spiegazioni (come invece fa la Storia), ma svela sentimenti e sensazioni nascosti ed inconfessabili.
Lo strumento in questione si chiama Magia e Incanto e le Sacerdotesse di questo “Culto” si chiamano Fate, Streghe, Ninfe o hanno altro nome.
Le Fate hanno molti nomi, ma quello più consono alla loro natura è certamente “Dame degli Elementi”, poiché gli elementi della Natura, e cioè Acqua, Fuoco, Terra e Aria, fin dai tempi più antichi ed in ogni cultura, hanno sempre fatto parte della Magia e la Magia e sempre stata parte integrante della vita quotidiana.
I poteri delle Fate sugli elementi della natura sono straordinari:I poteri delle Fate sugli elementi della natura sono straordinari:
LE FATE del FUOCO
Le Fate del Fuoco sanno produrre scintille dal nulla, accendere fuochi, falò e incendi, pilotare incandescenti colate laviche…
-
LE FATE della TERRA
Le Fate della Terra si divertono a scavare orridi e voragini, ma si impegnano anche a coprire di lussureggiante vegetazione
territori rocciosi e regioni vulcaniche.
LE FATE dell'ARIA
- Le Fate dell’Aria sono in grado di scatenare tempeste o farle cessare, sanno creare vortici e trombe d’aria e scatenare venti…
LE FATE DELL'ACQUA
- Le Fate dell’Acqua sono capaci di far sgorgare acqua dal suolo, provocare inondazioni o farle arretrare, portare acqua nei posti aridi e desertici….
E poi ci sono le Fate della Luna, le Fate del Ghiaccio e quelle del Mondo dei Sogni; non mancano le Fate che di notte proteggono il viandante o il solitario. Ovunque! Le fate sono ovunque.
Ma, se non sono impegnate con tempeste o sorgenti d’acqua o a rendere sicuro il cammino del viandante o piacevoli i sogni dei dormienti…. che cosa fanno le Fate? Come trascorrono il loro tempo?
Facendo di tutto ed occupandosi di tutto. Proprio come gli umani.
Immerse in un’atmosfera di idilliaca armonia, naturalmente, lungo argini informi di chiassosi corsi d’acqua, tra le radici di annose querce, tra avanzi gloriosi di antichi ruderi. E ancora, sulle soglie degli usci di grotte ed anfratti o tra le fondamenta dei fantastici castelli di roccia e di ghiaccio, costruiti da venti e piogge.
.... potrebbe trovarsi addirittura contenuta in una sfera di cristallo...
Fatoa, per latini, greci e romani, era il nome del Genio Femminile dotato di poteri sovrannaturali, capace di operare meraviglie.
Nella cultura celtica le Fatuoe erano le compagne degli gnomi, anche queste dotate di particolari poteri, tra cui quello di predire il futuro.
Tutte, però, avevano il potere di trasformare qualcosa in qualunque altra cosa. (basti ricordare la maga Circe e la sua abitudine di trasformare gli uomini in animali).
Le leggende medievali, infine, grondano di magia, artifici ed incantesimi.
Proprio nel Medio Evo, i racconti di miti della cultura del Nord, tramandati a voce, conobbero il momento di maggior diffusione.
I miti, però, non sono solamente e semplicemente favole. Da sempre costituiscono lo strumento con cui l’uomo da voce e forma a tutte quelle esigenze che esulano dalla sua razionalità: il mito non fornisce spiegazioni (come invece fa la Storia), ma svela sentimenti e sensazioni nascosti ed inconfessabili.
Lo strumento in questione si chiama Magia e Incanto e le Sacerdotesse di questo “Culto” si chiamano Fate, Streghe, Ninfe o hanno altro nome.
Le Fate hanno molti nomi, ma quello più consono alla loro natura è certamente “Dame degli Elementi”, poiché gli elementi della Natura, e cioè Acqua, Fuoco, Terra e Aria, fin dai tempi più antichi ed in ogni cultura, hanno sempre fatto parte della Magia e la Magia e sempre stata parte integrante della vita quotidiana.
I poteri delle Fate sugli elementi della natura sono straordinari:I poteri delle Fate sugli elementi della natura sono straordinari:
LE FATE del FUOCO
Le Fate del Fuoco sanno produrre scintille dal nulla, accendere fuochi, falò e incendi, pilotare incandescenti colate laviche…
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LE FATE della TERRA
Le Fate della Terra si divertono a scavare orridi e voragini, ma si impegnano anche a coprire di lussureggiante vegetazione
territori rocciosi e regioni vulcaniche.
LE FATE dell'ARIA
- Le Fate dell’Aria sono in grado di scatenare tempeste o farle cessare, sanno creare vortici e trombe d’aria e scatenare venti…
LE FATE DELL'ACQUA
- Le Fate dell’Acqua sono capaci di far sgorgare acqua dal suolo, provocare inondazioni o farle arretrare, portare acqua nei posti aridi e desertici….
E poi ci sono le Fate della Luna, le Fate del Ghiaccio e quelle del Mondo dei Sogni; non mancano le Fate che di notte proteggono il viandante o il solitario. Ovunque! Le fate sono ovunque.
Ma, se non sono impegnate con tempeste o sorgenti d’acqua o a rendere sicuro il cammino del viandante o piacevoli i sogni dei dormienti…. che cosa fanno le Fate? Come trascorrono il loro tempo?
Facendo di tutto ed occupandosi di tutto. Proprio come gli umani.
Immerse in un’atmosfera di idilliaca armonia, naturalmente, lungo argini informi di chiassosi corsi d’acqua, tra le radici di annose querce, tra avanzi gloriosi di antichi ruderi. E ancora, sulle soglie degli usci di grotte ed anfratti o tra le fondamenta dei fantastici castelli di roccia e di ghiaccio, costruiti da venti e piogge.
.... potrebbe trovarsi addirittura contenuta in una sfera di cristallo...
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/5675353.jpg)
Se siamo in gita e stiamo attraversando questi boschi delle meraviglie, queste isole dei desideri, potrebbe capitarci, soprattutto se siamo un po’ distratti, di sentire sulla nuca come un tocco d’ala o sulla guancia la carezza di un velo o alle spalle l’eco di un sospiro o il calore di uno sguardo…
Ancor di più se è notte e c’è la luna piena.
Sono le Fate. Leggere e inafferrabili come farfalle.
Invisibili. Certo!
A guardarsi intorno con gli occhi dei bambini, però… forse…
Se ci si imbatte in informi gradini affioranti dal suolo, si potrebbe anche vederli trasformare in un scalinata ornata di fiori e rampicanti, che si spinge fino ad una piccola fenditura di un contorto tronco di quercia.
A meglio osservarla, però, quella non ci appare più come semplice fenditura… assomiglia più ad una soglia… la soglia di una porta ornata di fiori e ghirlande e…. ad osare spingervi dentro lo sguardo… oh! non c’è parola che possa esprimere la meraviglia: là dentro, dentro quel tronco d’albero, si nasconde la casa di una Fata.
A guardarla bene, potremmo scoprire che assomiglia proprio alla casa dei nostri sogni
Recitava il grande William Shakspeare
“Se vedi un cerchio delle Fate
in una distesa d’erba
Tieni il passo molto leggero
lì intorno
E passa camminando
E’ facile, dunque, che le creature del “piccolo mondo” si stiano aggirando proprio nei paraggi, tra erba, campanule(il fiore preferito) e un rivolo d’acqua.
Ma, se per noi basta un salto per attraversarlo, per le piccole creature occorre un ponte o una barca.
Con un po’ di fortuna possiamo assistere ad un prodigio: un colpo di bacchetta magica ed ecco materializzato un bel ponte ornato di rami e rampicanti e se siamo molto fortunati, possiamo veder transitare su quel ponte la Fatina e il suo Principe Azzurro.
Ancor di più se è notte e c’è la luna piena.
Sono le Fate. Leggere e inafferrabili come farfalle.
Invisibili. Certo!
A guardarsi intorno con gli occhi dei bambini, però… forse…
Se ci si imbatte in informi gradini affioranti dal suolo, si potrebbe anche vederli trasformare in un scalinata ornata di fiori e rampicanti, che si spinge fino ad una piccola fenditura di un contorto tronco di quercia.
A meglio osservarla, però, quella non ci appare più come semplice fenditura… assomiglia più ad una soglia… la soglia di una porta ornata di fiori e ghirlande e…. ad osare spingervi dentro lo sguardo… oh! non c’è parola che possa esprimere la meraviglia: là dentro, dentro quel tronco d’albero, si nasconde la casa di una Fata.
A guardarla bene, potremmo scoprire che assomiglia proprio alla casa dei nostri sogni
Recitava il grande William Shakspeare
“Se vedi un cerchio delle Fate
in una distesa d’erba
Tieni il passo molto leggero
lì intorno
E passa camminando
E’ facile, dunque, che le creature del “piccolo mondo” si stiano aggirando proprio nei paraggi, tra erba, campanule(il fiore preferito) e un rivolo d’acqua.
Ma, se per noi basta un salto per attraversarlo, per le piccole creature occorre un ponte o una barca.
Con un po’ di fortuna possiamo assistere ad un prodigio: un colpo di bacchetta magica ed ecco materializzato un bel ponte ornato di rami e rampicanti e se siamo molto fortunati, possiamo veder transitare su quel ponte la Fatina e il suo Principe Azzurro.
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/2456631.jpg?326)
Qualcuno, più fortunato ancora, potrebbe perfino assistere ai loro giochi e vederle danzare.
Vedrebbe soprattutto le graziose, aeree Silfidi, le Fate dell’Aria, che danzano sui prati fra erba e fiori.
La loro casa si trova in grotte ed anfratti, ma è utile sapere che queste splendide e fantastiche creature hanno l’abitudine, di notte, di raccogliersi intorno al fusto di qualche albero per le loro danze aeree.
Ad accompagnare le danze non mancano suoni e canti.
Il canto delle Fate, naturalmente, è dolce e soave.
Se si ha la fortuna di sentirle cantare ti riempiono il cuore di gioia e se di fortuna se ne avesse davvero tanta, si potrebbe ascoltare il suono magico ed incantato delle loro arpe: si dice che alcune note donino una pace profonda o un sonno ristoratore.
Non è escluso che si possa anche sorprendere qualcuna di loro occupata in faccende domestiche. Sorprenderla, mentre lava gli splendidi, coloratissimi veli, trasparenti come ali di farfalle e metterli ad asciugare su lunghissime corde… potrebbe anche mostrarci il suo ricamo…
Se poi qualcuna di loro si lascia avvicinare mentre si prepara il pranzo… rigorosamente vegetariano, naturalmente… un invito a pranzo è davvero assicurato.
Ma... potremmo anche sorprenderne qualcuna addormentata...
Ecco chi sono le Fate. Alcune di loro sono note, altre no! Più note sono sicuramente quelle che si incontrano aprendo un vecchio libro impolverato ma carico di magico splendore: Campanellino, Trilli, Viviana, Morgana, Mève...
Le conoscete?… Sì?… No?… Andiamo a conoscerne qualcuna.
Vedrebbe soprattutto le graziose, aeree Silfidi, le Fate dell’Aria, che danzano sui prati fra erba e fiori.
La loro casa si trova in grotte ed anfratti, ma è utile sapere che queste splendide e fantastiche creature hanno l’abitudine, di notte, di raccogliersi intorno al fusto di qualche albero per le loro danze aeree.
Ad accompagnare le danze non mancano suoni e canti.
Il canto delle Fate, naturalmente, è dolce e soave.
Se si ha la fortuna di sentirle cantare ti riempiono il cuore di gioia e se di fortuna se ne avesse davvero tanta, si potrebbe ascoltare il suono magico ed incantato delle loro arpe: si dice che alcune note donino una pace profonda o un sonno ristoratore.
Non è escluso che si possa anche sorprendere qualcuna di loro occupata in faccende domestiche. Sorprenderla, mentre lava gli splendidi, coloratissimi veli, trasparenti come ali di farfalle e metterli ad asciugare su lunghissime corde… potrebbe anche mostrarci il suo ricamo…
Se poi qualcuna di loro si lascia avvicinare mentre si prepara il pranzo… rigorosamente vegetariano, naturalmente… un invito a pranzo è davvero assicurato.
Ma... potremmo anche sorprenderne qualcuna addormentata...
Ecco chi sono le Fate. Alcune di loro sono note, altre no! Più note sono sicuramente quelle che si incontrano aprendo un vecchio libro impolverato ma carico di magico splendore: Campanellino, Trilli, Viviana, Morgana, Mève...
Le conoscete?… Sì?… No?… Andiamo a conoscerne qualcuna.
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/6762012.jpg)
ME’VE: la Fata dell’Amore
Il principe Condlé è un giovane bello e prestante e tutte le ragazze del regno sono innamorate di lui. Perfino Mève, la più bella fra tutte le fate celtiche, arde d’amore per lui.
Un giorno, mentre il principe è a caccia con il Re, suo padre, ed alcuni amici, la Fata decide di comparirgli davanti.
Appare a lui soltanto.
Il gruppo di cacciatori sta riposando all’ombra di una grossa quercia, impegnato in piacevole conversazione, e non si accorge di nulla.
Anche il bel Condlé sta discutendo di cervi e caprioli, ma, d’un tratto, ecco comparire una bellissima creatura vestita in modo assai diverso da tutte le donne del Regno.
I capelli sono una fiammeggiante cascata ornata di preziose gemme ed umili fiori di campo e la veste è uno svolazzante mantello trasparente in cui l’intera foresta che li circonda sembra andare a specchiarsi. Anche la tunica, sotto il mantello, è vaporosa e candida come una nuvola attraversata dai raggi del sole di primo mattino.
E’ vaporosa e morbida, trattenuta in vita da un tralcio di fiori. Molto diversa dalle tuniche trattenute da corsetti di cuoio indossati dalle donne del Regno.
Il suo sorriso è smagliante ed ammaliatore.
“Chi sei?” domanda il principe.
“Vengo dalla Terra-dei-Viventi, dove non c’è morte, né peccato, né errore.”
“Con chi stai parlando, figlio.” domanda il Re, a cui la Fata è invisibile.
Il principe sta per prendere la parola, ma la Fata lo anticipa e pur continuando a rendersi invisibile, fa udire la sua voce.
“Tuo figlio, o Re, sta parlando con una creatura che non aspetta né morte, né vecchiaia. Io sono Mève, Dama dell’Amore e della Gioia e invito tuo figlio a seguirmi nella Terra-della-Gioia.”
Poi, al principe:
“Vieni con me, principe Condlè. – dice – Vieni con la Fata Mèvè, bel giovane dal collo ornato di collari d’oro. Vieni, bel giovane dalla chioma bionda e dal bell’incarnato e la tua bellezza non svanirà mai e la tua giovinezza durerà in eterno.”
Preoccupato e anche spaventato, il Re invoca l’aiuto del suo sacerdote-druido il quale pratica un incantesimo che costringe la Fata a rinunciare all’amore del bel principe.
Prima di allontanarsi, però, Mèvè gli consegna un dono: una mela.
Tornato a Palazzo, il ragazzo si ammala e non vuole altro cibo che quella mela la quale, miracolosamente, dopo averlo nutrito, continua a rigenerarsi.
Passa un po’ di tempo, ma le condizioni del giovane peggiorano e finalmente, un giorno, la Fata Mève si presenta a Palazzo e questa volta nessuno osa contrastarla.
Il giovane riacquista la salute e decide di seguire la sua Fata dell’Amore con cui vivrà per sempre felice e contento.
(analogie con la favola: “La bella addormentata nel bosco”
FILASTROCCHE
![Immagine](/uploads/5/4/5/6/5456389/9950285.jpg?373)
IL CHICCO E IL BIMBO
CHICCOLINO DOVE SEI
SOTTO TERRA, NON LO SAI?
E LA' SOTTONON FAI NULLA?
DORMO DENTRO LA MIA CULLA
DORMI SEMPRE, MA PERCHE?
VOGLIO CRESCERE COME TE
E SE TANTO CRESCERAI, CHICCOLINO CHE FARAI?
UNA SPIGA METTERO' E TANTI CHICCHI TI DARO'