MISTERO
INDICE
- Alla fine del viaggio
- Bianco e Nero
- Viaggio a sorpresa
***************
ALLA FINE DEL VIAGGIO
Erano partiti da Bir Fadhit cinque settimane prima. A Bir erano giunti dopo un volo di sette ore messo a disposizione dall’agenzia di viaggio. Ormai erano prossimi alla meta.
Il cammello su cui Piera e la sua giovane compagna di viaggio, Jasmine, ciondolavano, stanche della fatica, affondava i garretti nella sabbia della Haramam, il territorio sacro della Mecca.
Piera aveva simpatizzato con Jasmine fin dal momento in cui erano state presentate, nell’ufficio dell’agenzia di viaggio araba che, insieme a quella torinese, aveva organizzato quel viaggio e il relativo soggiorno in Arabia.
Le due ragazze si somigliava perfino un po’ e svolgevano un lavoro molto simile: Piera per una agenzia di assicurazione e Jasmine, per un’agenzia turistica.
Quel viaggio, Piera l’aveva sempre desiderato. Nutriva una grande passione per tutto ciò che aveva sapore arabo e conosceva piuttosto bene gli usi, i costumi e le tradizioni di quel popolo. Sapeva, ad esempio, che ai non musulmani era vietato l’accesso alla Kahab, il Sacro Cubo della Mecca e che senza quella opportunità, non avrebbe potuto mai farlo. Per questo a Bir Fadhit l’avevano affidata ad una hostess: Jasmine, per l’appunto.
Il viaggio era stato lungo e sfibrante, ma infine era giunto al termine.
La pista che Abud, il capo-carovana, un giovane arabo appartenente ad una tribù dell’interno, aveva scelto per i suoi ospiti, era tra le più battute del Paese e il percorso era confortato dalla presenza di numerosi pozzi che un tempo neanche esistevano.
In quelle settimane la carovana aveva macinato chilometri su chilometri. Là dove era stato possibile, l’uso della jeep aveva accorciato il percorso, ma alcuni tratti era stato possibile percorrerli solo a dorso di cammello.
Sotto gli occhi della ragazza il panorama era in continua trasformazione: case bianche unite da perimetri di mura ininterrotte, case fortificate come piccole fortezze, costruzioni rupestri e tante tende: bianche, grigie, a righe.
Avevano attraversato vasti deserti percorsi da oleodotti e disseminati di impianti di trivellazione e raffinazione del petrolio. Avevano sostato in oasi lussureggianti e superato brevi monti.
Piera, una vacanza così, non l’avrebbe mai dimenticata.
La cosa più considerevole, però, era stata la vista del Rub-al- Khaly, il deserto più deserto del mondo.
I nomadi, che in quel mondo terribile ed affascinante insieme, riescono a vivere, lo chiamano anche Ar-Rimal: Le Sabbie, poiché non esiste null’altro che sabbia, sabbia ed ancora sabbia.
No… in realtà non è proprio esatto: in tanta desolazione si possono incontrare creature sorprendentemente vive, come rettili, insetti, lucertole, a testimonianza della lotta per la vita e della sua vittoria sulla morte.
L’occhio vigile di Abud, il capo-carovana, aveva scorto anche tracce degli ultimi predoni del deserto: ultimo palpito di un antico sistema di vita, cosicché, macchine fotografiche, registratori, computer e provviste alimentari, furono immediatamente messi sotto stretta sorveglianza.
Nonostante il flagello della febbre delle sabbie che l’aveva colpita per due giorni o tre, l’entusiasmo della ragazza era altissimo.
Le notti, trascorse a ridosso di qualche duna a semicerchio, erano meravigliose e terse e tingevano il cielo di un azzurro intenso, sconosciuto sotto altre latitudini.
Le albe erano stupende; si avvicinavano prima ancora che la luna fosse scomparsa ed abbracciavano le tende ancora sommerse dal blu notturno. Mandavano giù dal cielo un chiarore di una brillantezza accecante, in un’opalescenza sfumata di mille colori, prima di sollevare la linea che separa il cielo dalla sabbia.
“Guarda. – le diceva tutte le mattine Jasmine – Ibrahim è già sveglio.”
Ibrahim era il secondo di Abud.
Si erano lasciati alle spalle Ar-Rimal, un angolo del nostro mondo che pare appartenere ad un altro pianeta, ed erano arrivati alla Città Santa della Mecca.
La vista delle pEra con Jasmine ed Ibrahin, poiché alla Città Santa una donna dev’essere sempre accompagnata da un uomo e stavano attraversando a piedi scalzi il sentiero di marmo che conduce alla Kaaba,.
Piera si guardò intorno; guardò Jasmine: superbia, vanità, orgoglio, parevano cancellati sull’immensa marea di visi che la circondava. Anche il volto dell’amica appariva sereno e in pace.
“Vorrei tanto un po’ di pace anche per me…” pensò con un filo di voce
Guardò il drappo di seta nera che ricopriva il cubo di pietra, lesse le parole ricamate in oro:
“La itaha illa Allah wa Muhammad rasul Allah.”
(Non vi è altro Dio se non Allah e Maometto è il suo Inviato)
Guardò ancora Jasmine.
Avevano osservato tutti i doveri del pellegrino.
Infagottate nell’ ihram, il sudario bianco, avevano girato intorno al massiccio Cubo Sacro per sette volte ed in senso contrario; Piera era riuscita perfino a toccare la pietra appartenuta ad Adamo e poi all’arcangelo Gabriele, prima di essere affidata ad Abramo.
Quasi nessuno vi riusciva, tale era la calca.
Fu proprio a quel contatto che la sua inquietudine si trasformò in apprensione, prima di mutarsi in angoscia.
Faceva molto caldo; un caldo opprimente ed implacabile: causa di molti malori.
La ragazza ebbe l’impulso di fuggire, ma si trattenne, soprattutto per riguardo verso la sua compagna, che seguì fino alla fontana di Zam-Zam.
Qui, la sua angoscia precipitò nel terrore; un terrore incontrollabile che la costrinse a staccarsi dai compagni e dirigersi, in una corsa sfrenata, verso i ponticelli di Safa e Marwal, bisbigliando frasi sconnesse:
“Signore, Signore. – diceva – Salva la vita di Ismaele… figlio di Agar e figlio di Abramo. Abbi pietà di Agar… Agar… Agar..”
Portava ancora nelle orecchie la voce di Sara, la prima moglie di Abramo, gelosa di lei, da quando aveva partorito il suo figliolo… il piccolo Ismaele.
Sara era sterile e la Legge le consentiva di diventare madre per mezzo suo, ma poi, anche Sara era diventata madre… madre di Isacco. Aveva ancora negli occhi la visione della sposa si Abramo offesa perché Ismaele si era preso gioco del figlio di lei: Isacco.
“Scaccia questa donna. – aveva detto ad Abramo – E scaccia anche suo figlio. Io non voglio che sia erede con mio figlio Isacco.”
Era stata scacciata, col figlio Ismaele, ed aveva lasciato la tribù assieme ad una fedele ancella.
Con del pane ed un otre d’acqua, che Abramo aveva fatto mettere in una bisaccia, avevano affrontato il deserto; l’acqua, però, era venuta presto a mancare nell’otre.
Lei avrebbe voluto raggiungere il Nilo, il fiume lontano presso le cui riva era nata; avrebbe voluto tornare nella sua terra, ma non conosceva la strada e il deserto era grande, terribile e soprattutto implacabile con la gente sprovveduta.
La sete aveva cominciato a minare la loro resistenza fisica ed a confondere le idee, che si agitavano scomposte dietro la fronte come calabroni nei loro nidi.
Un pensiero, però, più degli altri, l’atterriva: quello di veder morire la propria creatura.
Aveva cominciato a pregare tutti gli Dei, quelli lasciati nella terra d’Egitto e quello incontrato nella terra di Abramo:
“Abbiate pietà… - pregava – Abbiate pietà del figlio innocente di Agar.”
Aveva visto un arboscello; null’altra vegetazione poteva crescere in quel deserto pietroso.
Sotto quell’ombra avevano cercato un momentaneo riparo, prima di tornare a vagare alla ricerca di acqua. Le vesti erano lacere, i piedi tormentati, il volto arso dal sole e la stanchezza era in agguato e aveva finito per rubare le loro ultime forze.
“Pietà per mio figlio Ismaele… pietà per mio figlio… un sorso d’acqua.” continuava ad invocare, quand’ecco una voce piovere dal cielo:
“Agar, non temere… Dio ha ascoltato le tue preghiere.”
Si era fermata ed aveva finalmente scorto la presenza di un pozzo che prima, accecata dalla disperazione non aveva visto. Di quella s’era dissetata ed aveva dissetato suo figlio e l’ancella.
Esausta per la corsa, il respiro affannoso e lo sguardo perso nell’infinito, così, più tardi, Jasmine ed Ibrahim ritrovarono Piera.
“Piera, che cosa è successo?” chiese Jasmine con accento di stupore e un po’ di preoccupazione.
“Ismaele…la mia creatura…” rispose la ragazza sollevando sull’amica lo sguardo smarrito.
“Signorina Piera, cosa sta dicendo?” anche Ibrahim la guardava stupito
“Ora che Ismaele non morirà di sete, - Piera riprese a balbettare - Agar ha raggiunto la serenità.”
“Chi è questa Agar?”
“Sono io, Agar. Sara mi ha scacciata, ma il Dio di Abramo ha ascoltato le mie preghiere.”
“Ma che stranezze sta dicendo, la signorina Piera? - scuoteva il capo Ibrahim.- Sembra confusa… il sole… Il sole, qui, non è alleato dell’uomo.” sospirò.
“Già! – assentì Jasmine – Non è abituata a questa calura.”
“Portiamola via di qua. Che la Misericordia di Allah la sostenga.”
“E’ convinta di essere un’altra persona… una certa Agar…”
“Agar? – scosse il capo Ibrahim - Non sarà la Agar della Bibbia, la madre di Ismaele, il Patriarca?”
“Stava proprio parlando di suo figlio Ismaele… - convenne Jasmine, poi suggerì - Portiamola fuori del Tempio. In ospedale ci diranno che cosa può esserle accaduto.”
La condussero ad un posto di soccorso, poi in ospedale, dove la ragazza fu trattenuta per più di una settimana, prima di essere rimpatriata.
Sono passati quasi quattro mesi, ma Piera dice ancora di chiamarsi Agar e fa rivelazioni su posti e luoghi che conosce perfettamente senza esserci mai stata.
rime case accese nella ragazza una strana, incontenibile inquietudine.
BIANCO E NERO
Un incrociatore militare, laggiù, all'orizzonte, grigio, severo, imponente; due o tre imbarcazioni dai colori sgargianti, uno yacht ad un paio di miglia dalla costa, lussuoso, bianco, le rifiniture in blu: la cittadina sonnecchiava ancora. Bella ed elegante, si svolgeva sul mare come un lungo nastro colorato che di sera diventava fosforescente. Ma non era sera. Era primo mattino.
Era quell'ora solerte necessaria alla cittadina per accogliere al meglio i suoi ospiti; l'ora della spalatura della sabbia, dell'annaffiatura delle strade, degli addobbi delle spieagge.
Era l'ora di chi ama il giorno nel suo momento più bello.
La ragazza si fermò sul bagnasciuga. Non era bella, ma carina; un caschetto di capelli nerissimi sapientemente scomposti da una recente permanente su un volto illuminato da uno splendido sguardo azzurro. Non era alta, ma snella e ben prorporzionata e il portamento era di classe.
Erano pochi gli occasionali compagni, in quel momento, ma tutti gli sguardi erano per lei.
"Ecco lo yacht di Alessandro. - sussurrò - Immagino la sua faccia quando mi vedrà."
La sua ombra la seguiva, lunga e flessuosa, mentre con passo spedito ed elegante andava incontro ad un sole ancora giovane.
"Tiziana! Tiziana!"
Una voce voce la raggiunse alle spalle, lei, però, parve non accorgersene, rapita dai suoi pensieri.
"Sarà felice di vedermi. - sorrideva ai passanti - Ieri a telefono era così adorabile, il mio Alessandro... Fra poco sarò nelle sue braccia..."
"Tiziana, Aspetta." la voce alle spalle la sfiorò ma non la distrasse dai suoi pensieri.
"... mi prenderà fra le braccia..."
"Tiziana.."
Ancora la voce. Vicinissima e questa volta la raggiunse, anzi, la colpì e la strappò a viva forza dai suoi pensieri. La ragazza si girò.
C'era un uomo, un giovane sui trent'anni, in maglietta blu, calzoncini bianchi e una tracolla sulle spalle. Alto, magro, andatura dinoccolata; due occhi nocciola su una faccia regolare, ma anonima e insignificante e sulla fronte un principio di stempiatura.
"Tiziana, è un po' che ti chiamo."
"Scusa, Andrea. - la donna si girò, uno sguardo allo yaght sul mare; si poteva vedere bene uno degli uomini dell'equipaggio, vestito di bianco - Non ti ho sentito."
L'uomo le si affiancò.
"Questo è il momento più bello della giornata. - disse - Il mare è limpido e l'aria fresca. Fra poco farà molto caldo... Peccato che il mare sia mosso."
"Il mare mosso è più bello del mare tranquillo." replicò la donna.
"Sì, però non si può andare in barca... ma adesso torniamo in albergo. Abbiamo passegiato abbastanza. Andiamo a fare colazione, poi, in spiaggia."
"Non ho voglia di andare inspiaggia. C'é troppa gente."
"Per forza c'é gente! Che cosa vuoi che faccia la gente al mare! Vieni... Andiamo a fare colazione."
La colazione, più tardi, pane, burro e marmellata, fu consumata nel più profondo silenzio.
"Sono le otto. - pensava Tiziana - Alessandro adesso starà..."
"Tiziana, non mi ascolti?" la voce dell'uomo la scosse, senza riportarla completamente a lui.
"Scusa caro, che cosa hai detto'"
"Che non andiamo in spiaggia. Fa troppo caldo."
"Va bene! - la voce assente della donna che si riallontanava con i suoi pensieri - Oggi ti rivedrò, Alessandro e non ci lasceremo mai più. Tu mi..."
""Tiziana, ma stai bene?"
"Cosa?"
Tiziana guardò il marito.
"Ti ho chiesto se stai bene. Da un po' di tempo sei così diversa... lontana... distratta."
"Ma che dici, caro. Sono soltanto nervosa. Sai che al mare sono nervosa!"
"Certo, cara. Certo. Dicevo così!"
Un sorriso, una svelta carezza e l'uomo si allontanò per telefonare; Tiziana lo seguì, fino alla hall dell'albergo. Un albergo di seconda categoria, a tre stelle, che l'uomo, geometra piccolo borghese, aveva scelto per le vacanze.
"Una stella per la vista mare, una per la cucina e una per il servizio. - stava dicendo a telefono, pago e soddisfatto, alla sorella Emilia - Qui il tempo è bello. Fa caldo. La stanza è spaziosa. Abbiamo un terrazzo su cui possiamo anche prendere il sole e quel che più conta, si digerisce bene... Si sta bene. Sì!... Possiamo proprio dire che si sta bene. Vero, Tiziana?"
"Sì! Stiamo proprio bene! - disse Tiziana - Stiamo proprio bene - ripeté fra sé - Come si potrebbe stare meglio? Siamo felici e soddisfatti!...Guarda quanta gente felice e soddisfatta!"
Si guardò intorno: uomini, donne, bambini e tutti vestiti come ad una parata di carnevale, capelli stopposi, gambe ricamate di vene varicose, fianchi adiposi, pance sporgenti.
In verità, c'erano anche splendide silhouettes, fisici palestrati o siliconati e... tanta noia.
"Che noia! - pensò - Che noia questa vita rimorchiata... questo marito metodico. Oh, Andrea, non è che non ti voglia bene. Sinceramente. M a quanto sei noioso! Perdonami, ma tu non sei come Alessandro..:"
"Possiamo andare, cara?"
Andrea l'aveva raggiunta. La prese sottobraccio ed insieme lasciarono l'albergo. Una passeggiata, una sosta al bar, il giornale... Andra appariva soddisfatto.
Arrivò il pomeriggio, dopo il pranzo e il riposino quotidiano.
"Vado a prendere un caffè. - disse Andrea prima di uscire - Ti raggiungo in spiaggia."
"Non vengo in spiaggia. Vado a fare un giro in macchina." disse lei.
"Ma che cosa dici?"
"Non ridere... Ho voglia di ammirare la costa." replicò lei.
"Va bene! Va bene! Ci vediamo più tardi."
Un buffetto sull guancia e l'uomo si allontanò.
Più tardi, diretta al parcheggio, Tiziana non era da sola ma in compagnia di una folla di pensieri; si pose al volante della sua auto e partì..
"Oh, Alessandro... se non ci fossi tu! La mia vita ha senso solo da quando ci siamo incontrati."
Era stato per caso. Lei si trovava a Dubai, inviata dalla sua ditta di cosmetici; era sera e lei guardava la città dall'alto del ventesimo piano dell'hotel che la Ditta aveva prenotato per lei. Era sul balcone e qualcuno, dal balcone vicino, l'avevava salutata e poi invitata a cena. Avevano trascorso la serata insieme e poi...
Fermò la vettura e posteggiò accanto ad un muretto; scese e si accostò al muretto.
"Oh, Alessandro! - sospirò a bassa voce - Tu hai tutto ciò che andrea non ha. Andrea, povero caro, è come un quadro un po' sbiadito... Non devi essere geloso di lui. Io gli voglio bene, ma quello che provo per te è ben diverso... Presto ci rivedremo..."
"Vuol comprare qualcosa?" la voce di un ragazzino dalle braccia ingombre di collane e indumenti da spiaggia la raggiunse alle spalle.
Tiziana sorrise e scosse il capo, poi il suo sguardo tornò al cielo e al mare azzurro, là dove si congiungevano segnando una linea sfocata. Si staccò dal muretto e tornò in macchina.
"Andrea mi starà aspettando. Sarà in pensiero. - pensò sottovoce, posando le mani sul volante, ma senza avviare il motore, nuovamente prigioniera dei suoi pensieri. - Se potessi fare una scelta: Andrea e una vita tranquilla e senza emozioni o Alessandro e una vita brillante.- una pausa, per un sorriso sospiroso - Scegliere, in realtà non è difficile: Alessandro non è solo una tentazione, ma la salvezza da questa vita rimorchiata... Momenti belli? Anche con Andrea ne ho avuti: ilgiorno del matrimonio, il battesimo di Piera, la gita a Roma... ma tutto così, pacato, così freddo! E poi... sua sorella Emlia che vorrebbe dirigere la nostra vita... Con Alessandro, invece... le sue braccia calde ed accoglienti, le sue carezze, i regali, le rose... Sciocchezze, dice Andrea. Ma una donna ha bisogno di queste sciocchezze ed Alessandro lo sa."
Avviò il motore.
Andrea era in riva al mare; quando la vide da lontano le andò incontro; aveva in mano una bottiglia.
"Ciao, cara.- disse tendendo la bottiglia - Senti che buon sapore ha questo succo di frutta."
"Grazie, caro. Bevilo tu."
"No! Io ne ho già bevuto fin troppo. Bevilo tu, altrimenti dovrò buttarlo."
Un lampo attraversò lo sguardo di Tiziana.
"Come volevasi dimostrare!" esclamò.
"Che cosa vuoi dire?" domandò il marito, corrgundo la fronte..
"Nulla!"
"No! - insisté Andrea - Qualcosa volevi dire con quella frase."
"E va bene! -proruppe Tiziana - Mi pareva strana la tua improvvisa gentilezza."
"Perché strana?" domandò l'altro tornando ad aggrottare la fronte.
"Perché? - la donna lo guardò fisso negli occhi - Perché vuoi apparire generoso anche quando non lo sei affatto. Perché la tua generosità è sempre calcolata."
"Ma che dici?"
"Dico che avresti potuto offrimi il succo di frutta e non il suo avanzo."
"Tiziana, ma... non capisco questo discorso."
"Allora sarò chiara! Non è gradevole questa tua generosità calcolata. Ogni tuo gesto con la sottoscritta è calcolato e non ha nulla a che vedere con l'affetto... So bene che non mi regaleresti neppure un fiore senza uno scopo."
"Ma ti regalo sempre dei profumi." replicò Andrea.
"Proprio ciò che intendevo: lo fai solo perché fa piacere a te.... Ti fa piacere sentire i profumi addosso alle donne."
"Che cosa c'é di male? Non capisco!"
"Non importa. Non importa. Adesso, se non ti spiace vorrei sdraiarmi al sole."
Tiziana si allungò sulla spugna da spiaggia; Andrea le venne vicino.
"Scusami. Hai ragione. Qualche volta sono davvero egoista e..."
"Ci guardano." lo interruppe lei.
"Lascia che ci guardino!"
"Ma come? - sorrise ironica Tiziana - Non ti importa più della gente?"
"Mi importa della gente, - fece lui conciliante - ma m'importa più di te."
"Sei carino. Ne sono lieta... Pace?"
"Pace!" rispose l'uomo stendendosi al suo fianco.
La donna chiuse gli occhi.
"Forse sono troppo severa con Andrea. - pensava - Ha dei difetti, ma chi non ne ha? E' egoista, e vero, ma è il primo ad ammetterlo... Un gesto così meschino, però.... offrirmi un avanzo di succo solo per non buttarlo via... Alessandro non l'avrebbe mai fatto. Alessadro no!"
"Alessandro no!" disse a voce alta.
"Che cosa dici?" domandò il marito.
Tiziana si girò verso di lui con un'espressione indefinibile ngli occhi, poi si alzò di scatto e rimase ritta in piedi per qualche attimo, come se quacosa la sconvolgesse. Era pallidissima.
"Alessandro! - esclamò piano, poi con un singhiozzo - Alessandro!... Ma chi voglio ingannare? Alessandro non esiste. Alessandro è un parto della mia fantasia. Alessandro è il rifugio che ho creato per sfuggire a questa vita insostenibilmente ed insopportabilente grigia... Alessandro non esiste... L'ho inventato io!" e di corsa su per il vialetto di legno verso la strada, tra un'ala di persone semiassonnate e stordite dal sole, sdraiate a terra o sopra lettini.
Andrea le corse dietro e prima ancora di arrivare alle cabine, lo raggiunse un colpo di clakson e uno stridore di freni. Quando giunse sul viale, vide Tiziana riversa per terra e una donna che scendeva da un'auto e la sua voce che diceva:
"Si è buttata di sotto. Non ho potuto wvitarla."
Una settimana dopo, in una stanzetta d'ospedale Tiziana riemerse da un abisso di sensazioni sconosciute. Era stata per tre giorni in coma e dopo altri due era finalmente tornata in sè:
Le prime parole che pronunciò furono: "Andrea... Alessandro..:"
Poi le ombre si squarciarono e tutto tornò limpido: la finestra con un tavolino davanti, un tavolino da notte con una bottiglia d'acqua, una rosa in un bicchiere, una sedia ed in fondo al letto due figure. Due uomini. Uno era Andrea, un po' stempiato, un po' curvo, insignificante, lo sguardo buono e preoccupato. L'altro, Alessandro, alto, prestante, bello.
Tutti e due con un'espression d'ansia stampata sul volto.
Tiziana, se non fosse già tanto pallida, lo sarebbe diventata.
"Andrea... Alessandro...- mormorò - Non èpossibile! Sto sognando..."
Ma non stava sognando: ai piedi del letto c'erano entrambi: Andrea ed Alessandro.
Era quell'ora solerte necessaria alla cittadina per accogliere al meglio i suoi ospiti; l'ora della spalatura della sabbia, dell'annaffiatura delle strade, degli addobbi delle spieagge.
Era l'ora di chi ama il giorno nel suo momento più bello.
La ragazza si fermò sul bagnasciuga. Non era bella, ma carina; un caschetto di capelli nerissimi sapientemente scomposti da una recente permanente su un volto illuminato da uno splendido sguardo azzurro. Non era alta, ma snella e ben prorporzionata e il portamento era di classe.
Erano pochi gli occasionali compagni, in quel momento, ma tutti gli sguardi erano per lei.
"Ecco lo yacht di Alessandro. - sussurrò - Immagino la sua faccia quando mi vedrà."
La sua ombra la seguiva, lunga e flessuosa, mentre con passo spedito ed elegante andava incontro ad un sole ancora giovane.
"Tiziana! Tiziana!"
Una voce voce la raggiunse alle spalle, lei, però, parve non accorgersene, rapita dai suoi pensieri.
"Sarà felice di vedermi. - sorrideva ai passanti - Ieri a telefono era così adorabile, il mio Alessandro... Fra poco sarò nelle sue braccia..."
"Tiziana, Aspetta." la voce alle spalle la sfiorò ma non la distrasse dai suoi pensieri.
"... mi prenderà fra le braccia..."
"Tiziana.."
Ancora la voce. Vicinissima e questa volta la raggiunse, anzi, la colpì e la strappò a viva forza dai suoi pensieri. La ragazza si girò.
C'era un uomo, un giovane sui trent'anni, in maglietta blu, calzoncini bianchi e una tracolla sulle spalle. Alto, magro, andatura dinoccolata; due occhi nocciola su una faccia regolare, ma anonima e insignificante e sulla fronte un principio di stempiatura.
"Tiziana, è un po' che ti chiamo."
"Scusa, Andrea. - la donna si girò, uno sguardo allo yaght sul mare; si poteva vedere bene uno degli uomini dell'equipaggio, vestito di bianco - Non ti ho sentito."
L'uomo le si affiancò.
"Questo è il momento più bello della giornata. - disse - Il mare è limpido e l'aria fresca. Fra poco farà molto caldo... Peccato che il mare sia mosso."
"Il mare mosso è più bello del mare tranquillo." replicò la donna.
"Sì, però non si può andare in barca... ma adesso torniamo in albergo. Abbiamo passegiato abbastanza. Andiamo a fare colazione, poi, in spiaggia."
"Non ho voglia di andare inspiaggia. C'é troppa gente."
"Per forza c'é gente! Che cosa vuoi che faccia la gente al mare! Vieni... Andiamo a fare colazione."
La colazione, più tardi, pane, burro e marmellata, fu consumata nel più profondo silenzio.
"Sono le otto. - pensava Tiziana - Alessandro adesso starà..."
"Tiziana, non mi ascolti?" la voce dell'uomo la scosse, senza riportarla completamente a lui.
"Scusa caro, che cosa hai detto'"
"Che non andiamo in spiaggia. Fa troppo caldo."
"Va bene! - la voce assente della donna che si riallontanava con i suoi pensieri - Oggi ti rivedrò, Alessandro e non ci lasceremo mai più. Tu mi..."
""Tiziana, ma stai bene?"
"Cosa?"
Tiziana guardò il marito.
"Ti ho chiesto se stai bene. Da un po' di tempo sei così diversa... lontana... distratta."
"Ma che dici, caro. Sono soltanto nervosa. Sai che al mare sono nervosa!"
"Certo, cara. Certo. Dicevo così!"
Un sorriso, una svelta carezza e l'uomo si allontanò per telefonare; Tiziana lo seguì, fino alla hall dell'albergo. Un albergo di seconda categoria, a tre stelle, che l'uomo, geometra piccolo borghese, aveva scelto per le vacanze.
"Una stella per la vista mare, una per la cucina e una per il servizio. - stava dicendo a telefono, pago e soddisfatto, alla sorella Emilia - Qui il tempo è bello. Fa caldo. La stanza è spaziosa. Abbiamo un terrazzo su cui possiamo anche prendere il sole e quel che più conta, si digerisce bene... Si sta bene. Sì!... Possiamo proprio dire che si sta bene. Vero, Tiziana?"
"Sì! Stiamo proprio bene! - disse Tiziana - Stiamo proprio bene - ripeté fra sé - Come si potrebbe stare meglio? Siamo felici e soddisfatti!...Guarda quanta gente felice e soddisfatta!"
Si guardò intorno: uomini, donne, bambini e tutti vestiti come ad una parata di carnevale, capelli stopposi, gambe ricamate di vene varicose, fianchi adiposi, pance sporgenti.
In verità, c'erano anche splendide silhouettes, fisici palestrati o siliconati e... tanta noia.
"Che noia! - pensò - Che noia questa vita rimorchiata... questo marito metodico. Oh, Andrea, non è che non ti voglia bene. Sinceramente. M a quanto sei noioso! Perdonami, ma tu non sei come Alessandro..:"
"Possiamo andare, cara?"
Andrea l'aveva raggiunta. La prese sottobraccio ed insieme lasciarono l'albergo. Una passeggiata, una sosta al bar, il giornale... Andra appariva soddisfatto.
Arrivò il pomeriggio, dopo il pranzo e il riposino quotidiano.
"Vado a prendere un caffè. - disse Andrea prima di uscire - Ti raggiungo in spiaggia."
"Non vengo in spiaggia. Vado a fare un giro in macchina." disse lei.
"Ma che cosa dici?"
"Non ridere... Ho voglia di ammirare la costa." replicò lei.
"Va bene! Va bene! Ci vediamo più tardi."
Un buffetto sull guancia e l'uomo si allontanò.
Più tardi, diretta al parcheggio, Tiziana non era da sola ma in compagnia di una folla di pensieri; si pose al volante della sua auto e partì..
"Oh, Alessandro... se non ci fossi tu! La mia vita ha senso solo da quando ci siamo incontrati."
Era stato per caso. Lei si trovava a Dubai, inviata dalla sua ditta di cosmetici; era sera e lei guardava la città dall'alto del ventesimo piano dell'hotel che la Ditta aveva prenotato per lei. Era sul balcone e qualcuno, dal balcone vicino, l'avevava salutata e poi invitata a cena. Avevano trascorso la serata insieme e poi...
Fermò la vettura e posteggiò accanto ad un muretto; scese e si accostò al muretto.
"Oh, Alessandro! - sospirò a bassa voce - Tu hai tutto ciò che andrea non ha. Andrea, povero caro, è come un quadro un po' sbiadito... Non devi essere geloso di lui. Io gli voglio bene, ma quello che provo per te è ben diverso... Presto ci rivedremo..."
"Vuol comprare qualcosa?" la voce di un ragazzino dalle braccia ingombre di collane e indumenti da spiaggia la raggiunse alle spalle.
Tiziana sorrise e scosse il capo, poi il suo sguardo tornò al cielo e al mare azzurro, là dove si congiungevano segnando una linea sfocata. Si staccò dal muretto e tornò in macchina.
"Andrea mi starà aspettando. Sarà in pensiero. - pensò sottovoce, posando le mani sul volante, ma senza avviare il motore, nuovamente prigioniera dei suoi pensieri. - Se potessi fare una scelta: Andrea e una vita tranquilla e senza emozioni o Alessandro e una vita brillante.- una pausa, per un sorriso sospiroso - Scegliere, in realtà non è difficile: Alessandro non è solo una tentazione, ma la salvezza da questa vita rimorchiata... Momenti belli? Anche con Andrea ne ho avuti: ilgiorno del matrimonio, il battesimo di Piera, la gita a Roma... ma tutto così, pacato, così freddo! E poi... sua sorella Emlia che vorrebbe dirigere la nostra vita... Con Alessandro, invece... le sue braccia calde ed accoglienti, le sue carezze, i regali, le rose... Sciocchezze, dice Andrea. Ma una donna ha bisogno di queste sciocchezze ed Alessandro lo sa."
Avviò il motore.
Andrea era in riva al mare; quando la vide da lontano le andò incontro; aveva in mano una bottiglia.
"Ciao, cara.- disse tendendo la bottiglia - Senti che buon sapore ha questo succo di frutta."
"Grazie, caro. Bevilo tu."
"No! Io ne ho già bevuto fin troppo. Bevilo tu, altrimenti dovrò buttarlo."
Un lampo attraversò lo sguardo di Tiziana.
"Come volevasi dimostrare!" esclamò.
"Che cosa vuoi dire?" domandò il marito, corrgundo la fronte..
"Nulla!"
"No! - insisté Andrea - Qualcosa volevi dire con quella frase."
"E va bene! -proruppe Tiziana - Mi pareva strana la tua improvvisa gentilezza."
"Perché strana?" domandò l'altro tornando ad aggrottare la fronte.
"Perché? - la donna lo guardò fisso negli occhi - Perché vuoi apparire generoso anche quando non lo sei affatto. Perché la tua generosità è sempre calcolata."
"Ma che dici?"
"Dico che avresti potuto offrimi il succo di frutta e non il suo avanzo."
"Tiziana, ma... non capisco questo discorso."
"Allora sarò chiara! Non è gradevole questa tua generosità calcolata. Ogni tuo gesto con la sottoscritta è calcolato e non ha nulla a che vedere con l'affetto... So bene che non mi regaleresti neppure un fiore senza uno scopo."
"Ma ti regalo sempre dei profumi." replicò Andrea.
"Proprio ciò che intendevo: lo fai solo perché fa piacere a te.... Ti fa piacere sentire i profumi addosso alle donne."
"Che cosa c'é di male? Non capisco!"
"Non importa. Non importa. Adesso, se non ti spiace vorrei sdraiarmi al sole."
Tiziana si allungò sulla spugna da spiaggia; Andrea le venne vicino.
"Scusami. Hai ragione. Qualche volta sono davvero egoista e..."
"Ci guardano." lo interruppe lei.
"Lascia che ci guardino!"
"Ma come? - sorrise ironica Tiziana - Non ti importa più della gente?"
"Mi importa della gente, - fece lui conciliante - ma m'importa più di te."
"Sei carino. Ne sono lieta... Pace?"
"Pace!" rispose l'uomo stendendosi al suo fianco.
La donna chiuse gli occhi.
"Forse sono troppo severa con Andrea. - pensava - Ha dei difetti, ma chi non ne ha? E' egoista, e vero, ma è il primo ad ammetterlo... Un gesto così meschino, però.... offrirmi un avanzo di succo solo per non buttarlo via... Alessandro non l'avrebbe mai fatto. Alessadro no!"
"Alessandro no!" disse a voce alta.
"Che cosa dici?" domandò il marito.
Tiziana si girò verso di lui con un'espressione indefinibile ngli occhi, poi si alzò di scatto e rimase ritta in piedi per qualche attimo, come se quacosa la sconvolgesse. Era pallidissima.
"Alessandro! - esclamò piano, poi con un singhiozzo - Alessandro!... Ma chi voglio ingannare? Alessandro non esiste. Alessandro è un parto della mia fantasia. Alessandro è il rifugio che ho creato per sfuggire a questa vita insostenibilmente ed insopportabilente grigia... Alessandro non esiste... L'ho inventato io!" e di corsa su per il vialetto di legno verso la strada, tra un'ala di persone semiassonnate e stordite dal sole, sdraiate a terra o sopra lettini.
Andrea le corse dietro e prima ancora di arrivare alle cabine, lo raggiunse un colpo di clakson e uno stridore di freni. Quando giunse sul viale, vide Tiziana riversa per terra e una donna che scendeva da un'auto e la sua voce che diceva:
"Si è buttata di sotto. Non ho potuto wvitarla."
Una settimana dopo, in una stanzetta d'ospedale Tiziana riemerse da un abisso di sensazioni sconosciute. Era stata per tre giorni in coma e dopo altri due era finalmente tornata in sè:
Le prime parole che pronunciò furono: "Andrea... Alessandro..:"
Poi le ombre si squarciarono e tutto tornò limpido: la finestra con un tavolino davanti, un tavolino da notte con una bottiglia d'acqua, una rosa in un bicchiere, una sedia ed in fondo al letto due figure. Due uomini. Uno era Andrea, un po' stempiato, un po' curvo, insignificante, lo sguardo buono e preoccupato. L'altro, Alessandro, alto, prestante, bello.
Tutti e due con un'espression d'ansia stampata sul volto.
Tiziana, se non fosse già tanto pallida, lo sarebbe diventata.
"Andrea... Alessandro...- mormorò - Non èpossibile! Sto sognando..."
Ma non stava sognando: ai piedi del letto c'erano entrambi: Andrea ed Alessandro.